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exibinterviste la giovane arte – Francesco Carone
parola d'artista
Da Durer alla musica elettronica a Borges. Una raffinata ricerca estetica che nasconde labirinti concettuali fitti di rimandi colti e simbolici. Videoartista, scultore e non solo. Un artista giovane, non un giovane artista...
di Paola Capata
Le opere di Francesco Carone, pur essendo un giovanissimo, non sono di facile lettura. Già da una prima occhiata si presentano come densi agglomerati di simboli, ricche di rimandi misteriosi e complessi…da esse traspare un sapore fortemente “letterario”…Vuoi parlarmi della tua formazione, delle radici dalle quali nasce il tuo linguaggio?
Come hai giustamente osservato la letteratura ha per me e per il mio lavoro, una grande importanza. In particolar modo quella ottocentesca nella forma dei racconti brevi…da questi colgo liberamente le citazioni, le stravolgo e le reinterpreto a mio piacere. Ma anche la poesia ed ovviamente i romanzi in cui è presente il tema del mare e gli uomini che vi operano, sono fondamentali. Il mio autore preferito è sicuramente Louis Borges. Di lui apprezzo in particolar modo la capacità di illudere il lettore (ed a volte credo anche di illudersi) sulla veridicità dei suoi scritti.
Ma se parli della mia formazione credo di non poter assolutamente tralasciare il cinema, la musica, i fumetti, le collezioni, la natura e le scienze esatte, lo studio delle loro curiosità e dei loro paradossi, i testi ermetici, le immagini allegoriche che li accompagnano ed ultima, ma non come importanza, l’esperienza diretta con le realtà -spesso basse e feroci- della vita di tutti i giorni, con gli artigiani, con le loro disilluse gioie e le crudeltà ciniche, le polemiche infinite, le volgarità, le sentenze e la capacità di ignorare sempre (o quasi) la loro condizione non privilegiata; non aver mai avuto una bramosia fortemente personale sembra una cosa impossibile!
Ti posso giurare che poca letteratura è importante come vivere da sempre -imparando- con certa gente; cantare anche tu per le gioie o bestemmiare atrocemente per le sconfitte.
L’importante, credo, sia non pensare mai di volergli assomigliare per vezzo, ma sentirti veramente uno di loro, capace di guizzi incredibili ed inaspettati e di miserie indicibili: questa è l’unica scienza che non puoi comprare in libreria né ascoltare in un aula universitaria ma è la sola che ti impone veramente l’obbligo di frequenza.
Ecco le radici culturali che tento di far coincidere nei miei lavori, un mix di poesia eroica e brutale da ladro di galline e di rigore scientifico e simbolico.
Tu sei nato a Siena, dove tutt’ora vivi e lavori. Il fascino di questa città, con i suoi segreti medievali, il suo Palio, ancora chiusa nelle antiche dimensioni corporative, ha contribuito in qualche modo a “forgiare” il tuo gusto per le simbologie ed i rebus?
Probabilmente solo come bagaglio iconografico e formale.
Ho sempre immaginato Siena come un misterioso bosco, con la sua piazza chiamata “Campo”, con le sue torri alte come cipressi secolari, con i suoi cunicoli che si snodano sotterranei nel tufo come radici, con le sue fonti che disseminate in ogni dove, versano acqua come zampilli sorgivi o torrenti nervosi. Un bosco ricco di flora e di fauna dove è dolce osservare i particolari e le meraviglie che contiene e che nasconde, ma dove è anche facile perdersi o rimanere intrigati in qualche fronda lunga e spinosa; deve essere il filtro interiore a far da bussola e da orologio e far capire all’artista (ed a chiunque altro) come non farsi cogliere impreparati dall’imbrunire e come ritrovare sempre l’ uscita; in qualsiasi caso qualche fungo profumato o qualche frutto dolce nelle tasche sarai riuscito a mettercelo, per mangiarlo da solo o rivenderlo agli altri.
