07 marzo 2017

La galleria? Ha un ruolo imprescindibile

 
Non è solo intermediaria tra artista e collezionista. Svolge un’azione decisiva di ricerca. Ma la crisi economica e un’IVA troppo alta ne riducono l’importanza. Con effetti pericolosi

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Le gallerie d’arte hanno sempre giocato un ruolo estremamente delicato e importante per l’intero sistema di produzione dell’arte contemporanea, o almeno di una parte di esso. In breve, si può affermare che le gallerie avevano due funzioni fondamentali: scrematura dell’offerta e produzione. La prima richiede una forte competenza in campo artistico, un grande intuito e la volontà di reperire sul mercato artisti (giovani e meno giovani) che possano rispondere alle esigenze dei propri collezionisti. Il gallerista era (e in alcuni casi lo è ancora) colui che riusciva ad individuare il talento e inserirlo all’interno di quel sistema di referenze e di valori di acquisto/vendita che oggi contraddistingue il mercato dell’arte.
Individuare il talento però non basta: è necessario fare in modo che l’artista (quello che il gallerista ritiene possa avere un reale valore aggiunto all’interno della produzione artistica) venga valorizzato, cresciuto, talvolta anche indirizzato. Non è un lavoro semplice: avere a che fare con artisti, soprattutto quando giovani, richiede una dedizione e un’attenzione molto forte. Non basta semplicemente scrivere per loro un catalogo e via. È necessario dedicare loro molto tempo, discutere, talvolta litigare e soprattutto sostenerli sia umanamente che finanziariamente.
Galleria Zero... Milano, Cally Spooner, installation view 2016
Questo è un punto estremamente importante: il gallerista, individuato il giovane talentuoso, investe su di lui, lo inserisce tra i suoi artisti ed esercita, a tutti gli effetti, il ruolo di produttore (o di scouter se proprio vogliamo definirlo con un termine in voga). Ma questo è possibile fin tanto che il gallerista riesce ad avere un mercato importante. Se invece, come accade nel nostro Paese, il volume di mercato conosce un periodo di flessione, mantenere questa tipologia di intervento non è estremamente semplice, soprattutto se non sono presenti politiche fiscali che ne agevolino la sopravvivenza.
Senza entrare nei tecnicismi, se (come accade in Italia) sotto il profilo fiscale conviene più acquistare un’opera da un privato che da un gallerista e se (come accade in Italia) al prezzo delle opere e dei servizi aggiuntivi va aggiunta una aliquota IVA ordinaria, ecco che il mercato delle gallerie (inteso nel senso tradizionale del termine) può conoscere delle flessioni.
Quale dunque la naturale conseguenza di questa condizione di scenario? La riduzione dei costi non necessari e tra questi gli investimenti negli artisti. Sembra una modifica minima ma che in realtà ha una grande ripercussione su tutto l’intero scenario. Se il gallerista accetta di essere più tollerante sugli standard qualitativi degli artisti, pur che questi siano in grado di affrontare i costi di esposizione, non solo si inseriscono nel mercato artisti non necessariamente talentuosi, ma si abbassa l’attendibilità del sistema delle gallerie nel suo complesso.
t293, Roma, Jana Schröder, SPONTACTS FX, vista della mostra
Essendo l’arte un mercato caratterizzato da asimmetrie informative, il ruolo dei beni reputazionali assume un valore molto importante. E la prima scrematura del mercato, quella vera, la faceva (fino a pochi anni fa) il gallerista. Se il gallerista non lo fa, diventa dunque importante individuare un altro soggetto all’interno del sistema di creazione del valore che ottemperi a tale ruolo, ma né case d’asta, né collezionisti, né mecenati possono farlo. Tantomeno i critici, gli accademici, gli storici e gli art advisor perché loro forniscono consulenze, non investono (se non in rari casi).
