03 settembre 2001

Fino al 24.IX.2001 Salgado – In Cammino Modena, 51° Festa Provinciale de l’Unità

 
In Cammino di Salgado è una mostra che sta viaggiando per l'Italia ed il mondo; è una forte denuncia sulle migrazioni di popoli che si spostano a causa di devastazioni naturali o per guerre che ancora oggi interessano il più parti del mondo...

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Era il 28 giugno dello scorso anno quando è stata presentata al pubblico italiano, nella prestigiosa sede espositiva delle Scuderie Papali di Roma, la mostra In Cammino, successivamente è stata proposta a Milano ed ora (per chi non avesse ancora avuto modo di vederla) esposta a Modena nell’ambito della Festa de l’Unità.
E’ una mostra importante, un reportage “classico” con foto profonde, d’alto contenuto sia per quanto riguarda l’aspetto sociale che compositivo.
Salgado, ex fotografo dell’agenzia Magnum, crea nel corso di 6 anni di riprese un vero e proprio documento, una ricerca sociale sul fenomeno delle migrazioni di popoli che per motivi diversi sono costretti a lasciare le proprie terre alla ricerca di nuovi spaz, e il risultato è in questa mostra itinerante di oltre 300 immagini.

La mostra è composta da 5 capitoli (da com. stampa) :

EMIGRANTI E RIFUGIATI: L’ISTINTO DI SOPRAVVIVENZA

Quasi sempre, chi emigra lascia la propria casa colmo di speranza, mentre di solito i rifugiati sono spinti dalla paura. Ma gli uni e gli altri sono animati dall’istinto di sopravvivenza. Travolti da un vortice di miseria e violenza che va oltre la loro comprensione, per loro l’unica via d’uscita è partire.
Molti emigranti che provengono dal Terzo mondo si dirigono alla volta di grandi città, dove spesso si ricongiungono con familiari partiti prima di loro e con il passar del tempo si costruiscono rudimentali alloggi. Ma i più ambiziosi fanno rotta per gli Stati Uniti o per l’Europa. Il viaggio è lungo e irto di pericoli, ma agli occhi di messicani, marocchini, vietnamiti, russi e tanti altri, i rischi sono giustificati dal sogno di una vita migliore. E se riescono a raggiungere la loro destinazione, di rado si voltano indietro.
Nessuno diventa rifugiato per scelta. Eppure i civili sono le prime vittime dei conflitti regionali del nostro tempo. Milioni di curdi, afgani, bosniaci, serbi e kosovari sono stati costretti a fuggire dai loro villaggi e dalle loro città. E al pari dei palestinesi, che vivono da decenni in campi profughi, il loro sogno è tornare a casa. Ma per alcuni la rottura con il passato diventa irreversibile: da rifugiati divengono esuli, e da esuli emigranti.

LA TRAGEDIA DELL’AFRICA: UN CONTINENTE ALLA DERIVA

L’Africa vive ormai da tempo il trauma della sofferenza e della disperazione, e i suoi popoli recano le profonde cicatrici della povertà, della fame, della corruzione, del dispotismo e della guerra. A queste piaghe si è ora aggiunto l’Aids, che sta decimando la popolazione di molti paesi dell’Africa centrale e meridionale. Quasi ovunque si sono estinte le speranze suscitate dalla conquista dell’indipendenza, che ormai risale a quarant’anni fa. Quasi ovunque, la situazione è in via di peggioramento.
Una rara eccezione è costituita dal Mozambico, dove la guerra civile è finalmente terminata dopo decenni, consentendo a centinaia di migliaia di rifugiati di tornare alle proprie case. Invece la guerra infuria ancora in Angola e nel Sudan meridionale, costringendo milioni di persone alla fuga. E, come sempre, i civili, fra cui una miriade di bambini, sono
pedine impotenti di un gioco di denaro e potere i cui protagonisti sono i capi politici, religiosi e tribali.
A volte si ha l’impressione che Stati Uniti ed Europa abbiano abbandonato l’Africa, considerandola irrecuperabile. Di certo hanno fatto ben poco per mettere fine al genocidio del Ruanda nel 1994, in cui sono periti, secondo le stime, un milione di Tutsi. In seguito, il conflitto ha oltrepassato i confini del Ruanda riversandosi nello Zaire (oggi Congo),
dove centinaia di migliaia di rifugiati Hutu sono le nuove vittime dei conflitti etnici alla base delle vicende politiche dell’Africa centrale. Ormai sono entrati in guerra anche i vicini del Congo.

