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Icone marginali
altrecittà
di nicola davide angerame
Dal giubbotto di pelle del Selvaggio, al cappotto di Neo, protagonista di Matrix. E non è solo una questione di mode. Qui si parla di vere e proprie Icone. Nate, cresciute e divulgate all’interno di quella che viene genericamente definita cultura di massa. Che poi si rivela essere un orizzonte variegatissimo. Ne parla Carlo Branzaglia nel recentissimo volume Marginali, che è lo spunto per la nostra riflessione…
Dal giubbotto di pelle del Selvaggio, al cappotto di Neo, protagonista di Matrix. E non è solo una questione di mode. Qui si parla di vere e proprie Icone. Nate, cresciute e divulgate all’interno di quella che viene genericamente definita cultura di massa. Che poi si rivela essere un orizzonte variegatissimo. Ne parla Carlo Branzaglia nel recentissimo volume Marginali, che è lo spunto per la nostra riflessione…
Da sempre la Storia si nutre di paradossi e contraddizioni. E quella delle immagini non fa eccezione. A partire dal secondo Novecento, la massificazione di ogni settore della vita associata determina una nuova ondata di dilemmi, felicemente coesistenti. La parola chiave dell’epoca è “democratizzazione”. Dopo la radio, è il cinema della vittoriosa american way of life che impone le prime icone di una controcultura popolare, eroica e maledetta. La voglia di libertà e la ribellione trovano i propri simboli nel chiodo del Selvaggio di Marlon Brando o nelle Harley Davidson di Easy Rider, emblemi della nascente Kustom Kulture.
Nello stesso periodo la beat genaration impollina l’immaginario con la poesia della strada, delle metropoli Moloch, della disperazione e dell’avventura. Un sentimento di liberazione derelitta e dolorosa, vissuta come ricerca del sé autentico che nella San Francisco Bay assume il surf come status symbol. L’immaginario giovanile è scosso dalle prime strip di fumetti, di quel Superman che diverrà gran cerimoniere nelle vetrine del giovane Warhol alla conquista di New York. E’ in questa declinazione, di mass culture, che l’immaginazione va al potere, generando un mondo in cui la moda, i sogni, i comportamenti, le arti ed i rapporti sociali vengono ridefiniti.
Gli anni Sessanta e Settanta sono rigonfi di movimenti alternativi, controculture e neo-avanguardie artistiche, che si intrecciano con gli ideali e le utopie per mettere in subbuglio le democrazie occidentali. Ideali che parlano del potere dei fiori, dell’amore e di dimensioni sconosciute della percezione che per alcuni anni si realizzano in parte in una “arcadia felix” allestita nei parchi delle metropoli progredite o nelle comuni campestri. In questo frangente l’indipendenza si esprime attraverso la liberazione linguistica che, oltre all’esperienza sensoriale, passa attraverso le immagini e la musica e si muove verso l’indagine delle potenzialità umane.
La Poster Art, che si diffonde con la musica rock, è una prima fonte iconografica che offre esempi di queste visioni “marginali” del mondo. Ciò che affascina e disorienta, nella lunga storia delle iconografie alternative, è la quantità di contatti con l’arte e con il mercato. Un intreccio che segna le evoluzioni dei movimenti giovanili legati alla musica (punk, rock, rap o techno), agli sport (skateboard, surf o snowboard), alle nuove guerre tribali (come quelle tra gang, poi trasformate dalla cultura hip hop in sfide tra rapper e break dancer) o alla tecnologia. Dopo la svolta che Philip Dick imprime alla letteratura di fantascienza, l’estetica cyberpunk giunge alla sua apoteosi commerciale con Matrix dei fratelli Wachowsky, che così celebrano l’incontro aureo tra fumetto e cinema. Ma prima di raggiungere l’osanna delle major, la strada dell’immaginario cyberpunk si alimenta di icone che non sono estranee alle ricerche della Body Art.
Da questo ampio e variopinto sottosuolo spirituale, habitat di chi non si riconosce nei codici standard della comunicazione e dell’intrattenimento, sorgono le ricerca stilistiche con le quali l’Io risponde alla massiccia potenza di fuoco visivo con cui viene aggredito da quelle che Paul Virilio chiama le nuove “armi di comunicazione di massa. Di questa genia di “diversi” si occupano da tempo gli scritti di Carlo Branzaglia, pubblicati in cataloghi e riviste (come Artlab), ora raccolti nel volume Marginali: iconografie delle culture alternative, edito da Castelvecchi (Roma 2004). In questo viaggio, rapsodico e ricco di informazioni che attraversa le culture marginali, l’autore indica la tecnologia come strumento in grado di cambiare il panorama delle iconografie. Un esempio su tutti: la rivoluzionaria fotocopiatrice. Anche grazie alla sua prolificità i personaggi della Bay area di Frisco, della Londra punk o della New York underground sono divenuti anticipatori di stile, sismografi di rivoluzioni estetiche e comportamentali capaci di inondare la comunicazione di massa, dalla pubblicità alla moda. Magari attraversando il campo dell’arte.
La democratizzazione estetica passa per il progresso dei mezzi espressivi e riproduttivi, senza i quali le nuove tribù urbane, studiate in Italia anche da Achille Bonito Oliva attraverso alcune mostre, non potrebbero esprimersi: fotocopiatrici, videocamere, macchine fotografiche, registratori portatili, bombolette spray e personal computer. Sono gangli vitali di una rete prima della rete, un villaggio globale fatto di mezzi meccanici, stratificati e comunicanti prima dell’avvento del digitale, che oggi rischia di produrre un ammutinamento degli stili. La net art e l’acktivismo, atti di resistenza alla comunicazione a senso unico, presentano il pericolo di una dissoluzione iconografica nello stesso istante in cui il blog sembra far rivivere l’idea della radio di quartiere e della televisione alternativa (come quella undeground e goliardica di Warhol), entrambe spazzate dai canali “commerciali” la cui estetica ha spesso riciclato le iconografie marginali, come dimostra MTV. Con i programmi d’impaginazione, la nuova iconografia passa oggi dalle riviste che, smessi i panni “poveri” della fanzine, stanno attraversando le arti, la moda e il design con rinnovata energia.
E le istituzioni? Stanno a guardare il variegato panorama che nutre e si nutre dei codici pop seguendo una pratica generale del prelevamento. Michel De Certeau nel suo Invenzione del quotidiano, nota come le “sottoculture” (per dirla con il capostipite dei Cultural Studies Dick Hebdige) siano una reazione al flusso egemonico dei messaggi-prodotti, un superamento dello stato di passività, attraverso una tattica di elaborazione e distorsione di immagini e di scopi, indipendenti dall’idea guida del profitto. Una resistenza creativa alla mercificazione.
Per descrivere le iconografie marginali, occorre dunque adottare una visione organica, biomeccanica, dell’innesto e della genetica artistica, sostituendola al darwinismo linguistico ed al progressismo stilistico. La cultura alternativa è gestita dal basso, nutrita da una spontaneità definalizzata, che secondo il filosofo della Critica del Giudizio, Immanuel Kant, segna l’origine e l’essenza stessa dell’opera d’arte.