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Venerdì 4 Luglio 2003 la rassegna Teatro Wave Extravaganti ha presentato OTTO, lo spettacolo della compagnia KINKALERI.
E’ possibile affrontare il problema del movimento nel teatrodanza rimuovendolo?
I Kinkaleri sembrano rispondere affermativamente facendo della rimozione o dell’annullamento l’unico modo per concentrare l’attenzione proprio sulla danza contemporanea.
Questa installazione di corpi, intitolata Otto senza alcun riferimento al numero, fa ancora di più, perché afferma che il mondo non è stato creato. Ci dice che è vuoto, negazione, mutamento e diminuzione al tempo stesso. Inoltre, non essendo un problema, il vuoto non ha soluzioni ‘figurative’. Piuttosto è la peculiarità del linguaggio a costituire la possibile soluzione e ciò che fa la vera differenza.
Perfino la narrazione è intesa come dimensione del possibile. E infatti, c’è un possibile omicidio e la ricostruzione del misfatto, ma i tre danzatori muoiono ripetutamente e quindi il mondo diventa davvero una ricostruzione logica che sta tutta a carico dello spettatore.
Otto è uno spettacolo dove la storia narrata è il luogo della dispersione della narrazione stessa. Le possibilità del testo sono date proprio dalla esplosione di una storia che non cessa di scavalcarla aprendola all’infinito.
E’ un delitto. E’ il tentativo di ricostruzione della scena, dove però tutto slitta in una frammentazione continua di tempi e di spazi: la storia che raccontano e i gesti dei danzatori hanno il compito di costruire lo spazio della scena fino alla fine. Ma queste delimitazioni e queste scenografie, che rimandano per certi versi a Schlemmer, si svolgono all’interno di un tempo del racconto che non è una dimensione autonoma che lo percorre, bensì un intrico di frecce temporali che ne perforano lo spessore.
Otto stabilisce linee di instabilità che si aprono alla ripetizione continua dei caduti. Morti a causa di storie sconnesse e disomogenee dove gli eventi non si coniugano ma sperimentano contesti diversi.
Otto è anche uno spettacolo muto e sordo dove una danzatrice balla i suoni di una musica pop impercettibile perché diffuse privatamente in cuffia e un ballerino esegue movimenti di danza in apnea. Eppure si avvale anche di tempi comici, ma sempre sincopati e strozzati dalle evoluzioni simultanee delle storie altrui. Storie che ripetendosi costruiscono in realtà, solo una tessitura drammatica.
Attraverso Otto abbiamo apprezzato un’iniziativa che abitualmente vede l’uso di spazi pubblici e, ad Arezzo la palestra di una scuola, come ottimi strumenti di completamento dell’opera e luogo di smarrita sospensione del mondo.
Il pubblico si è imposto una grande attenzione ed ha recepito l’importanza dei propri rumori, facendo di questo ‘vuoto’ e di questo silenzio la modalità della propria ricezione. C’è infatti, chi ha applaudito a scena aperta senza fare incontrare davvero le mani e quindi senza alcun rumore!
Il silenzio è la forza di questo autistico movimento continuo, dove la scena, i corpi degli stessi danzatori e i loro gesti subiscono un processo di sottrazione per privilegiare la registrazione dei respiri, la coscienza dello spazio scenico e la puntualità dei tempi i cui ritmi incessanti hanno davvero ammaliato lo spettatore.
bio
Nata nel 1995 il gruppo fiorentino si prefigge il compito di mettere in tensione il rapporto fra l’oggetto e l’ambito a cui si riferisce con produzioni che mirano alla trasversalità di segni e alla non rappresentazione. Una ricerca che punta all’innovazione e all’interazione tra i vari linguaggi: spettacolo, performance, installazioni e produzioni video sempre alla ricerca di altri luoghi.
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