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Già negli anni ’50 Giuseppe Panza di Biumo si era dedicato a raccogliere opere di artisti dalla vocazione spirituale (Rothko, Fautrier, Kline, Tàpies) quindi, dopo una breve infatuazione per le correnti Neodada e Pop, maturò una vera e propria dedizione alle sperimentazioni Minimal e Conceptual, attratto in particolare dal fascino intellettuale degli artisti la cui ricerca era rivolta al campo delle percezioni sensoriali e all’assoluta sintesi nel rapporto tra uomo, spazio e luce; li chiamarono minimalisti processuali, perché la loro indagine si attuava sulla base di forme geometriche essenziali collocate in spazi vuoti, a creare opere che hanno la capacità di attivarsi al passaggio dello spettatore che, entrando nello spazio da esse abitato, ne subisce l’azione a livello sensoriale, visivo e tattile. Caratterizzate da una atmosfera che ne esalta il silenzio e l’essenzialità spirituale, l’effetto finale delle opere finisce per trasferirsi nel visitatore ad un piano tutto mentale, innescando processi evocativi che si traducono in stati d’animo e di coscienza.
Purtroppo le opere nate in questo contesto culturale, mostrando talvolta una certa affinità con la land art, spesso ne condividono anche la condizione di opere difficilmente allestibili se non in spazi e luoghi adeguati. Ciò determina la conseguenza che oggi spesso dobbiamo accontentarci di progetti, disegni o, al massimo, filmati e fotografie. La collaborazione tra Giuseppe Panza e la Guggenheim acquista perciò, alla luce di ciò, ancora maggior rilievo, perché fondata su un progetto concreto di destinare le opere più rappresentative della collezione Minimal e Conceptual dei Panza nelle sale della futura sede veneziana della fondazione, al cui progetto è stata già data diffusione sugli organi di stampa. Una parte considerevole della collezione Panza è stata infatti acquistata, donata, oppure ceduta in prestito al Museo Guggenheim con il preciso intento che tale prestigiosa istituzione internazionale possa provvedere, nel breve termine, a restituirla alla pubblica fruizione. Insomma qui si vede in anteprima ciò che, con ogni probabilità, si potrà ammirare presto nella nuova sede, e cioè la restituzione di alcuni capolavori dell’arte ambientale minimalista che rischiava di restare puro documento libresco o mero studio teorico. Per ora la collezione acquisita dal Guggenheim è esposta in tre sedi: la prima di queste è, appunto Venezia, la seconda è l’ex residenza Panza, Villa Litta a Varese (ora di proprietà del Fondo per l’Ambiente Italiano), la terza nella grande sede della Guggenheim di Bilbao.
E’ questo sottile fascino per la riconciliazione dell’uomo con lo spazio circostante, sia esso artificiale, perché edificato dall’uomo, o naturale, ad avere affascinato Giuseppe Panza di Biumo, è la possibilità di riconoscimento di una dimensione inconsueta del mondo, tutta mentale, eppure così reale, ai confini tra presenza e assenza, tra pieno e vuoto. Essenziale per Panza, nella sua educazione a questo genere artistico, sono stati i viaggi americani, la città di L.A. e il territorio circostante: le tappe di avvicinamento al centro metropolitano, attraverso il deserto sconfinato, sembrano rappresentare, nelle parole di Panza, una sorta di itinerario spirituale, verso l’origine del mondo e ritorno, attraverso il quale l’uomo ha occasione di purificarsi per accogliere in sé una visione diversa dello spazio e del tempo. Dal riconoscimento degli elementi primordiali, terra, acqua e fuoco, nel deserto, dove l’astrazione spazio-temporale raggiunge il suo punto massimo e dove l’uomo si abbandona in un paesaggio che nel nulla comprende il tutto, si giunge d’un tratto alla metropoli, inizialmente luogo dove l’Oceano Pacifico sul quale si affaccia (l’acqua è l’elemento del quale il deserto aveva creato l’attesa), rappresenta idealmente il ponte verso l’Oriente e la spiritualità buddista. Ma L.A. subito dopo si trasforma mostrando il suo volto urbano: è la città dei media, dell’industria dello spettacolo, della luce, delle illusioni, ma soprattutto il centro ideale che sintetizza il progresso nella comunicazione globalizzata. Ecco allora che gli artisti di Panza oppongono al mondo illusorio dei media la verità più vera, la percezione di se stessi. Sul catalogo della mostra è’ straordinario il viaggio raccontato di Giuseppe Panza; il suo contributo alla mostra è senza dubbio il più convincente, con buona pace di Germano Celan, curatore della mostra, perché riesce, descrivendo con una prosa quasi romantica, a insegnare e spiegare in modo tanto semplice quanto rigoroso e appassionato la sintassi del discorso artistico americano di quegli anni.