Nel tuo video I fuochi di Sant’ Elmo hai sovrapposto ventisei per volta, mediante una tecnica del tutto particolare, i fotogrammi del notissimo film di John Huston, Moby Dick. Il risultato è una visione accelerata, quasi un vortice di luce verde che rende il tutto decisamente surreale. Spiegami perché hai scelto proprio questo film e che significato ha questa tua particolare lettura.
Come tu saprai certamente, una parte del mio lavoro è tesa alla lenta costruzione di una nave, delle sue strumentazioni per la navigazione e di tutti quegli elementi che in qualche modo hanno contribuito a creare le leggende ed i miti del viaggiare per mare.
Nel capitolo CXIX di Moby Dick di H. Melville si parla dei fuochi di Sant’ Elmo che non sono altro che scariche elettriche che si formano sui pennoni delle navi durante le tempeste. Nel film di Houston una delle parti più dense di eroicità è proprio quando il capitano Achab cattura uno di questi insoliti fulminanti bagliori mediante il suo arpione da baleniere. Con il mio video, ho voluto trasformare tutto il film (che tra l’altro è uno dei miei preferiti) in una manifestazione il più simile possibile a tale indomabile energia verde.
Dal complicatissimo Moby Dick al video presentato alla T293 di Napoli, in cui una lampadina pulsava al ritmo quasi assordante di un battito cardiaco. Cosa significa il titolo che hai dato a quest’opera “la differenza tra noi e Dio è l’attrito” ?
La frase, densa a mio parere di significati, fu detta ironicamente da un mio amico chimico durante una discussione sulla caducità di tutte le cose terrene. La sua frase mi aprì gli occhi su come sia effettivamente l’attrito fisico a far degenerare la qualità di queste fino a farle giungere all’inevitabile fine, vincolando il varco di alcune soglie della materia. L’attrito di un piede contro il terreno, della rotazione terrestre nel sistema solare o delle particelle subatomiche all’interno di tutte le cose, è una sorta di limite o freno alle “esperienze estreme”. Le descrizioni di Dio parrebbero effettivamente quelle di un paradosso scientifico. Egli può, secondo le religioni, essere onnipresente battendo il tempo e le velocità, eterno ed immortale battendo l’attrito delle sue molecole e quindi il loro inevitabile deterioramento.
Ti ho visto appendere un enorme metro lungo il Palazzo delle Papesse a Siena ed alla T293 di Napoli (foto in alto), “misurare” le scale del Museo di Monsummano terme…sempre con questi grandi metri gialli, da sarto o da carpentiere..che significato hanno i numeri nella tua ricerca?
I numeri sono l’ unico vero grande codice per la soluzione di tutti i misteri dell’ universo.
Uno dei simboli che meglio esprimono, per me, il binomio di interessi che stavo spiegando in risposta alla tua prima domanda.
La poesia simbolica dell’imprevedibile abbinata al senso di rigore e di esattezza connaturata agli archetipi matematici.
Una volta, qualche mese fa, ho visitato il tuo studio a Siena e mi hai fatto vedere un’opera cui stavi lavorando. Si trattava di arpioni che avevi forgiato tu stesso, immergendoli successivamente in una particolare sostanza per dargli quella particolare patina di antico, di sangue e di vissuto…Quanto è importante per il tuo lavoro la componente manuale? Di solito quali sono i materiali che preferisci lavorare?
Non sembrava sangue, lo era veramente, ce li avevo immersi per temprarli.
