10 marzo 2010

in fumo_movie Alice in Wonderland

 
Dov'è finito Tim Burton? Sicuramente non a Wonderland. Annunciata con squilli di trombe, l'Alice noir si rivela una Giovanna D'Arco con la passione per il commercio estero. Pensando a Corpse Bride non resta che un gran rimpianto...

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Forse non tutti sanno che quel gran genio di Tim Burton, cioè colui che preferisce la
nebbiosa Londra alla luminescente Hollywood, ha iniziato a lavorare
giovanissimo proprio nelle scuderie Disney. Così questo ragazzo cupo, oscuro e
geniale innovatore, si è ritrovato diciottenne e con una borsa di studio per la
California Institute of the Arts.
Alla fine degli anni ’70 Burton diventa ufficialmente un
animatore Disney. E partecipa alla realizzazione di un lungometraggio che, per
la generazione dei trentenni d’oggi, ha segnato la parentesi forse più
commovente dell’allora produzione animata. Si tratta della storia dei nemiciamici Red e Toby. Disegnare per giorni
e giorni le “graziose bestioline” non era la massima aspirazione di Burton, che
approfittava di ogni pausa per creare forme orribilmente attraenti e inedite,
ma nient’affatto affini all’universo Disney e alle forme graziose della
volpetta rossa e del cagnolino da caccia.
Eppure, almeno stavolta, il regista ha fatto un ottimo
servizio alla Disney. Ha confezionato un bel filmetto per bambini (perché
questo è l’unico pubblico cui è destinata la pellicola) catturando l’attenzione
mediatica con una promozione eccellente che, se unita alla fama di Burton, è la
migliore garanzia per ottenere incassi da record (puntualmente confermati nel
primo weekend di programmazione). Bilanci economici a parte, Alice in
Wonderland

rappresenta una delle più grandi delusioni firmate da Tim Burton. E pensare che
c’erano tutti gli ingredienti giusti per un’ottima produzione.
Alice in Wonderland di Tim Burton
Cos’è che non va? La storia, innanzitutto. Ci ritroviamo
con un Alice un po’ cresciutella e ossessionata da un sogno ricorrente.
Un’Alice che, per sfuggire alla promessa di matrimonio con un lord vittoriano
bamboccione, si ritrova di nuovo nel Paese delle meraviglie. Un po’ Dorothy e
un po’ Giovanna D’Arco, Alice si muove confusa, e lotta quando c’è da lottare.
S’innamora del Cappellaio Matto e poi lo lascia a bocca asciutta, preferendo il
mondo reale e il commercio con la Cina. Ecco, doveva essere una storia diversa
da quella scritta da Lewis Carroll. E infatti lo è. Ma tutti gli spunti più
interessanti, guarda caso, sono citazioni della fantastica storia di Carroll.
Sono drammaticamente del tutto assenti le piroette di parole giocate sulla
logica. E vien meno la filosofia dell’assurdo così ricca di paradossi e
simbolismi.
Ciò che è peggio, questa nuova Alice non offre stimoli né
interessi. Fatta eccezione per le evaporazioni dello Stragatto e poco altro,
neppure dal punto di vista visivo ci sono segni della genialità di Burton.
Giusto qualche albero dai rami scheletrici e contorti, tipico della sua
produzione, è piazzato qua e là. E le occhiaie velate di Alice non bastano
certo a fare di lei un personaggio “alla Burton”.
L'Alice nel paese delle meraviglie nela versione del 1951
Il film, nel complesso, è decisamente noioso. Ci si
aspetta che accada qualcosa che, ahinoi, non accade mai. Certe scelte
stilistiche sono apprezzabili. Ma non sono sufficienti a segnare la continuità
col passato. E neppure rompono la tradizione per offrire una visione nuova di
Wonderland e dei suoi abitanti.
Ciò che avevamo visto al cinema con La sposa cadavere (Corpse Bride, 2005) era qualcosa di
straordinariamente nuovo, poetico, geniale e surreale insieme. Utilizzando con
sapienza la stop motion, dopo la grande prova di Nightmare Before Christmas (1993), Burton dimostra d’aver raggiunto
vette mai sfiorate. A questo punto immaginiamo che uno dei “problemi” di Alice,
beh, sia proprio l’attuale approccio family centered della Disney. La sposa
cadavere
è una
produzione Warner Bros. Mentre Nightmare Before Christmas fu prima bocciato, poi approvato
e prodotto in un secondo momento proprio dalla Disney. Il successo di questo
film d’animazione – ben accolto all’uscita ma diventato popolare solo dieci
anni dopo grazie al dvd edizione speciale lanciato dalla Touchstone – ha
stuzzicato i gusti di un nuovo pubblico. Non solo prodotti per bambini, quindi.
Ma anche favole nere capaci di appagare la mente e lo sguardo con inquadrature
e scenografie impossibili prima di allora.
Una scena de La sposa cadavere di Tim Burton
Con Alice in Wonderland, invece, sembra ci si spinga di
nuovo verso la famiglia, rinunciando così a inedite creazioni visive. In questo
film leggiamo una rinuncia alla poetica e alla suggestione a favore del
prodotto popolare. Insomma, non bastano gli effetti speciali (fin troppo
forzati a vantaggio di un 3d aggiunto solo successivamente) e uno spaesato
Johnny Depp (lontanissimo dai tempi della meravigliosa favola di Edward mani
di forbice
) per
dare continuità a un lavoro iniziato con il lungometraggio animato di Alice nel
lontano 1951.
Quello che al tempo non fu considerato un capolavoro, ha comunque
il merito di aver fatto conoscere e apprezzare l’opera di Carroll. Senza
considerare il fatto che, dopo Pomi d’ottone e manici di scopa, Alice nel paese delle
meraviglie
è il
primo lungometraggio animato a essere proposto al pubblico in versione vhs nel
1984. Alla fine, anche in questo caso, il commerciale ha la meglio sull’opera.

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gianluca
testa

[exibart]

1 commento

  1. Seguo Barton da sempre e credo che la sua grandezza sia anche nel non ricadere nella solite proposte stilistiche e contenutistiche.
    Ed anche nel prodotto “commericiale” si dimostra un fuoriclasse.Anche La fabbrica del ciccolato incarnava già in sè una “devianza”.
    La firma del migliore Burton, in Alice, è assolutamente riconoscibile, lo stralunato Deep sempre affascinante – se non altro per uno splendido trucco glam – le citazioni di moda contemporanea, dalla Westwood a Gautier, specie della contemporanea Alice, sono gustose… La convivenza di svariate tecniche, antesignane o post mediate dal digitale, la lavorazione delle riprese cinematografiche mixate alle ambientazioni da cartoon o stop motion, fanno si che il film si sviluppi su piani visivi sovrapposti e non solo quelli generati dal formato 3D (superfluo, in effetti), offrendo vere e proprie sfumature fotografiche e pittoriche (si pensi alla sovra-esposizione dell’habitat della principessa bianca) che accentuano la dimensione onirica, in bilico tra reale ed irreale, copia e finzione. Insomma, ci sarebbe molto da dire: ma credo che, sebbene un po’ noioso (ma lo è la favola di Alice), questo prodotto faccia comunque impallidire tutto quello che c’è stato prima, della concorrenza e non, dai più recenti Pixar ai vari Avatar. Secondo me, quindi, l’Alice di Burton non delude…

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