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OZMOSI CREATIVE
Personaggi
È il momento d’oro della Street Art. I creativi delle strade di tutto il mondo vengono corteggiati da gallerie e musei, intervistati dai media, imitati dai fan. Anche l’Italia segue il trend. In attesa dell’apertura dell’esposizione milanese Street art, Sweet art, in programma al PAC, abbiamo incontrato uno dei più noti esponenti italiani del movimento, che però ci si riconosce fino ad un certo punto. Da New York, la parola a Ozmo...
di Ginevra Bria
“A volte sono i nomi che ti trovano e non il contrario, tutto quello che devi fare è accoglierli. Il mio è nato su un aereo per Parigi 14 anni fa, fu il mio primo viaggio senza adulti”. Chi si sta presentando è Ozmo (Gionata Gesi). In questo momento lo streeter è a New York, per nuove realizzazioni artistiche. Tra un mese, di ritorno a Milano, sarà al PAC, per partecipare a Street art, Sweet art. Una selezionata collettiva di street artist scelti per rappresentare “la generazione pop up”. Una generazione parallela al mondo accademico, un gruppo che fa della strada la propria carta d’identità e dell’arte uno stile di vita. Non privo di contraddizioni.
“Non amo le definizioni e ancora meno amo definire me stesso. Oggi ho trentuno anni, disegno da almeno ventotto, faccio “graffiti” da tredici, dipingo e mi interrogo sul suo significato da almeno otto, mentre ho cominciato a fare mostre in gallerie private e musei da circa sette. Da cinque sto cercando di mettere tutto questo assieme, con questo tentativo è nata l’idea di dipingere disegnando. Avevo in mente un modo più fresco di lavorare (rispetto alla realizzazione tradizionale ad olio) e proposi ad un amico con cui dividevo il campo d’azione (Abbominevole) di contribuire al progetto che avevo in mente. L’evocazione dell’idea di immagine avviene così in modo ambiguo, la si mette tra parentesi, cortocircuitata. Ho tolto qualsiasi vezzo all’immagine riducendola al suo scheletro.”
Ozmo assieme ad Abbominevole, Bo 130, Phobia, Pao e Tv Boy, solo per citarne alcuni, ha una visione dell’arte di strada che esce dal writing di quartiere. I muri dei palazzi, in verità, sono un’opera d’arte a sé stante. Forse è per questo che, da alcuni anni a questa parte, le istituzioni milanesi stanno canalizzando spazi e attenzioni alle poetiche urbane. La tendenza è quella di fornire un tetto e un pubblico interessato al fenomeno esterno della street art.
“Quello che funziona per strada non è detto che funzioni in galleria, a volte è la stessa cosa, a volte è necessariamente qualcosa di completamente diverso, più site-specific, per intenderci. Ormai sono vari anni che lavoro con le gallerie, realizzando contemporaneamente interventi urbani. Posso dire che, a causa della corsa alla novità che affligge il mondo dell’arte, spesso strategicamente è meglio lavorare con un linguaggio contaminato, a rischio di cavalcare una moda, quella che sembra essere diventata la street art.”
Ma appena si prova a chiedere qualcosa di più su questa novità milanese Ozmo risponde: “Vedo molta miseria in giro, e questo vale sia per il mondo dell’arte e sia per quello della cosi detta street art. La street art è un upgrade del writing, solo quello che prima veniva considerato uno scarabocchio adesso è un logo che anche un anziana signora può leggere. Le etichette sono sempre sommarie, impoveriscono necessariamente. Ma fanno comodo a chi vuole utilizzare il mercato.”
Quello che importa allora è creare uno stile, un proprio inevitabile modo di vedere angeli e demoni, spiriti e protettori, figure che salvano dalla miseria del supporto col quale si interagisce. “Si certo, per questo sono importanti le scelte formali, ad esempio le dimensioni inusuali del disegno, a grandezza ambientale, spesso disegnando sul muro con pennarelli neri con punte di varie grandezza.”
