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Cos’è strano? Iniziamo con questo titolo. Difficile immaginare una rubrica dedicata all’arte “queer”. Un po’ perché si rischia di essere tacciati di modaiolismo, un po’ perché – per definizione – il termine “queer” tende a rifuggire un’identificazione netta. Secondo l’accezione LGBT, infatti, “queer” – che inglese significa “eccentrico”, mentre in tedesco il termine quer indica il “trasversale” – è un lemma il cui uso nasce anche (e soprattutto) in contrapposizione agli stereotipi diffusisi, negli anni, nell’ambiente gay.
Queer, insomma, come rifiuto di un’etichetta. Con il rischio evidente, però, di affibbiarne al campo un’altra, quasi una sottonomenclatura. Quel che di più lontano vorremmo portare in queste pagine, però, è una dimensione dell’arte LGBT per un pubblico “di genere”. Contrariamente, vorremmo condividere esperienze che si situino appunto lontane da un’identità definitiva, ma in via di definizione, potremmo dire “borderline”, anche se nemmeno il lato psicanalitico dell’arte è una dimensione percorribile, o almeno non più e specialmente non in certi casi, quando si va a toccare il magma dell’attualità e di un sentire condiviso, e forse per questo più autentico.
In realtà, nonostante l’uso recente del termine, il “queer” è insito nella storia dell’arte e della cultura. Non uscì mai nelle parole del grande regista inglese Derek Jarman, ma a lui si imputa – come deus ex machina – la nascita di un queer-cinema: da Sebastiane a Wittgenstein il pastiche della storia con la contemporaneità, i lustrini del nostro tempo con le problematiche del linguaggio, le vicende scomode del vecchio Regno Unito, che appare oggi attualissimo nella versione data nei fatti di Ciò che resta dell’Inghilterra hanno contribuito al delinearsi di un immaginario che, ancora più scomodo e ancora più violento, lontano anni luce dall’esistenza “rainbow” che oggi alcune forme d’arte e spettacolo tendono a mettere in scena, fu di Pasolini.
La Ricotta, episodio del regista italiana nel film a episodi Rogopag, Teorema o il mitico romanzo-testamento-zibaldone Petrolio, sono stati in grado di mischiare il sacro con il profano dando una visione completamente inedita del modo di fare letteratura, e immagini in movimento.
Un po’ come accadeva – ancora prima – con i grandi del “New American Cinema” dei primi anni ’60, da Stan Brackage a Jonas Mekas, arrivando ai film degli anni ’70 di Paul Morrissey, “ombra” di Andy Warhol, che attraverso la figura del sensualissimo Joe Dalessandro dell’epoca e una manciata di celebri travestiti della scena della Grande Mela fu in grado di parlare di droga e paternità, di prostituzione maschile, disagio giovanile e sub-cultura.
E non è un caso che fu Marcel Duchamp, in una famosa conferenza a Filadelfia nel 1961, a dichiarare che l’Arte dovesse diventare sotterranea, come riportato nel volume “Underground e trasgressione. Il cinema dell’altra America in due generazioni” di Antonio Tedesco.
Insomma, il “queer” – che sempre in lingua anglosassone designa anche l’accezione negativa di “frocio”, diventa una storia di strada, decisamente beat ma non per questo “sbagliata”, come cantava Fabrizio De Andrè, dedicando il pezzo proprio alla morte di Pasolini, ma un incontro vivo di discussione con l’altro. Che sia storia, comunità, esperienza. (Matteo Bergamini)
Sicilia Queer filmfest 2017:
Un festival di tutti. Pensando a Palermo come segmento del mondo
di Agata Polizzi
Dopo anni di sperimentazione e pratica di affermazione di un linguaggio e prima ancora di un’idea, nella sua settimana edizione il Sicilia Queer filmfest 2017 consegna alla città di Palermo un’esperienza culturale che è insieme consapevolezza e maturità, di se stesso e dei temi di cui il Festival si è fatto carico.
