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09
aprile 2009
fiere_opinioni Il golfo dell’arte
fiere e mercato
Focalizzata sull’arte emergente dal Golfo, con incursioni nella storia dell’arte islamica, la Gulf Art Week organizzata dal Qatar e dagli Emirati è stata scandita da un vortice d’inaugurazioni ed eventi. Che hanno coinvolto visitatori provenienti dal Medio Oriente e dall’India, ma anche da Europa e Stati Uniti...
Se l’idea della Gulf Art Week era mostrare il boom di artisti, istituzioni private e pubbliche dedicate al contemporaneo, l’obiettivo è stato sicuramente centrato. Ora che i settori finanziari e immobiliari sono in difficoltà e gli effetti della crisi si vedono nei grattacieli vuoti o non terminati di Doha e Dubai, è necessario investire nella cultura per assicurare un benessere più sostenibile alla regione, anche in considerazione della disponibilità non infinita delle sue principali risorse naturali. Com’è stato ribadito fin dalle prime battute del Global Art Forum (i cui panel si sono svolti in varie città), la settimana dell’arte non è altro che un tassello di un progetto che si esprime attraverso la “museificazione” dell’area, con i progetti realizzati – come il Museum of Islamic Art di Doha e il suo successo sorprendente – e quelli realizzandi, tra cui i dodici musei del Qatar, il Guggenheim e il Louvre Abu Dhabi e così via.
In questa cornice non sorprende che gli artisti mediorientali e quelli del Golfo rappresentino attualmente il fenomeno. La loro rapida ascesa, in termini di reputazione, quotazioni e qualità (soprattutto), si basa su una coincidenza di circostanze storiche e interessi più o meno espliciti. Li sostiene, infatti, un mix di player dentro e fuori del Golfo, tra i quali la Qatar Museums Authority, la fiera di Dubai, la Biennale di Sharjah, le case d’asta internazionali, il manipolo delle gallerie di Dubai, alcuni stimati dealer occidentali e, naturalmente, curatori e collezionisti. I risultati delle aste di Doha e i bollini rossi della fiera stanno a dimostrarlo.
Generalizzando, i lavori che si sono visti nelle varie occasioni appartengo a tre gruppi. Il primo raccoglie gli autori, in massima parte iraniani, che lavorano nell’ambito dell’arte astratta, che qui è uno sviluppo dell’arte calligrafica e della sua tradizione millenaria. I più eleganti sono Golnaz Fathi alla Third Line di Doha e Shirazed Houshiary nello stand della Lisson Gallery alla fiera di Dubai, che si affiancano ai più affermati Houssein Zenderoudi e Mohammad Ehsai. Di questa tendenza fanno parte anche alcuni pittori tra astrazione e figurazione, come il più famoso Ali Hassan esposto alla al markhiya Gallery, o gli esordienti Thaier Helal e Yaser Safi allestiti nel grande loft della Ayyam Gallery, uno dei prefabbricati del quartiere industriale di Al Quoz di Dubai.
Parallelamente, alcuni giovani e giovanissimi (tutti, o quasi, con curriculum di studi internazionali) riflettono sui grandi temi dell’attualità, usando gli stessi mezzi dei loro colleghi occidentali. La nona edizione della Biennale di Sharjah ne propone alcuni. Hamra Abbas, ad esempio, espone un’installazione sui bambini delle madrasse; Hala Elkoussy ricostruisce una residenza egiziana e Lamya Gargash fotografa gli interni delle residenze di Dubai. È evidente che la forza di questa biennale sia nell’espressività del contesto geografico e sociale: i lavori realizzati in situ sono quelli più suggestivi, anche quando sono prodotti da artisti occidentali (Laurent Grasso, Valeska Soares, Nicolai Benedix e Skium Larsen hanno realizzato i più notevoli). Nello stesso momento, ad Art Dubai erano esposti i loro fratelli maggiori: Zineb Sedira con le struggenti fotografie dei traghetti spiaggiati (da Kamel Mennour), Fikret Atay e le intense Mesopotamian Dramaturgies (da Francesca Minini) o Moataz Nasr e il suo puzzle (da Continua).