Anche se è vero che “una volta lasciati in strada, i miei lavori, dopo che qualche osservatore ci proietta la propria interpretazione, prendono vita. Sul dax che avevo dipinto in darsena degli skin qualche tempo fa hanno fatto delle svastiche, ma anche questo fa parte del gioco. Potrei anche raccontarti di come erano contenti gli agenti della Digos quando ho dipinto il grande S. Michele sul Bulk (protettore dei gendarmi italiani e francesi). Credo possa diventare grottesco il voler decretare l’immortalità di un’opera e affannarsi a interventi più o meno invasivi che spesso fanno a botte con l’idea iniziale dell’artista. Questo vale per la Cappella Sistina come per il graffito in una Hall of Fame.”
E a proposito del registro iconico scelto, Ozmo sottolinea che “Lo spazio urbano è generalmente utilizzato più come svuotamento di senso ed allontanamento del sacro che non come luogo di reale incontro. Il fruitore dell’urbe metropolitana è suo malgrado sempre più esposto alle immagini ed ai simboli della pubblicità. Le immaginette che appiccicavo in giro, con i loro teschi, mettevano in scena la Morte, intesa come un punto zero. Con gli adesivi ed i poster volevo mettere in scena simbolicamente una piccola totetanz contrapposta alla fantasmagoria del contemporaneo. L’intento era di restituire all’immagine nel contesto urbano il potere evocativo proprio del simbolo, restaurandola di significato, e suscitando un piccolo cortocircuito nella mente di chi guarda. Rappresentare l’irrappresentabile. Anche per questo sono interessato al linguaggio allegorico dei simboli, proprio dei miti e delle tradizioni religioso-esoteriche.”
Ma ora che Ozmo parteciperà anche al Miart 2007 e a Street art, Sweet art al PAC qualcosa cambierà. La performance di strada, per lo meno la propria, cambierà dall’essere una sottocultura di massa per diventare parte di una vera e propria contro-cultura, forse, avanguardistica. “Sono convinto che quello che esiste a profusione fuori dal sistema dell’arte e sopratutto nel contesto urbano non abbia senso di stare dentro, e se qualcosa è entrato allora significa che oggi come ieri è riuscito a mettere in discussione, magari tramite contaminazioni o rimandi, il significato o la definizione contemporanea di ‘Fare Arte’. Uno dei miei principali intenti è quello di creare opere leggibili su più livelli, più stratificazioni semantiche, come avviene per esempio con il mito.”
Non resta dunque che attendere Ozmo, dopo la ventata americana, ed aspettarsi novità che rinfreschino, per osmosi, anche l’impastata scena della cosiddetta “arte suburbana” milanese. “Qui mi sento un cane sciolto, non a caso sono a New York, proprio quando molte persone discutibili a Milano stanno sgomitando per elemosinare le briciole di questa torta chiamata street art. Torta che a me è sempre risultata indigesta e troppo superficiale (mentre il suo bello è proprio la spontaneità e la freschezza che non hanno paragoni col mondo della cultura ufficiale e dell’arte). Purtroppo non posso non provare allo stesso tempo amore ed odio per qualsiasi cosa nella quale mi identifichi. Me stesso compreso.”
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www.ozmo.it
ginevra bria
7 marzo – 8 aprile 2007
Street Art, Sweet Art
Dalla cultura hip hop alla generazione “pop up”
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea – Via Palestro 14 – 20121 Milano
tel 02 76009085 – fax 02 783330 – www.comune.milano.it/pac
Orari: 9.30 – 19.00 tutti i giorni. Giovedì fino alle 21.00 . Chiuso il lunedì.
Ingresso: € 5 intero – € 3 ridotti e studenti – € 2 scolaresche
bambini fino a 8 anni gratuito, da 8 a 14 ridotto
Ufficio stampa PAC De Angelis Relazioni Stampa – Via Ollearo 5, Milano
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