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29
gennaio 2009
Il Design Center di Bologna, fondato a maggio 2008, ha dedicato la sua seconda conferenza internazionale Imagine iT a un tema molto importante: l’accessibilità nel campo della progettazione di design.
Il 28 e 29 novembre 2008 si sono alternati, nell’aula magna dell’accademia di Belle Arti di Bologna, oltre venti relatori internazionali fra progettisti, grafici, designer ed esperti, per confrontarsi su un tema comune: come si possa, oggi, progettare per tutti. Ogni singolo intervento, seppur completamente differente, viene letto come un’unica grande riflessione sulla frase di Paul Hogan: “Good design enables, bad design disabile”.
Se un “cattivo” design, mal pensato e progettato, discrimina determinate categorie di persone, un buon design può riabilitare. Ma prima di ripercorrere il filo conduttore dell’intero convegno bisogna correggere la concezione generale che attribuisce il concetto di disabile semplicemente alla disabilità motoria.
Rendere un prodotto accessibile a tutti non deve far pensare soltanto ai disabili, ma a tutte le differenze che contraddistinguono le persone: etnia, religione, taglia, età, stili di vita, orientamento politico e sessuale. Solo considerando tutte queste diversità si può serenamente affermare di fare una progettazione “for all”.
Lo Eidd – Istituto Europeo per il Design e la Disabilità, fondato nel 1993, si pone come obiettivo quello di migliorare la vita delle persone, applicando appunto il design for all, ovvero il design per la diversità umana e, nel 2004, a Stoccolma, ha proclamato anche una dichiarazione in proposito.
La piattaforma parallela di ricerca in Italia è lo Iidd – Design For All Italia, che dimostra, con una campagna pubblicitaria di sensibilizzazione, come l’utente medio per cui progettare non esiste, e al suo posto esistono invece molte diversità. Una volta appreso che la diversità è una condizione base, l’accessibilità non deve più essere vista come un obiettivo da raggiungere: deve essere un diritto. È impensabile che ci siano ancore categorie di persone discriminate dalla progettazione. Design for all ha come obiettivo l’innovazione dell’accessibilità, ovvero come garantirla e migliorarla.
Seguendo le esperienze e gli esempi dei relatori, si è compreso quanto sia ampio il concetto di accessibilità: dall’accessibilità informatica, come dei semplici linguaggi di progettazione possano semplificare il web, all’accessibilità del packaging, come confezioni di alimenti d’uso comune debbano essere facilmente apribili anche da persone anziane, alla segnaletica accessibile in stati di agitazione o malessere, come l’uso dei colori per le indicazioni negli ospedali, alle barche accessibili ai disabili motori, agli spazi di gioco pensati per le necessità dei bambini, all’accessibilità nel way finding in una città straniera, come una labirintica Medina.
Proprio quando si pensava che più declinazioni del termine non si potrebbero trovare, si è parlato di accessibilità economica, con Giulio Iacchetti e il progetto della Coop, un tipo di design che tutte le persone si possono permettere. E poi ancora di accessibilità alla comunicazione e alla legalità, con Cinzia Ferrara che ha illustrato “Pizzino”, una rivista satirica di lotta alla mafia, e così si è scoperto con piacere che un design accessibile può anche voler dire accessibilità democratica. Perché la progettazione può e deve servire all’inclusione sociale.
Il 28 e 29 novembre 2008 si sono alternati, nell’aula magna dell’accademia di Belle Arti di Bologna, oltre venti relatori internazionali fra progettisti, grafici, designer ed esperti, per confrontarsi su un tema comune: come si possa, oggi, progettare per tutti. Ogni singolo intervento, seppur completamente differente, viene letto come un’unica grande riflessione sulla frase di Paul Hogan: “Good design enables, bad design disabile”.
Se un “cattivo” design, mal pensato e progettato, discrimina determinate categorie di persone, un buon design può riabilitare. Ma prima di ripercorrere il filo conduttore dell’intero convegno bisogna correggere la concezione generale che attribuisce il concetto di disabile semplicemente alla disabilità motoria.
Rendere un prodotto accessibile a tutti non deve far pensare soltanto ai disabili, ma a tutte le differenze che contraddistinguono le persone: etnia, religione, taglia, età, stili di vita, orientamento politico e sessuale. Solo considerando tutte queste diversità si può serenamente affermare di fare una progettazione “for all”.
Lo Eidd – Istituto Europeo per il Design e la Disabilità, fondato nel 1993, si pone come obiettivo quello di migliorare la vita delle persone, applicando appunto il design for all, ovvero il design per la diversità umana e, nel 2004, a Stoccolma, ha proclamato anche una dichiarazione in proposito.
La piattaforma parallela di ricerca in Italia è lo Iidd – Design For All Italia, che dimostra, con una campagna pubblicitaria di sensibilizzazione, come l’utente medio per cui progettare non esiste, e al suo posto esistono invece molte diversità. Una volta appreso che la diversità è una condizione base, l’accessibilità non deve più essere vista come un obiettivo da raggiungere: deve essere un diritto. È impensabile che ci siano ancore categorie di persone discriminate dalla progettazione. Design for all ha come obiettivo l’innovazione dell’accessibilità, ovvero come garantirla e migliorarla.
Seguendo le esperienze e gli esempi dei relatori, si è compreso quanto sia ampio il concetto di accessibilità: dall’accessibilità informatica, come dei semplici linguaggi di progettazione possano semplificare il web, all’accessibilità del packaging, come confezioni di alimenti d’uso comune debbano essere facilmente apribili anche da persone anziane, alla segnaletica accessibile in stati di agitazione o malessere, come l’uso dei colori per le indicazioni negli ospedali, alle barche accessibili ai disabili motori, agli spazi di gioco pensati per le necessità dei bambini, all’accessibilità nel way finding in una città straniera, come una labirintica Medina.
Proprio quando si pensava che più declinazioni del termine non si potrebbero trovare, si è parlato di accessibilità economica, con Giulio Iacchetti e il progetto della Coop, un tipo di design che tutte le persone si possono permettere. E poi ancora di accessibilità alla comunicazione e alla legalità, con Cinzia Ferrara che ha illustrato “Pizzino”, una rivista satirica di lotta alla mafia, e così si è scoperto con piacere che un design accessibile può anche voler dire accessibilità democratica. Perché la progettazione può e deve servire all’inclusione sociale.
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la rubrica design è diretta da stefano caggiano
Info: Accademia di Belle Arti di Bologna – Design Center, tel. +39 0514226417; d.pretto@design-center.it
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