Una trama complessa e a più voci, con la direzione artistica fresca e coinvolgente di Andrea Inzerillo che ha saputo rappresentare lo spirito di una generazione abituata al confronto, al dialogo interculturale, abituata al rispetto e alla condivisione di uno spazio e di un tempo che sono di tutti e che, per questo, occorre siano privi di barriere e altamente accoglienti.
Con questo clima il Sicilia Queer filmfest ha animato un entusiasmante e raffinato programma culturale che ha analizzato, commentato, persino dissacrato con ironia e garbo il tempo presente, con le sue debolezze e le sue speranze.
Lo scenario è stato quello dei Cantieri Culturali della Zisa, spazio sempre più recuperato e restituito alla Città con i suoi padiglioni ancora work in progress ma vivi, occupati non da degrado ma dalla voglia di ricominciare. È qui che si è declinata molta parte delle attività e delle proiezioni del Festival, con nomi internazionali e innumerevoli sezioni di approfondimento tematico, è qui che ha avuto luogo per la prima volta in Europa la retrospettiva integrale dedicata al cinema di Gabriel Abrantes, uno dei più promettenti registi contemporanei. Classe 1984, formatosi negli Stati Uniti, in Francia e in Portogallo, già presente con la sua arte da Locarno a Berlino, da Venezia a Lisbona, Abrantes è un autore raffinato e colto, ironico e provocatorio, artefice di un cinema che analizza i linguaggi della comicità senza mai perdere fascinazione e mantenendo il suo interesse per contesti differenti, quali l’arte contemporanea, la politica, l’architettura e l’urbanistica, il teatro.
La sua sperimentazione guarda alla commedia pura e approda alla realtà con una visione che è sensuale e insieme disincantata.
Il Sicilia Queer filmfest ha aperto anche un interessante dibattito sulle “visioni del reale” insieme a Claire Simon, artefice del workshop Nuove Lezioni Siciliane, dove l’attenzione all’immagine è diventata spunto critico per analizzare il presente, interrogarsi sulle nuove pratiche culturali, pensare lasciando spazio a una dimensione anche teorica, più lenta e profonda.
Sullo sfondo l’unicità dello sguardo di Franco Maresco, autore del trailer del festival, che non manca mai di essere anticonformista e talora anche lucidamente spietato.
A osservare e valutare le opere una giuria internazionale presieduta dal regista portoghese João Pedro Rodrigues, e composta da Silvia Calderoni, figura essenziale dell’avanguardia teatrale italiana (Motus), da Jean-Sébastien Chauvin (critico dei Cahiers du Cinéma) e Arnold Pasquier (regista) e dall’attrice tedesca Susanne Sachsse.
Satelliti della programmazione del Festival anche due progetti espositivi: uno ai Cantieri alla Zisa, EXTRABLATT a cura di Verein Düsseldorf Palermo, con una collettiva di giovani artisti tedeschi e italiani, chiamati a confrontarsi con tutti i film del concorso internazionale di cortometraggi, l’altro nel circuito urbano, Franko B. “Love Letters”, a cura di Paola Nicita e Antonio Leone a Palazzo Sant’Elia, dove il performer ha messo in scena una potente relazione tra identità individuale e corpo, illustrando tutta la tensione e insieme le infinite possibilità attraverso quest’ultimo di autentica sperimentare del mondo esterno.
Il Sicilia Queer filmfest si posiziona come una manifestazione interdisciplinare con incursioni e rimandi coerenti a differenti contesti culturali della contemporaneità, con una memoria presente e rivitalizzata sul recente passato, in cui affrontare i temi dei diritti civili non era semplice né scontato, una manifestazione in cui le istanze della cultura LGBT diventano condivise e collettive, diventano espressione di una sensibilità libera da sovrastrutture e per questo davvero in grado di poter incidere nel cambiamento delle coscienze. Ci piace poter riportare in chiusura le parole di Andrea Inzerillo, che sono insieme chiosa e promessa per il futuro: «La scommessa è quella di una manifestazione che possa essere luogo di incontro e di approfondimento, ma anche di intrattenimento per tutti gli appassionati di cinema e per tutte le persone curiose. In una Palermo pensata come segmento del mondo».
Agata Polizzi