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exibinterviste – la giovane arte Marta Valenti
parola d'artista
Attraversare la fotografia come espressione degli affetti e fare dell’amore il motore anche dell’arte. Dall’esplorazione della propria identità, dall’archetipo della cura d’amore e della memoria ancestrale, all’incontro con gli altri. Il tutto illuminato da colori quasi irreali…
Partiamo da casa tua. Il soggetto delle fotografie alle pareti è soprattutto Marta. come nasce l’esigenza di lavorare su te stessa?
È proprio un sentire, fortissimo e quotidiano, di essere fondamentale a me stessa, di non volermi negare il piacere, il diritto, il dovere di partire dalla dimensione più vicina, appunto dalle stesse pareti che confinano i miei liquidi corporali. È proprio una semplificazione estrema, ed anche un voler affondare negli abissi, metterci le mani dentro e tirare fuori dalle profondità. Credo sia il ritenere sé stessi la fonte più ricca di luci e ombre.
Nei tuoi lavori più recenti comunque sono entrati anche gli altri, molti dei quali sono affetti. Ritrarli è ancora un modo per lavorare su di sé? È scoprire un’altra porzione di sé stessi attraverso le persone che ci sono vicine?
Si, anche questo. Mi avvicino agli altri come ad altri soli, altre lune, come ad altre realtà essenziali presupponendo che siano centri di loro stessi, ma lo stimolo che le persone care creano diventa fondamentale anche per conoscere meglio me e per disconoscere i miei limiti. Perché quando oltre i tuoi limiti c’è l’altro che vuoi raggiungere, allora rivedi te stessa e si rompono le barriere della solitudine, su cui lavoravo quando fotografavo principalmente me. Allora volevo conoscere quel mondo di solitudine ed il suo equilibrio interno, volevo essere sicura che ci fosse una dimensione che avesse una misura di autosufficienza, che poi mi sono accorta essere limitata.
Anche la costruzione dell’immagine è molto cambiata…
Mentre prima, vedi Burripapà, la camera era fissa ed il corpo per intero si muoveva all’interno dell’inquadratura, ora, in Sleepinblue per esempio, ci sono dettagli di corpo. L’estetica è molto diversa e lo scatto è diventato spontaneo.
Ai tempi avevo bisogno di costruire molto di più, e anche se non ho mai messo su dei set da LaChapelle, sentivo la necessità di creare una certa estetica inattaccabile, confrontandomi a quel tempo ancora con l’ambiente della fotografia. Invece ora più fortemente credo di poter carpire, con la semplicità, quell’essenza magica che si mostra nel quotidiano. Adesso ho cura che sia la realtà a venire a me. Ora la mia macchina fotografica si stacca poco da me, è un po’ un prolungamento del mio corpo, non uso più il cavalletto né l’autoscatto.
E rispetto alla tua primissima produzione anche i colori sono esplosi, dal b/n ed i colori tenui sei passata al rosso e al giallo accesi, ai blu vivaci. Il colore è un elemento fondamentale nella tua arte…
È vero. In assoluto adesso il turchese, che è l’oggetto del desiderio e della ricerca, è il colore del mio bisogno esistenziale. È come relativizzare la confusione con la dimensione dell’azzurro, come quando fai il morto a galla con il respiro del mare, quando sei nel blu e guardi l’azzurro del cielo. Ecco, adesso in me sento una tendenza ad abbassare le tensioni, per cui sto entrando in nuove dimensioni creative, che portano un po’meno concetti e parole.
In molti tuoi lavori si percepisce un profondo attaccamento alla terra. Traspare dalla forte carnalità di alcune immagini, dalla fisicità espressa proprio dal toccare il suolo, dai colori accesi della natura…
Credo che sia una componente spontanea, non è una posizione di ricerca intellettuale. Credo che ci sia un bisogno di riconoscersi, di andare esplorando per avere una visione maggiore della forte componente emotiva, sentimentale, energetica, perché a volte ho la sensazione che ci siano degli inquinamenti di immagini e di concetti che deviano dai flussi fondamentali di cui gli esseri umani hanno bisogno. Si teorizza troppo senza arrivare mai a quello che veramente cerchiamo nell’esistenza.
Come vedi il tuo futuro? Quali progetti hai?
So che arriverò al video. Comincio a vagheggiare di diventar regista, di dirigere situazioni, di fare come da enzima che sollecita.
Riservo poi una certa speranza e golosità nei confronti della fotografia di moda che ho appena “assaggiato”, perché effettivamente credo di potermici divertire.
bio
Marta Valenti, nata a Roma nel 1977, lavora tra Roma e Milano, ma definisce l’isola di Ventotene il paradiso della sua creazione.
Nel 2001 si diploma all’Istituto Europeo del Design di Roma e nello stesso anno è menzione speciale della Biennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo.
Tra le sue mostre: Enzimi 2001 Segnali di vita, Campo Lanciani, Roma; Alice allo specchio, Ass. cult. Futuro Roma, a cura di A. Pieroni, 2001; Riparte 2001 spazio Galleria Estro, Ripa Suite Hotel, Roma (a cura de Il Ponte Contemporanea e 2RC); Signs of Light. Prospettive oltre l’immagine, Monteprandone (ap), Palazzo Parissi 2003; 2ennale Adriatica di Arti Nuove, San Benedetto del Tronto (ap), Palazzina Azzurra e Mercato Ittico 2003.
federica la paglia
[exibart]
oramai foto così le trovi un pò ovunque…
basta aprire io donna,,d,vanity fair.tutte uguali.
scusa ma su d, donna e vanity fair il livello delle immagini è molto più alto…( la foto con la simil vergine Maria credo di averla vista ormai un milione di volte…basta !)
P.S.
ma si dai datti alla regia…magari tra qualche anno sforni video a go-go per gli articolo 31. (sempre che i Manetti bros.vadano in pensione )