Da un punto di vista strettamente formale, infine, il gruppo di artisti che appare più convincente è quello composto da chi cerca di sintetizzare un nuovo codice espressivo che combini elementi arabi, mediorientali e occidentali. Emmanuel Perrotin esponeva Farhad Moshiri, che è sicuramente uno dei più talentuosi; la B21 Gallery di Dubai proponeva la scultrice Bita Fayyazi, mentre alle pareti della Third Line Gallery erano appese le fotografie di Youssef Nabil.
Non c’è dubbio che l’obiettivo di chi lavora in questa direzione sia entrare nel cuore (e nelle collezioni) di europei e indiani, piuttosto che rimanere tra la sabbia del deserto.
In questa cornice non sorprende che gli artisti mediorientali e quelli del Golfo rappresentino attualmente il fenomeno. La loro rapida ascesa, in termini di reputazione, quotazioni e qualità (soprattutto), si basa su una coincidenza di circostanze storiche e interessi più o meno espliciti. Li sostiene, infatti, un mix di player dentro e fuori del Golfo, tra i quali la Qatar Museums Authority, la fiera di Dubai, la Biennale di Sharjah, le case d’asta internazionali, il manipolo delle gallerie di Dubai, alcuni stimati dealer occidentali e, naturalmente, curatori e collezionisti. I risultati delle aste di Doha e i bollini rossi della fiera stanno a dimostrarlo.
Generalizzando, i lavori che si sono visti nelle varie occasioni appartengo a tre gruppi. Il primo raccoglie gli autori, in massima parte iraniani, che lavorano nell’ambito dell’arte astratta, che qui è uno sviluppo dell’arte calligrafica e della sua tradizione millenaria. I più eleganti sono Golnaz Fathi alla Third Line di Doha e Shirazed Houshiary nello stand della Lisson Gallery alla fiera di Dubai, che si affiancano ai più affermati Houssein Zenderoudi e Mohammad Ehsai. Di questa tendenza fanno parte anche alcuni pittori tra astrazione e figurazione, come il più famoso Ali Hassan esposto alla al markhiya Gallery, o gli esordienti Thaier Helal e Yaser Safi allestiti nel grande loft della Ayyam Gallery, uno dei prefabbricati del quartiere industriale di Al Quoz di Dubai.
Parallelamente, alcuni giovani e giovanissimi (tutti, o quasi, con curriculum di studi internazionali) riflettono sui grandi temi dell’attualità, usando gli stessi mezzi dei loro colleghi occidentali. La nona edizione della Biennale di Sharjah ne propone alcuni. Hamra Abbas, ad esempio, espone un’installazione sui bambini delle madrasse; Hala Elkoussy ricostruisce una residenza egiziana e Lamya Gargash fotografa gli interni delle residenze di Dubai. È evidente che la forza di questa biennale sia nell’espressività del contesto geografico e sociale: i lavori realizzati in situ sono quelli più suggestivi, anche quando sono prodotti da artisti occidentali (Laurent Grasso, Valeska Soares, Nicolai Benedix e Skium Larsen hanno realizzato i più notevoli). Nello stesso momento, ad Art Dubai erano esposti i loro fratelli maggiori: Zineb Sedira con le struggenti fotografie dei traghetti spiaggiati (da Kamel Mennour), Fikret Atay e le intense Mesopotamian Dramaturgies (da Francesca Minini) o Moataz Nasr e il suo puzzle (da Continua).
Da un punto di vista strettamente formale, infine, il gruppo di artisti che appare più convincente è quello composto da chi cerca di sintetizzare un nuovo codice espressivo che combini elementi arabi, mediorientali e occidentali. Emmanuel Perrotin esponeva Farhad Moshiri, che è sicuramente uno dei più talentuosi; la B21 Gallery di Dubai proponeva la scultrice Bita Fayyazi, mentre alle pareti della Third Line Gallery erano appese le fotografie di Youssef Nabil.
Non c’è dubbio che l’obiettivo di chi lavora in questa direzione sia entrare nel cuore (e nelle collezioni) di europei e indiani, piuttosto che rimanere tra la sabbia del deserto.
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