AMERICA LATINA: ESODO DALLE CAMPAGNE, CAOS NELLE CITTÀ

La storia recente dell’America Latina è caratterizzata dalla migrazione di decine di milioni di contadini verso le aree urbane. Fin dall’epoca coloniale, le migliori terre coltivabili del continente sono in mano a una minoranza ricca, mentre la popolazione rurale è da sempre di una povertà estrema. Oggigiorno, la meccanizzazione dell’agricoltura e l’uso
sempre più frequente di terre coltivabili a pascolo per il bestiame hanno ulteriormente ridotto le possibilità ccupazionali per i contadini senza terra. Intanto le famiglie crescono, e l’unica via d’uscita diventa l’emigrazione.
Ma vi sono comunità che si rifiutano di darsi per vinte: gli indios del Rio delle Amazzoni lottano per non cedere le terre che appartengono da sempre alle loro tribù a chi specula sull’oro e alle imprese del legname; i ribelli zapatisti del Messico meridionale combattono per recuperare le terre che gli alleati del regime politico hanno confiscato llegalmente;
in Brasile, il movimento dei “senzaterra”, divenuto ormai una forza politica ben organizzata, occupa sempre più frequentemente le aziende agricole improduttive appartenenti a privati, sfidando la repressione posta in atto dai proprietari.
Tuttavia, per gran parte della popolazione rurale dell’America Latina la battaglia è ormai perduta: in Ecuador vi sono villaggi montani popolati quasi esclusivamente da donne e bambini, perché tutti gli uomini sono emigrati nelle città o nelle zone costiere. E in tutto il continente latino-americano, il prodotto inevitabile di quest’esodo sono metropoli Salgado, In Cammino
gigantesche, afflitte da problemi di gestione insolubili, come Città del Messico e San Paolo del Brasile: qui, soffocati da bidonville popolate da migranti, neanche i privilegiati sfuggono più alla violenza urbana.

ASIA: IL VOLTO NUOVO DEL MONDO URBANO

La fuga dalla miseria delle campagne ha dato all’Asia un nuovo profilo urbano. Per i contadini del Bihar, uno degli Stati dell’India, per gli agricoltori di Mindanao, un’isola delle Filippine, per i pescatori del Vietnam, le città esercitano un magnetismo irresistibile. Attratti dal miraggio della vita cittadina presentato dalla televisione, i migranti molto spesso non immaginano gli stenti e le privazioni che li attendono. E così, l’esodo continua.
Dal Cairo a Shanghai, da Istanbul a Jakarta, da Bombay a Manila, questa migrazione di massa, cui contribuisce l’alto tasso di natalità, ha dato vita a megalopoli estesissime. Già oggi, la maggioranza delle più grandi città del mondo si trova in Asia. Il trend è irreversibile: la rapida crescita economica che ha caratterizzato gli anni Ottanta e gran parte
degli anni Novanta ha accelerato l’espansione delle metropoli, ma quando le economie asiatiche, alla fine degli anni Novanta, hanno conosciuto una crisi breve ma acuta, nessuno di quanti erano emigrati in città ha fatto ritorno al proprio villaggio.
Forse il cambiamento più repentino è stato quello di Shanghai: in appena dieci anni questa metropoli della Cina meridionale si è trasformata fino a diventare irriconoscibile. Eppure, nonostante i lussuosi complessi finanziari e i centri commerciali che caratterizzano la “nuova” Cina, Shanghai è ancora lontana dall’offrire un lavoro e un alloggio adeguato a una popolazione cresciuta a dismisura. In questo senso, essa è emblematica di tutte le megalopoli: a tutt’oggi, una vita migliore per gli emigranti poveri è più una promessa che una realtà.

RITRATTI DI BAMBINI IN CAMMINO

I bambini che compaiono in queste fotografie sono simili ad altre decine di milioni di bambini che vivono nelle bidonville, nei campi profughi e nelle comunità rurali dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa. In questo senso sono stati scelti a caso. D’altra parte, sono dotati di un’orgogliosa individualità, perché – in un senso diverso ma molto reale – hanno scelto loro di farsi fotografare.
Un bel giorno, hanno visto uno straniero con la macchina fotografica: elettrizzati da quella novità, hanno cominciato a schiamazzare tutti eccitati. Poi, come compenso per aver consentito al visitatore di lavorare in pace, sono stati invitati a mettersi in fila per essere fotografati. Di colpo il loro comportamento è cambiato: sono sfilati uno a uno davanti alla macchina fotografica, e sono stati loro a decidere in che modo farsi ritrarre.
In tutte le situazioni di crisi, le prime vittime sono i bambini, innocenti per definizione poiché non hanno alcun controllo sul proprio destino. Ma se è vero che le loro storie sono quelle dei loro genitori, è anche vero che i bambini hanno un modo tutto loro di viverle e di raccontare la propria vita. Attraverso gli abiti che indossano, la posa che assumono, attraverso l’espressione del viso e degli occhi, i bambini raccontano la loro tristezza e la loro sofferenza. Ma qualche volta parlano anche di allegria e di speranza… o così ci piace credere.
La verità è che noi adulti possiamo soltanto immaginare che cosa provano questi bambini. Ma almeno, qui li vediamo come loro stessi hanno scelto di essere visti. Davanti all’occhio della macchina fotografica sono soli. E forse per la prima volta nella loro giovane vita, possono dire: “io sono”.


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Maurizio Chelucci




Modena, 51° Festa Provinciale de l’Unità – Ponte Alto
tutti i giorni dalle 18 alle 24
ingresso libero
per le scuole aperture straordinarie su prenotazione tel. 059/582811
Dal 30 agosto ­ 24 settembre 2001

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