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Con l’exit del direttore Mauro Felicori (ormai in pensione) la Reggia di Caserta si trova oggi a dover affrontare il delicatissimo tema del “passaggio di consegne”. La questione non riguarda soltanto il Sito ma l’affidabilità dell’intera struttura organizzativa predisposta dalla Riforma Franceschini.
Legati al tema ci sono le differenti autonomie, la capacità di un Sito (e di un’organizzazione) di poter perseguire degli obiettivi anche senza un “leader carismatico” che traini verso essi. Legata alla vicenda della Reggia, è anche la tematica delle competenze necessarie per la Gestione di Siti Complessi. Non è un caso che lo stesso Felicori auspichi ad un manager ingegnere “con la passione e la competenza per la cultura”.
Usciti dalla cronaca, c’è qui un punto fondamentale da sottolineare.
La questione di Caserta non ha fatto altro che portare il proverbiale nodo, al pettine.
Una delle critiche mosse all’iniziativa dei super-manager (che tanto manager non sono) è stata semplice e razionale: per quanto bravo possa essere un manager, non potrà, da solo, rivoluzionare un’intera struttura.
Per essere più chiari, facciamo un esempio differente da un Museo, e prendiamo il caso di una società privata in crisi.
La governance (la proprietà) per salvare i propri investimenti, tende a rivolgersi a manager specializzati quando la situazione è ormai critica. Chiamato il supermanager, lo si dota di tutte le deleghe necessarie ad operare.
Musei Vaticani
Le prime valutazioni riguardano la qualità della produzione, il posizionamento sul mercato, la struttura dei costi e degli investimenti e il livello di competenza del personale.
Si taglia sui “costi” morti: contratti di lavoro troppo onerosi rispetto alle possibilità presenti sul mercato, la riduzione dei tempi di produzione, specifiche politiche di marketing, leva sul prezzo, ecc. ecc.
Se ci sono gli estremi, e se il manager è competente (e un po’ fortunato) l’impresa si salva. Ritorna sul mercato, presenta una struttura dei costi più equilibrata e migliorano i risultati di gestione.
Fatto ciò, il compito del manager è finito e si può passare alla sua liquidazione.
Nel frattempo, un bravo manager, ha fatto in modo che all’interno della società si siano formate le giuste competenze. Ciò è necessario per due ordini di ragioni. La prima è relativa all’operatività dell’impresa: il manager per essere davvero efficace necessita di un team di persone che lavorino per lui e con lui.
Un gruppo di risorse che siano in grado di implementare le scelte fatte all’interno della struttura societaria, che controllino e monitorino i risultati, ecc.
La seconda ragione è che tale team, dopo il canonico triennio di operatività, potranno garantire continuità di gestione anche dopo il termine del mandato del manager.
In questo modo l’impresa non solo sarà cresciuta, ma sarà anche in grado di poter continuare a crescere in modo autonomo.
Candida Höfer, Uffizi
Ritorniamo ora ai nostri Musei: il manager non può agire sulle risorse umane e quindi non può: assumere personale competente, selezionare formalmente dei team tra i professionisti già presenti nella struttura, non può incidere sui costi, non può esprimere livelli minimi di output.
Allora chiariamo con fermezza un punto: ciò che fa di un professionista un manager sono le deleghe che gli vengono conferite, sono i poteri di cui dispone.
Se non si può agire “direttamente” quindi, si può almeno considerare il ricorso a “professionisti esterni”. Strutture professionali che possano garantire al “manager” (che alla luce di quanto detto, sarebbe più giusto chiamare direttore) quelle funzioni di back-office che svolgano tutto il lavoro.
Per essere più chiari: il manager è l’uomo che, sulla base della propria esperienza, effettua delle scelte, tiene contatti diretti con le banche, applica un tipo di organizzazione del lavoro all’intera struttura.
In altri termini, applica delle scelte.
Perché tali scelte vadano applicate c’è bisogno di qualcuno che “lavori”. O credete davvero che i powerpoint della Apple li abbia preparati Steve Jobs?
Stefano Monti