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decibel_resoconto Dissonanze 7
Musica
Una maratona musicale lunga due notti. Una line up potente e un afflusso di gente straordinario. L'appuntamento con Dissonanze disorienta, tra sperimentalismi a volte un po' forzati e un vero e proprio trionfo della musica dance...
Dissonanze quest’anno ha raccolto a Roma un’enorme folla di appassionati all’interno del Palazzo dei Congressi che, giunti alla settima edizione, rappresenta a pieno titolo l’icona dell’evento. Per due notti questo cubo di marmo bianco ha cambiato volto, vestendosi di luci abbaglianti e multicolore proiettate sulle pareti e capaci di attrarre già da lontano, insieme agli echi profondi provenienti dal Salone della Cultura, il luogo dove si è celebrato il rito del ballo. Le altre due location del festival, che hanno proposto invece atmosfere alternative a quelle del Salone, contribuiscono a completare un quadro d’insieme difficile da descrivere: l’Aula Magna, ovvero l’Auditorium, ha ospitato le esibizioni più performative, proponendo un flusso continuo delle odierne forme avanzate di musica; la Terrazza è il luogo che ha regnato sull’intero festival sia per la sua posizione panoramica che per il successo dei numerosi dj set, svoltisi in un clima di culto dove la consolle, posizionata alla base della spettacolare parete in marmo, ricordava un vero e proprio altare.
La cronaca di Dissonanze 7 inizia registrando il rispetto dell’orario di scaletta al via: nel Salone della Cultura partono gli Spektrum davanti a poche persone, che vengono comunque shakerate da un r’n’b elettronico forte di possenti giri di basso e batteria. Intanto il pubblico affluisce lentamente e si concentra in Terrazza per l’attesa esibizione dei Battles, una delle realtà più interessanti dal vivo -efficaci quanto precisi, matematici quanto illusionisti- che grazie ad un brano come Atlas conquistano il plauso del pubblico. Nel frattempo, in Aula Magna, Lorenzo Oggiano propone la sua performance manipolando un tappeto di bit digitali sugli ipnotici tracciati lineari in bianco e nero che scorrono sullo schermo, mentre nel Salone inizia a prender forma il suono della dancefloor con Daniel Meteo e la sua selezione minimal ricca di finezze dub elettroniche già ben nota e apprezzata dal pubblico italiano.
Apparat, su in Terrazza, conquista la folla con casse piene, raffinati passaggi IDM e sterzate breaks mentre in Aula Magna, la curiosità per il progetto Buddha Machine degli FM3, si spegne negli esili suoni emessi che ricordano un mantra: Buddha Machine è un micro soundsystem formato da piccole scatoline colorate, che generano dei loop in contemporanea e solo l’essere a conoscenza del progetto ci permette di apprezzarlo. Nel Salone, il set degli svedesi Minilogue ha la timbrica della battuta secca e, dopo di loro, è arduo riconoscere gli stili produttivi sia di Luciano che di Gabriel Ananda, che dimenticano il verbo della minimal techno per omaggiare la folla della notte. La Modified Toy Orchestra cerca di interagire con il pubblico mostrando come sia possibile recuperare i giocattoli in plastica e trasformarli in strumenti musicali: il risultato è un divertente riecheggiare dei Kraftwerk. Ma sul tetto il divertimento prosegue: un laptop è tutto ciò che serve al giovane Nathan Fake per far ballare la sua electro, limitando le fughe melodiche del suo splendido primo album a dei fraseggi molto brevi e semplici.
Non del tutto convincente il nuovo set audio/video di Alva Noto, presentato in anteprima italiana in Aula Magna: si assiste ad un movimento caotico di polvere digitale, senza che si delinei un qualcosa di definito e la performance è disturbata dai volumi troppo alti. Al contrario, è un assoluto piacere vedere Phil Hartnoll divertirsi sul palco suonando i classici dell’elettronica dei 90’s anche se il dj set in sé vale poco, con un misero laptop, segno dei tempi per uno come lui, abituato ad essere circondato dai macchinari.
È un bel tuffo emozionale raggiungere l’Auditorium dalla Terrazza, passando dagli smiles dell’ex Orbital all’atmosfera cupa dei KTL (Peter Rehberg e Stephen O Malley): sullo schermo è proiettata l’icona di una croce rovesciata, il muro di feedback chitarristici si interseca al rumore digitale; quello che colpisce è l’immagine sulla scena, il contrapporsi dei fasci di luce bianca al rumore nero. A condurci all’alba del nuovo giorno c’è Ellen Allien che questa volta, inaspettatamente, parte con Wish e con brani da Orchestra Of Bubbles che svuotano in parte la pista ma la confermano come uno dei personaggi più eclettici del festival.
La seconda notte ha un inizio più soffice, nel Salone, con gli Italoboyz che fanno un set poco aggressivo e curato nei suoni, mentre in Aula Magna, Pe Lang & Zimoun creano tappeti sonori e micro ritmi partendo dal movimento sistematico di piccoli oggetti di uso comune, le cui vibrazioni e risonanze sono alla base del loro sound design. Sul tetto del Palazzo Pole batte il tempo con i brani del suo album Steingarten, che dal vivo acquistano calore grazie alla cura nelle ritmiche ed ai giochi di intreccio attorno al dub. L’unica band rock, i Giardini Di Mirò, cerca di adattarsi al meglio in un festival dove sembra essere un pesce fuor d’acqua: a loro dire si sentono a proprio agio, ma il set fatica a raggiungere l’intensità consueta per problemi di acustica.
Nel Salone si ripropone la celebrazione del ballo con Franz & Shape, Sebastian Leger e Para One, che avvicinano il suono ai temi del momento incrociando la new wave maniaca dei synth con l’electro più spudorata ed eccessiva e aprendo la strada per il live dei Digitalism, che presenta Idealism nel formato di un potente mash-up: immancabilmente, il pubblico apprezza. In Terrazza invece, sotto le prime gocce di pioggia, i Various Production allestiscono un soundsystem che sorprende un po’ tutti quanti: assieme a 3MC raffinano il dubstep con un tocco di stile. L’atteso duetto tra Mike Patton e Fennesz raccoglie tanta folla nell’Auditorium ma non riesce del tutto a soddisfare. Fennesz come di consueto orchestra drones dal laptop con la chitarra mentre Patton modula la voce con effetti e, sebbene in alcuni momenti -rari- l’improvvisazione si spinga verso particolari derive oniriche, il live nel suo complesso non mantiene la promessa. La pioggia disturba il set di Isolée che, tuttavia, realizza una delle sue migliori performance. Il diluvio accompagna anche le ritmiche IDM techno del dj locale Claudio Fabrianesi mentre in Auditorium la performance della musicista e videoartista Janine Rostron scorre via in una pseudo opera rock surreale dal titolo Planningtorock. Poco più tardi Scott Arford manipola del rumore digitale ottenuto a partire dal segnale video, ma quello che ne esce, appunto, è solo rumore digitale. La chiusura di Dissonanze è nella mani di Chris Liebnig che, dopo tutto, può anche permettersi di suonare la sua techno senza correre troppi rischi.
link correlati
www.dissonanze.it
www.bttls.com
www.nathanfake.co.uk
www.isolee.de
fabio battistetti
decibel – sound art e musica elettronica – è un progetto a cura di alessandro massobrio
[exibart]