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Non un periodo semplice per il Metropolitan di New York che, dopo le accorate proteste dei nativi americani per una mostra tacciata di mistificazione, è ancor al centro del mirino, questa volta nella scia del movimento #metoo. Qualche giorno fa, l’artista Michelle Hartney ha dato il via a una performance hang-and-run, attacca e scappa, applicando una nuova serie di didascalie in corrispondenza di opere di artisti come Balthus, Paul Gauguin e Pablo Picasso, accusati di misoginia.
Hartney – che spesso ha lavorato sui temi del gender e della disparità e che a inizio anno si rese protagonista di un’azione simile, per un’opera di Balthus all’Art Institute di Chicago – ha specificato che queste sue azioni di guerrilla art non vogliono sostenere la censura ma sono rivolte alle istituzioni museali, che dovrebbero impegnarsi di più per informare correttamente il pubblico sul lato oscuro degli artisti considerati grandi maestri. In particolare il Met, dove chi non ne esce bene è Gauguin, per Two Tahitian Women, opera dal 1899 e raffigurante due donne a seno nudo. A prescindere dall’opera in sè, aspramente criticata è la descrizione fornita dagli apparati del museo, che pone l’attenzione «Sulla bellezza e sulle le serene virtù delle donne native». Non citando il fatto che le spose dell’artista avevano un’età compresa tra i 13 e i 14 anni e furono infettate dalla sifilide. Anche Picasso non ci fa una bella figura. Hartney richiama la relazione che il maestro del cubismo, ormai quarantenne, ebbe con Marie-Thérèse Walter, che aveva solo 17 anni, e come j’accuse riporta anche una sua frase, che oltretutto spesso viene citata: «Ogni volta che lascio una donna, dovrei bruciarla. Distruggendo la donna, distruggo il passato che rappresenta».
Il Metropolitan, per il momento, non ha replicato e si è limitato a rimuovere le didascalie alternative di Hartney ma ormai la discussione è più che aperta e avrà sicuramente le sue ricadute nell’ambito della didattica e della fruizione museale. E’ possibile separare l’opera arte dall’artista che l’ha realizzata? La domanda è cruciale e, d’altra parte, è una questione con la quale diversi ambiti hanno già fatto i conti, per esempio letteratura e filosofia, per i casi di Louis-Ferdinand Céline e Martin Heidegger. Nel dibattito artistico e museale, invece, la distinzione tra “il bene” e “il male”, tra il rimuovere e il conservare, è sempre stata, tendenzialmente, più netta. Almeno fino a ora.