18 dicembre 2015

Low cost giapponese per lo stadio Olimpico di Tokyo. Dopo la cacciata di Zaha Hadid i probabili nomi sono quelli di Toyo Ito e Kengo Kuma

 

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Paragonato a un casco per bicicletta, e dai costi esorbitanti (1,3 miliardi di yen), il progetto dello stadio Olimpico di Tokyo 2020 di Zaha Hadid era stato ricacciato senza troppi scrupoli. Anche per il suo essere “di imbarazzo nazionale”, dati proprio i costi.
Ma sono le proposte alternative, svelate questa settimana, sono meglio?
Secondo il Guardian, con il suo noto humor inglese, sono in arrivo un uovo fritto e una pila di piatti che contengono ancora tracce di insalata sui bordi. Belle metafore per identificare due progetti che sono ancora anonimi ma che secondo la penna di Oliver Wainwright, critico di architettura del giornale inglese, sarebbero riconducibili ai grandi giapponesi Kengo Kuma e Toyo Ito. Anche il prezzo, in questo caso, sarebbe decisamente più ragionevole: 835 milioni di yen, ed entrambe le soluzioni si adatterebbero meglio al contesto del parco. Per la prima volta, poi, ci sarebbe in mezzo l’ecologico – specialmente per la “pila di piatti”, tutta in legno e guarnita, appunto, con la vegetazione tra gli spalti. Vetro, invece, per l’ “uovo fritto”. 
Ma a cosa dare adito, per le nuove Olimpiadi? All’impatto mediatico o a quello di un edificio che resterà alla città anche ai riflettori spenti? Far combaciare entrambe le cose, si sa, è quasi impossibile. 
Ma su una unione già si può contare: ammesso che i progetti siano di Ito e Kuma, entrambi gli architetti insieme anche ad Arata Isozaki, avevano pubblicamente bollato come un “errore” il progetto di Hadid. Che ci sia un po’ di campanilismo nipponico?

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