22 gennaio 2016

La scultura si confronta: Eracle Dartizio in scena nello studio di Francesco Messina. Per raccontare di un cosmo “finito”

 

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Fino a domenica potrete vedere la personale di Eracle Dartizio, classe 1989, dal titolo Morte di una stella e altrove, a cura di Sabino Maria Frassà presso lo Studio Museo Francesco Messina di via San Sisto a Milano. Come di consueto accade per gli artisti qui ospitati, anche Dartizio si è confrontato con questo spazio particolare, un’ex chiesa ed ex studio dello scultore Francesco Messina, le cui opere sono qui esposte. La sfida è riuscire a inserirsi, trovando un equilibrio con le sculture e con l’articolazione dello spazio. L’esposizione ci racconta in modo sottile il passaggio dell’uomo dalla fase antropocentrica – dal ricordo in primis Socratico, nonché Rinascimentale, nella quale l’essere umano eleva se stesso ponendosi al centro dell’Universo – alla presa di consapevolezza della propria piccolezza, data principalmente da un’ineluttabile caducità. 
Questa finitezza ci viene ricordata a gran voce, incombendo come un incubo nel nostro piccolo mondo, con la perdita di una persona cara, soprattutto se si tratta di uno dei nostri genitori. La madre è da sempre figura di riferimento; perderla, anche da adulti, non ci può far rimanere inermi: «Nella morte dei genitori si vede la propria morte» dice Eracle, che ci vuole così narrare la perdita della sua stella materna. Perché anche le stelle muoiono, nella transitorietà del mondo antropocentrico. La mostra è un racconto enigmatico, sulla nostra limitatezza e solitudine e, quindi, sulla riflessione della nostra concretezza, della materia. Ed è proprio su questo elemento che si basa parte della ricerca dell’artista: la sostanza si fa soggetto e la ricerca della materia diventa la ricerca del pensiero. 
Con Firmamento l’artista copre le teste di Messina con un telo di seta su cui è stampata una personale simbologia di stelle antropomorfe, che richiamano il suo passato da grafico e da amante della Street Art, che simboleggia il tradursi di ogni uomo in stella; qui, lo sguardo ingannato cerca una verità nella volta celeste. Ma l’esistenza di un altrove terrestre è data dall’opera Meteoriti, costituiti da resina, carbonio e pigmenti, che dev’essere cercato dentro di noi, sulla e nella terra, piuttosto che sopra le nostre teste. Nasce così Pozzanghera, realizzata in alluminio, bitume e ferro, posta al centro della chiesa, elevata su dei piedistalli posti nella cripta, così che possa essere osservata dall’alto come riflesso di luce oppure dal basso. Accostamenti di pesantezza e leggerezza sono invece il perno di Supernova – realizzata con il materiale più duro del mondo, il nitruro di boro cubico, e la super organza giapponese – che inscena la morte di una stella, perché ora sappiamo che anche le stelle muoiono. 
E i nostri piccoli cosmi, le nostre piccole pozzanghere, mutano in luoghi in cui, se non si cerca quel famoso altrove, ci si può anche perdere. D’altra parte, per dirla come Hugo, “l’anima è piena di stelle cadenti”. (Micol Balaban)

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