Fatta questa precisazione, ti dico che la componente manuale ha per me un’importanza grandissima. In primo luogo perché delle mie mani mi fido più che di quelle degli altri; in secondo perché nell’ infanzia sono stato con persone dalle grandi capacità manuali che mi hanno contagiato, facendo sì che il lavorare diventasse anche una mia passione ed un divertimento fino ad essere il pretesto iniziale per i primi timidi tentativi di accostamento all’arte; terzo ed ultimo motivo perché fin dagli anni dell’asilo grazie alle mie capacità, sia nel fare un disegno o una qualsiasi altra cosa dove fossero necessari abilità manuali e ingegno, ho sempre ricevuto complimenti ed apprezzamenti e questo mi dava un’enorme sicurezza ed era motivo di vanto con i miei compagni…non vedo proprio perché dovrei smettere.
Quanto ai materiali che preferisco non ho mai posto limiti ad alcuni in particolare: uso sempre il materiale più idoneo tecnicamente e concettualmente alla realizzazione di ciò che ho in mente.
Parlami dei tuoi progetti. A cosa stai lavorando ora?
In questo preciso momento sto lavorando su idee prese e trasformate dal mondo della chimica, come in “corpisanti”, la mia personale inaugurata il 28 ottobre a Roma alla galleria El Aleph, ma continuo a portare avanti il discorso della nave e del viaggio (che non ha niente a che vedere con il senso di viaggio di cui in questo momento va molto di moda parlare). In generale sto cercando di semplificare sempre più la mia produzione per renderla più leggera, perlomeno alla vista. Sto cercando di usare la mia collezione di lame, dispensando tagli in qua e in là, cerco di racchiudere tutto il mio mondo in forme di più facile gestione. È un grande sforzo.
bio
Francesco Carone, classe 75, vive e lavora a Siena. Ha al suo attivo importanti collettive come “Pianeti”, Palazzo delle Papesse, Siena 1999; “Networking, giovani artisti in Toscana”, Monsummano Terme, 2001 a cura di Pier Luigi Tazzi, Bruno Corà e Sergio Risaliti; “Doppiavù”, 2002, rassegna itinerante di videoarte a cura di Massimiliano Tonelli. Nonostante la giovane età ha già avuto due interessanti personali: Francesco Carone-Pennacchio Argentato alla T293 A Napoli a cura di Massimiliano Tonelli e Paola Guadagnino e “Corpisanti”, El Aleph, Roma 2002 a cura di Maria Cristina Bastante.
gallerie di riferimento Isabella Brancolini, Firenze; T293, Napoli; El Aleph, Roma
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La personale di Francesco Carone a Roma
Francesco Carone-Pennacchio Argentato alla T293
Networking giovani artisti in Toscana
paola capata
Exibinterviste-la giovane arte è un progetto editoriale a cura di paola capata
[exibart]
Non sono d’accordo con la prima domanda. I lavori di Francesco non sono di difficile lettura, anzi sono esteticamente quasi pop e comunque spesso patinati. E’ complessa la lettura profonda e concettuale, ma quella estetica è lineare.
Devo dire invece che sono rimasto deluso da ciò che ho visto ad artissima da isabella brancolini. L’opera di carone sembrava qualche rivisitazione malriuscita delle opere poveriste e l’immagine esposta, del tutto gratuita.
artista tosto, l’ho visto a livorno.
Vertocchi Vertocchi…
Francesco Carone è uno degli artisti più poliedrici ed interessanti degli ultimi dieci anni. E’ onnivoro, polifagico, irritante agli sguardi dei mediocri, che travisano e confondono il suo linguaggio artistico. Sa fare arte, sa muoversi nell’Arte. Sono un suo ammiratore e sono un collezionista, qualcosa so anch’io di Contemporanea. Non mi meraviglierei se fosse il nuovo Cattelan. Vi sembra esagerato? Qualcuno ricorda il Cattelan degli inizi? Bravissimo Francesco, se vuoi, scrivimi.
Chi dice che il Carone scimmiotta l’arte Povera è un Povero… idiota. O è un fazioso come il dott. Vertocchi…
Ma perché F. Carone non risponde?
E’ un artista chiaramente tardo-poverista e, in quanto povero, forse non ci ha i sordi per il pc. Caron dimonio…