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fino al 5.VI.2005 Capolavori del Guggenheim Roma, Scuderie del Quirinale
roma
Quando l’arte è una passione. Di famiglia. E diventa una collezione, che diventa un museo. Anzi cinque, sparsi tra gli Stati Uniti e l’Europa. Una mostra racconta Solomon, Peggy e le collezioni Guggenheim. In un viaggio lungo un secolo…
Dici Guggenheim, dici arte. Contemporanea, naturalmente. Da un lato la spirale-monolite di Frank Lloyd Wright, emblema del museo newyorchese nato per volontà di Solomon, dall’altro lato Peggy, bella come un’icona nell’arcinota immagine di Man Ray. Perché prima di diventare qualcosa di simile ad una sorta brand museale (cinque sedi tra gli Stati Uniti e l’Europa), il nome Guggenheim identifica loro: Solomon e Peggy, zio e nipote, entrambi accaniti collezionisti. Autoritario, severo esponente di quell’aristocrazia ebraica newyorchese, lui, ribelle, sfrontata ed eccentrica lei, giovane ereditiera che apre la prima galleria a Londra –è il 1938- perché le sembrava meno costoso che investire denaro in una casa editrice.
E proprio da Solomon e Peggy prende le mosse l’allestimento, sul filo della comune passione ossessione per l’arte: così un’ottantina di opere (tra capolavori e pezzi meno memorabili) racconta le collezioni di tre dei musei Guggenheim (per la precisione quelli di Bilbao, New York e Venezia). Dai nuclei iniziali alle aggiunte successive, come quelle provenienti dalle collezioni di Justin Thannhauser (un cospicuo fondo di opere impressioniste e post, cui si sommano opere di Picasso di cui Thannhauser fu mercante e amico) o del nostro Panza di Biumo.
Incipit ottocentesco degno nota con Renoir, Manet (una donna con l’abito da sera dai riflessi cangianti), Monet (una veduta veneziana in cui Palazzo Ducale si perde tra acqua e cielo), Van Gogh, poi Fernande ritratta da un giovane Picasso (è il 1905) avvolta in una mantella scura, con il viso che emerge, pallidissimo. Tutte opere del lascito Thannhauser, queste, ma il cuore della mostra sono quelle collezionate da Solomon e Peggy. Il primo, consigliato da Hilla Rebay, sceglie e preferisce la cosiddetta arte non oggettiva (tant’è che il primo museo Guggenheim, quello allestito in un immobile sulla East 54th Street di NY su chiamava proprio Museum of Non-Objective Painting), mentre la seconda affascinata dal milieu parigino delle prime frequentazioni e dalla guida di Marcel Duchamp, mentore, amante e ottimo amico, preferisce l’arte dei Surrealisti, fatta di tempi sospesi, scarti di significato, allusioni. Salvo poi farsi ammaliare dalla pittura gestuale e visionaria di Jackson Pollock o dalle campiture liquide, trasparenti, sensibili di Mark Rothko. E in mostra in effetti c’è un po’ di tutto: da Kandinsky a Max Ernst, da Picasso a Léger, a Arp, Brancusi (una bella musa del 1912) a Giacometti, fino all’arte del secondo dopoguerra.
Forse è qui che la carrellata accusa qualche sensibile cedimento, ad esempio con un Jasper Johns o un Robert Rauschemberg non troppo significativi. A farla da padroni, dunque, due magniloquenti installazioni di Richard Serra (Belts, 1966-67) e di Mario Merz (Coccodrillo del Niger, 1989; ricostruzione dell’originale del ’72), fino ad un grande autoritratto in verde di Andy Warhol: lo sguardo vitreo, la bocca serrata. È del 1986, giusto un anno prima della tragica morte. Come dire l’altra faccia dell’America.
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Scuderie del Quirinale, Via XXIV Maggio 16 (quirinale), +39 0639967500 +39 06696271, info@scuderiequirinale.it, www.scuderiequirinale.it , ingresso intero 9 euro, ridotto e gruppi 7.5 euro, scuole 4 euro, tutti i gg 10-20, ven-sab 10-22.30, catalogo skira
[exibart]
e ci credo, che c’è piaciuta questa mostra. É come portare un neopatentato in un salone Ferrari, e poi chiedergli se gli sono piaciute le auto! Ma per dei «neopatentati dell’arte», contemporanea, ovvio, siamo sicuri che sia un’operazione utile? Non si parla, nell’articolo, di uno straordinario Balla di Peggy, in mostra a Roma; non vi pare un po’ strano che per vedere Balla lo dobbiamo esporre dentro una mostra-monstre Guggenheim? Qualcuno ricorda da quanti anni non si fa una grande mostra di Balla? Perchè non investire i circa due milioni di euro per sostenere l’arte italiana, invece di essere sempre provincia?
è un Balla abbastanza bello, dire straordinario sembra eccessivo, mi pare ovvio che sia lì più che altro come omaggio all’Italia e al Futurismo…e la mostra non solo è bella, ma è anche utile, non mi pare che tutti abbiamo occasione di ammirare tante opere di quel livello restando in Italia, che poi Balla meriti una grande mostra è tutto un altro discorso, ma non è così facile come sembrerebbe…