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Laurea in Semiotica presso l’Università di Bologna con la tesi “Semiotica del colore, il blu” (1986) Elena Arzuffi ricrea linguaggi artistici mutuati dalle sue esperienze come computer grafica. Dopo una serie di esposizioni l’artista ha realizzato la sua prima personale in rete, in “Blackmaria” (Project Room della galleria Maria Cilena), all’indirizzo www.blackmaria.net in ActiveWorlds CHELSEA@20S 4 E facing N. I suoi ambienti visivi utilizzano due livelli di ricerca; le immagini, sempre in coppia, sono poste in continuità ed in opposizione narrativa, mostrando relazioni irrelate tra un interno ed un esterno, un dentro e un fuori. Panorami lucidi, surreali e virtuali, fanno da contrappunto a personaggi tridimensionali che interagiscono visivamente con scenografie televisive, scene filmiche e cartoni animati. L’esterno è ciò che si vede, uno sguardo sulle forme esteriori, l’interno sono i congelamenti operati dalle fotografie e i movimenti che attraversano i due video – Casa di bambola e Abitudini solitudini. Proiettati in sequenza continua su un piccolo schermo TV sono racconti a sé stanti della durata di circa 3/5 minuti. Elena Arzuffi affida la realizzazione del montaggio a un professionista, Walter Papini, mentre gli sfondi sonori sono musiche di Mendelson – Bartoldi e Prince. Ripresi in telecamera digitale – questo mezzo permette, fra l’altro, di girare vedendo il lavoro finito – traducono immagini trasparenti, particolarmente nitide, colori vivaci e visioni iperrealiste. Tra le specificità del nuovo strumento, rispetto ai risultati delle altre camere, l’assenza di grana. Il digitale non utilizza i tradizionali supporti, quindi è come poter lavorare con una seconda pellicola (color corrector) in real time. Così notevolmente amplificate le possibilità creative, E. Arzuffi ambienta le sue storie utilizzando movimenti lentissimi in spazi simili a video-giochi. Sono immagini che attraversano le ripetizioni degli atti quotidiani, le abitudini, raccontando il vuoto e il pieno del vivere.
L’amore che cerca risposte di radicale rispetto, tra persone che traducano i propri abiti in attenzioni affettive, memorie delle ricchezze ricevute e radicali responsabilità dei propri pensieri e dei propri gesti quotidiani, si traduce in morte, nell’uccisione dell’uomo che la donna scopre essere uomo dietro al quale non c’è niente e nessuno. Le scene fotografica in cui una donna è all’interno di una stanza riempita con cose d’uso domestico si affianca a una foto successiva in cui le stesse cose dispaiono; resta la solitudine della persona, a guardare di spalle ciò che resta di quell’ambiente: di fronte al proprio vissuto, in un attimo di pausa, di riflessione quotidiana – in un backup sull’esistenza rimane una parete vuota, chiusa. In un diverso contesto un’altra ragazza guarda verso una finestra coperta da un colore materico e nero. In una seconda immagine ritroviamo la stessa stanza, svuotata, e la stessa persona guardare ancora quella medesima finestra, che resta ancora serrata. Nella prima sala della galleria, accanto a immagini che alternano ambienti domestici a luoghi esterni alle mura private, una piccola casa di legno, un luogo di cui è possibile vedere lo spaccato. Dentro alcuni oggetti d’arredamento – non ci sono le persone – le stanze sono vuote, le cose legate; corde che negano la musica a un pianoforte, impediscono a due sedie, tra loro diverse, di continuare ad essere oggetti d’uso. Gli oggetti sembrano rivoltarsi di fronte ad esistenze imprigionate nella noia, deprivate e depotenziate di quei momenti di autoriflessione – in cui il sé persona, messosi in questione, dovrebbe farsi coscienza dei propri contenuti di esperienza. Esposto anche un light-box, realizzato su una pellicola di duratrans. La foto è illuminata da dietro con luci al neon. Con questa tecnica è possibile riambientare la luce dell’originale, catturata dalla scena di un film. Usando tempi di esposizione molto piccoli – 1/20 di sec – Elena Arzuffi ottiene risultati visivi che bypassano il refresh televisivo. La macchina fotografica, appoggiata sul cavalletto, illumina insieme e contemporaneamente due elementi: l’immagine catturata e l’oggetto.
La non prospetticità e la non proporzionalità degli oggetti rispetto alle immagini fotografate consente di vedere i piccoli oggetti in tridimensione rispetto agli ambienti su cui si affacciano. Un piccolo uomo, sullo sfondo di una cucina, sembra al limite, sulla soglia, tra il di fuori e il di dentro di quello spazio visivo. Le cose appaiono in bilico, un lampione, una bambola, una ragazza in bicicletta, un bambino, un androide, piccoli pezzi di plastica che si animano di vita nuova in relazione alle immagini. Inoltre, per migliorare l’effetto tridimensionale delle fotografie, opacizzate e scattate su supporti in alluminio, si è pensato di supportarle con una struttura in legno; ciò permette alle foto di sbalzare dal muro, sovraesposte alla parete, suscitando un’impressione di proiezione verso l’esterno e in chi guarda un sentimento di coinvolgimento dentro i linguaggi etico-estetici posti in essere da questa esposizione.
Tullio Pacifici
Per saperne di più
CHELSEA è un progetto ideato dall’artista Miltos Manetas, dalla curatrice Ginger Freeman e dall’architetto Andreas Angelidakis. Utilizzando le tecnologie messe a disposizione dalla società Activeworlds che opera nel campo della realtà virtuale 3D in Internet, hanno costruito una città dell’arte chiamata come il famoso quartiere Newyorkese. Per visitare CHELSEA e volendo gli altri 700 mondi disponibili, è sufficiente scaricare un piccolo software dal sito www.activeworlds
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Fino al 2.IV.2001
Elena Arzuffi backup
Galleria Maria Cilena, Via Ariberto, 17, Tel/fax: 028323521, mail:cilenart@tin.it web site www.mariacilena.com
Orario d’apertura: da martedì a sabato dalle 15.30 alle 19.30 e/o su appuntamento.
Chiusura: lunedì e festivi.
Ingresso libero.
In galleria è disponibile un pieghevole con immagini ed esperienze espositive di Elena Arzuffi e la scheda del video Casa di bambola, a cura di Elena Borghignon, corredata da bibliografia del video.
Per arrivarci: MM2 stop S. Agostino
[exibart]