Gli artisti e le opere.
Sono sette gli artisti americani rappresentati a Venezia, uniti per aver condiviso la California come ambiente di lavoro e di sperimentazione artistica: Larry Bell (Chicago 1939), Robert Irwin (Long Beach 1928), Bruce Nauman (Fort Wayne 1941), Maria Nordman (Goerlitz 1943), Eric Orr (Covington 1939), James Turrell (L.A. 1943), Doug Wheeler (Globe 1939). Bell, Nordman, Turrell, Wheeler e Orr vennero identificati nel gruppo che va sotto il nome “Light and Space”.
Di Bell si segnala il “Senza titolo (Cubo da 20 pollici)”: un piedistallo in plexiglas è sormontato da un cubo in vetro coperto di una vernice leggera che gli conferisce una tenue sfumatura bruna; il cubo osservato con intensità sembra lentamente lievitare nel vuoto, facendo scomparire il supporto sul quale si poggia, mentre la verniciatura che lo ricopre gli attribuisce una solidità illusoria.
Fra le opere più suggestive è il “Disco di plastica” di Irwin, un disco plastico dipinto in colore acrilico, illuminato da fasci di luce provenienti dal pavimento e dal soffitto. Il diametro orizzontale del tondo è segnato da un fascia dipinta con sfumature che vanno dal nero al blu, al rosa, al grigio. La superficie plastica semitrasparente si riflette sul muro, riproducendosi e sovrapponendosi. La forma eterea della figura assume i connotati misteriosi di una presenza aliena pulsante e psichedelica. La fascia orizzontale sfumata pare condensare tutta l’energia che la figura emana, occhio intenso dal quale l’osservatore si sente irretito e, nel contempo, affascinato.
Nauman è rappresentato con il “Parallelepipedo con luce, che richiede l’interazione dello spettatore”. Alto quasi 2 metri, il parallelepipedo d’alluminio nasconde una lampada da 1000 watt che, dall’orlo superiore del solido, proietta sul soffitto un riquadro luminoso. Solo attraverso un elaborazione mentale razionale l’osservatore riesce a percepire la presenza della lampada, spiegando il fenomeno luminoso (parallelepipedo incandescente + riquadro di luce + filo elettrico collegato = lampada).
Esposto alla mostra il progetto di Nordman per la “Stanza di Varese”, intervento dell’artista realizzato nelle scuderie della residenza dei Panza. Due anticamere danno accesso ad una stanza più ampia. Lentamente l’osservatore si abitua alla semioscurità presente e riesce ad ambientarsi; a quel punto però subentra un altro fenomeno spiazzante: da due fessure praticate sulle pareti penetra la luce che disegna un muro luminoso. Dalle stesse fessure, nell’intenzione dell’artista, hanno accesso i suoni e gli odori provenienti dall’esterno. Trovandosi immerso in questa dimensione nuova, in cui interno ed esterno si confondono e annullano, lo spettatore può anche condividere l’esperienza con un’altra persona che entri dall’anticamera accanto, in una sorta di incontro in una dimensione parallela.
Un po’ anomala, rispetto alla produzione più comuni di Orr, è il “Confine luminoso”, in cui un pannello di bronzo dorato è appeso verticalmente alla parete; dalla sottile fessura praticata anch’essa in senso verticale, si diffonde una lama di luce proveniente da una lampada fluorescente collocata dietro il pannello. Il materiale luminescente del pannello esalta e, nello stesso tempo, sembra concentrare la propria massa energetica nel taglio luminoso, ricreando una sorta di accadimento cosmico, a mezzo tra il sacro e il metafisico. “Afrum I” di Turrell obbliga lo spettatore ad una inafferrabile esperienza, attraverso la proiezione di fasci di luce allo xenon nell’angolo di una stanza semibuia; nello spazio si disegna un cubo luminoso sospeso di straordinaria solidità che, nonostante i continui tentativi della razionalità dell’osservatore di ridurlo alla sua vera natura, l’occhio non può sottrarsi di vedere come solida entità energetica autorigenerante. Da ultimo si segnalano di Wheeler la “Parete luminosa” e “SA MI DW SM 2 75”, nessuna delle due esposta a Venezia ma illustrate sul catalogo, esempi suggestivi di manipolazione ambientale realizzati mediante il sapiente utilizzo delle luci.
Mostra: Venice/Venezia. Arte Californiana della Collezione Panza al Museo Guggenheim”. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701. Dal 2/9/2000 al 7/1/2001. Orari: 10.00-18.00 (chiuso il martedì); sabato orario prolungato fino alle 22.00. Tel. 041/2405411; fax 041/5206885; e-mail:pcgven@tin.itIngresso £ 12.000. Catalogo £ 40.000.
Alfredo Sigolo
[Exibart]