Volendo continuare con un tono semplicistico (che certo implica qualche inesattezza ma che sicuramente rende più chiaro il discorso), allo stato attuale, il mercato dell’arte è basato su una serie di operatori differenziati che assolvono a mansioni specifiche. In primo luogo abbiamo l’offerta, rappresentata dagli artisti: loro sono coloro che alimentano il mercato, creano nuove opere, avviano nuove riflessioni e rappresentano il perno centrale intorno al quale tutto il mercato si regge. Collegati agli artisti ci sono le accademie, che tendenzialmente assolvono (attraverso coloro che le abitano) a due funzioni principali: da un lato formano i nuovi artisti (gli allievi), dall’altro ospitano coloro che già a vario titolo operano nel settore (i docenti, che possono essere a loro volta artisti o critici d’arte). 
Galleria Minini, Brescia, Daniel Buren, vista della mostra
I critici (che come abbiamo detto possono essere anche artisti, giornalisti e docenti), hanno storicamente esercitato l’importantissima funzione di analisi dell’opera degli artisti (con atteggiamento stroncante o entusiasta), individuando talvolta delle tensioni culturali comuni in artisti differenti, e ponendole sotto la stessa “corrente” (oggi si direbbe brand). Accanto ai critici, e talvolta in collaborazione con essi, ci sono i galleristi, il cui ruolo storico era (e in alcuni casi ancora è) individuare opere e/o artisti validi al punto da essere esposti nei propri spazi al fine di vendere tali opere ai collezionisti. Ci sono poi altri “prestatori d’opera”: dagli allestitori ai curatori, dagli assicuratori agli art advisors fino agli illuminotecnici, etc. Infine ci sono i collezionisti, che rappresentano (eliminando da questo breve riassunto tutto il comparto museale) la vera domanda di arte. Sono loro, in altri termini, che pagano per poter avere le opere che artisti producono e galleristi espongono. Va da se che quindi, se gli artisti continuano a produrre (e oggi la produzione di arte o aspirante tale è veramente altissima), e i critici vengono pagati per firmare cataloghi (eliminando quindi la possibilità di selezione degli artisti) e i galleristi vengono pagati per far esporre le opere (eliminando quindi la possibilità di selezione degli artisti), manca, dal punto di vista sistemico, qualcuno che questa selezione la faccia.
Ovviamente, la maggior parte dei critici ha rifiutato almeno una volta di firmare cataloghi di artisti mediocri, così come tutti i galleristi si rifiutano di esporre opere che sono consapevoli non possano piacere ai propri collezionisti. Ma è altrettanto ovvio che al calo delle disponibilità economiche del gallerista corrisponde anche un aumento della tolleranza e quindi una selezione meno forte.
Lia Rumma, Napoli, Alfredo Jaar, Napoli
C’è poi un altro elemento che non ancora è stato sottolineato: se vendere la stessa opera d’arte ha dei costi fiscali maggiori in galleria (escludendo la remunerazione del gallerista), e se il gallerista, per questioni di sostenibilità economica non esercita più quella funzione di selezione che prima gli competeva, il ruolo delle gallerie d’arte diventa semplicemente quello di un intermediario. Ma l’evoluzione del nostro sistema economico ha colpito in prima luogo le intermediazioni. Siti internet, social network, azioni intraprese dagli stessi artisti, possono rappresentare un veicolo di informazione importante per i collezionisti che, a questo punto, hanno più convenienza (anche soltanto fiscale) a comprare l’opera dall’artista stesso. 
Nel medio periodo tutto ciò ha sicuramente ricadute negative sull’intera struttura di un mercato, che già di per se, non può contare su uno scenario favorevole. Per questo motivo è importante affrontare il tema della defiscalizzazione del mercato dell’arte, non perché il gallerista deve guadagnare un po’ più di soldi, ma perché se non lo fa, è il ruolo stesso della galleria d’arte che finirà con l’essere considerato come superfluo, un semplice intermediario tra chi vuole vendere e chi vuole comprare. E questo, lo sanno tutti, non risponde al vero.
Stefano Monti

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