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Arte contemporanea e tradizione. Una domanda su Nietzsche
altrecittà
di Maria Cristina Strati
Nell’arte contemporanea come potrebbe avvenire il rapporto alla tradizione? Siamo ancora in grado di fare storia e inventare nuove metafore? Per rispondere a queste domande, una rilettura consapevole di Nietzsche è forse un’urgenza improrogabile...
di Maria Cristina Strati
Nell’arte contemporanea come potrebbe avvenire il rapporto alla tradizione? Siamo ancora in grado di fare storia e inventare nuove metafore? Per rispondere a queste domande, una rilettura consapevole di Nietzsche è forse un’urgenza improrogabile...
di redazione
L’ultimo numero di Flash Art dedicava un’ampia sezione della rivista alla giovane pittura italiana. Scorrendo quelle pagine emerge in modo ricorrente l’idea di una nuova figurazione che fa appello più o meno polemicamente alla tradizione artistica e culturale. A questo riguardo, pare quasi sorprendente l’attualità di un pensatore storico come Friedrich Nietzsche. E se il pensiero nietzscheano non è mai stato trascurato dalla filosofia, ci sembra che forse mai come oggi esso possa offrire alcuni elementi decisivi ancora da pensare in ambito artistico.
Non è facile individuare una vera e propria estetica di Nietzsche, che renda conto di tutto il suo percorso di pensiero, e le interpretazioni sono numerosissime e variegate. Tra le diverse letture ci pare di particolare interesse ai fini del critico quella di Gianni Vattimo (Dialogo con Niezsche, Garzanti, 2000), che mette in relazione la nozione nietzscheana di nichilismo con il pensiero di Heidegger e con la storia della cultura occidentale postmoderna. Questa interpretazione sembra particolarmente produttiva e stimolante proprio in riferimento al rapporto arte contemporanea e tradizione.
Nel saggio Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Nietzsche identifica la nozione di malattia storica. Malato di storia è l’uomo moderno, epigono cosciente di una tradizione troppo pesante e cospicua che gli impedisce, in sostanza, di produrre nuova storia. La risposta alla malattia storica giace, da questo punto di vista, nell’acquisizione di un atteggiamento nichilista.
Esistono però, secondo Nietzsche, due tipi di nichilismo. Il primo è quello reattivo, proprio dei risentiti che cercano di emanciparsi violentemente e polemicamente dalla tradizione, svincolandosi da essa con un tratto brusco. Così facendo però rischiano di ricadere proprio in ciò di cui volevano liberarsi, come un nevrotico freudiano che nasconde gli scheletri nell’armadio.
Esiste poi un nichilismo attivo o creativo: è l’ Oltreuomo (Übermensch), che con un po’ di ironia e benevolenza riesce a rendersi indipendente proprio perché sa utilizzare per nuovi fini, con un atto storico, ciò che la storia e la tradizione gli hanno tramandato. Non è un eroe, ma un convalescente che, come dice Vattimo, si rimette alla tradizione da cui proviene proprio come ci si rimette da una malattia.
Ma nell’arte contemporanea come dovrebbe o potrebbe avvenire oggi il rapporto alla tradizione? In che modo si configura il corretto rapporto alla storia che ci ha preceduti? Siamo ancora in grado di fare storia e inventare nuove metafore? Da questo punto di vista, e per rispondere a queste domande, ci pare che una rilettura consapevole di Nietzsche sia quasi un’urgenza improrogabile. In tal senso infatti l’operare artistico e culturale può configurarsi nei termini dell’interpretazione.
Così, ad esempio, se la pittura contemporanea più recente si ispira spesso e volentieri a stimoli e spunti di carattere eterogeneo (il cinema, la pubblicità e soprattutto la fotografia), mentre la scultura si pensa sempre più in relazione e in dialogo con lo spazio espositivo e architettonico, ogni forma artistica recente sembra aver completamente superato la distinzione tra materiali propriamente artistici e non. Il rapporto alla tradizione si configura così oggi frequentemente come un ripensamento e una rielaborazione proprio dei linguaggi artistici tradizionali, senza eludere la possibilità creativa della contaminazione: si pensi alla Young British Art degli anni novanta, ma anche appunto alla Nuova Figurazione in pittura. Gli esempi però potrebbero essere numerosissimi. E’ infatti in questo senso che l’opera d’arte pare oggi collocarsi al crocevia di esperienze esistenziali, sociali e culturali concomitanti: ogni esperienza viene così a far parte di un patrimonio creativo a cui è possibile attingere continuamente in un lavoro di creazione e interpretazione dalle molteplici e infinite possibilità.
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Maria Cristina Strati
[exibart]
bellissimo, ben scritto, ma …mi sfugge la conslusione
in realtà la ricerca è in corso, perciò la conclusione a rigor di termini non c’è ancora.
Perciò nel titolo scrivo “una domanda su Nietzsche”…
grazie comunque per i complimenti!
una domanda. Quale è la disciplina maggiormente ‘utile’ al critico d’arte?
teatro
cinema
letteratura
o proprio la filosofia?
Io vengo da studi filosofici e perciò li ritengo imprescindibili. Però ritengo che un critico non possa fare a meno di una visione culturale ad ampio spettro su ciò che accade. Ognuno poi ha il suo punto di vista, fa le sue scelte e le sue ricerche, in cui magari la validità è data dalla coerenza, non so…
Dici bene Maria Cristina, se un critico non ha una visione culturale ad ampio spettro che critico é?
Un critico come può capire lo spirito che muove l’artista se non conosce l’epoca che rappresenta?
Per capire bisogna conoscere, l’importante è che il critico sia imparziale nel giudicare sia l’Arte Contemporanea che l’Arte Trazionale.
Bella, nella sua semplicità, la questione posta da Peppe sul ruolo della critica oggi. Ovviamente viene naturale dire che il critico non debba precludersi alcuna strada, deve sapersi disimpegnare bene nel campo delle discipline scientifiche tradizionali, conoscerene storia ed evoluzione. A questo aggiungerei che deve avere anche la sensibilità e, per certi versi, l’umiltà, di mettersi sempre in discussione non avendo paura, in alcuni frangenti, di metter tutto da parte e ricominciare da capo. L’arte contemporanea oggi spesso si genera da premesse di low culture e magari invece si sviluppa verso direzioni hi-tech seguendo le mode ed inclinazioni giovanili. Ingabbiare questa ricerca secondo procedimenti logici tradizionali può essere talvolta stimolante e foriero di interessanti soluzioni ma anche pericoloso e fuorviante. Il critico deve assumere innanzitutto una posizione di discente di fronte ad un progetto artistico e solo in seguito studiare e sviluppare una propria analisi ed un personale giudizio (anche di qualità perché è importante schierarsi). Ultima cosa: tanto più difficile e cervellotica e complessa è l’analisi di un critico tanto meno efficace, utile e necessaria sarà la sua opera. La bellezza dell’arte, per quanto complesse siano le premesse tecniche e scientifiche, per quanto sofferte siano le strade psicologiche ed intellettuali dalle quali si muove, è di una semplicità disarmante.