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L’arrivo a Stromboli, per un siciliano di Palermo o per un londinese è sempre stravagante, lungo. Remota Isola pericolosa e sperduta, oasi del turismo di un certo “lusso sobrio”.
L’aliscafo plana, nella sua incubatrice di gelo del cooling system. Già si intravedono visi noti: dalla direttrice della Samadani Art Foundation Diana Campbell Betancourt fino alla scena campana più di ricerca e internazionale: Raffaela Naldi Rossano, Lorenzo Xiques, Alessandro Bava.
Allo sbarco l’Isola raddoppia i suoi abitanti. Ormai da metà luglio gli ultimi quindici pescatori indossano scarpe per non posare i piedi scalzi dove i turisti passeggiano sornioni.
La prima sera – 27 luglio – quella d’eclissi lunare totale, si apre sul proscenio de La Lunatica, casa storica per il festival Volcano Extravaganza (se non sai dove si trova difficilmente ci arrivi).
I quadri di Patrizio Di Massimo unitamente a dei tulle, sagomano sulla retina un sistema di livelli innestati dall’ingresso fino alla scogliera. Sulle rocce, bellissimi ragazzi seminudi e finemente imbrillantanti servono pietanze vegetali arrostite. Le aspre e acuminate rocce laviche fungono da dimora per un miniato banchetto bacchico dove rifornirsi a piene mani di alcolici e verdure grigliate (ma dove sarà il pesce del Mediterraneo?). Saluto amici da Palermo come Francesco Pantaleone e suo marito fino a Milano, è tutto un darsi baci e mani, ritrovare antichi amici e forse nuovi amori.
Questa edizione – l’ottava è incentrata sulla figura retorica dell’Anastrofe – ed è più piena che mai: dalla famosa Galleria The Breeder Athina (dove Farronato curò nel 2017 la mostra “Si sedes no Is” – che adombrò il progetto postcoloniale di Documenta14) a Lorenzo de Benedetti, da Mousse a tutta la scena di Frieze “young” dei London Based non manca proprio nessuno all’appello del Trust (Fiorucci Art Trust).
“Congiunzioni astrali” mi confida il curatore stesso, la luna diviene rossa e Milovan Farronato, dalla città dei motori passa prima a Milano, poi a Londra, per far ritorno come chief curator del padiglione Italia della Biennale di Venezia 2019.
Volcano Extravaganza – Total Anastrophes apre le danze con una presenza solida della pittura: Di Massimo, infatti, ha realizzato dei quadri ritraendo Milovan e la sua scuderia di artisti e amici, intenti alla vita vulcanica. Ma è ora sulla scogliera che si sposta l’attenzione, una specie di animale, un granchio-umanoide, si aggira all’imbrunire, sbarluccicante e deforme tra i cibi e gli astanti (sarà questa la nostra vera cena?).
Di colpo, mentre una volta mozzafiato tinge di chiaro la pelle, il richiamo sul terrazzo di Alex Cecchetti, risuona più forte. Che abbia inizio l’adunata degli epigoni tra i tulle. Sdraiati, attorcigliati, ammansiti da un oratore esperto e spiritoso: erotismo, morte e glorificazione della vita. Un percorso iniziatico che durerà tutta per tutti e tre i giorni.
Sotto i tulle, che rendono geometricamente leggero e ordinato lo spazio, inizia l’atto poetico che riprende Cetanceans, performance del 2017 ove un gruppo di attori impersona il suono dei cetacei, inframezzandolo da una lettura poetica. Un grande atto di amore verso la madre terra, verso il clitoride della grande madre, per iniziare: “remember, clitoris is not a ringbell!” scandisce più volte l’artista. Silenzio, risate e d’un tratto tutte con il dito sollevato al cielo, a stimolare il vento, a solleticare una luna che più grande non si può. “remember, Clitoris is not a ringbell!”. Silenzio, cibo, sorrisi, malizie e incontri o saluti di vecchia data. L’inframmezzo riprende, la luna è ormai nel pieno momento dell’eclisse:
Dei suoni gorgheggianti, dal profondo del mare, aprono la colchide del sogno: siamo tutti alticci, pieni. Il silenzio è quasi assoluto, ma il gorgheggio dei cetacei esplode nello spazio come un’ode “divina” e si diffonde, in continuo, vibrando, le voci fanno eco, l’improvvisazione poetica è contorno.
Ai presenti sono distribuiti degli spartiti – rigorosamente su Iphones – e scandite delle frasi, delle poesie sotto la direzione di Cecchetti stesso. L’atmosfera è densa, freme e ribolle. Il suono avvolge e cura i nostri occhi e riapre le orecchie, i corpi si confondono in un semplice terrazzo di calce, si rivive l’epica antica. Di colpo la magia finisce, e tutti rimangono impalati a fotografare una bimba dormiente sotto uno dei quadri di Di Massimo (la figlia di Lorenzo de Benedetti).
Ma dov’è la festa? prima ci si ritrova al Tartana Club e, poi, in un limoneto privato all’inizio del crinale lavico. La festa vera ancora deve iniziare e sarà domani, intanto il fuoco riscalda l’umidità. Sguardi languidi arrivano da più parti. Cito a memoria tra me e me “il motto veteropresente – il lavoro è il decoro del cittadino – sta perdendo la sua validità”, mentre la silohutte nera sul cielo ci culla tutti nel sonno.
28 luglio 2018, alle h19, Casa Falk, gremita di stromboliani bramosi di rivederla, dopo un restauro quanto mai chic, quella che fu dimora di Ingrid Bergaman, è stracolma. Isola e arte per una volta si compenetrano. La scogliera a strapiombo e le piante di capperi – volutamente lasciate crescere – conferiscono risalto ancora di più questo gioiello del mediterraneo: d’un tratto degli oblunghi “apicultori”, con vesti lussureggianti si aggirano per lo spazio. Il suono di Vynyl Factory e la zampettante videomaker Anna Franceschini vengono attirati sulle scalinate dei vari livelli dei terrazzamenti da attori e attrici indossanti delle vesti a coda disegnate dallo Studio Osman, dell’artista e designer Osman Yousefzada. La folla è estatica, assorta. Nel mentre dal “piano bar performativo” i cocktail serviti sono “giustizia o verità” all’ombra di un video trasognante del tramonto di frasche pendenti da una struttura in legno.
Guardando meglio, queste vesti, rappresentano nient’altro che momenti di vita della “tribù” di Volcano Extravaganza esattamente come le pitture di casa Lunatica. Da Nicoletta Fiorucci a Cecilia Bengolea un po’ tutti vengono ritratti sulle vesti.
Aprendo ancora una volta uno spazio ambiguo tra autocelebrazione, autoriflessione e presentazione: nient’altro che coincidere con sé stessi, Anastrofi Totali per spostare le azioni di tempo e luogo. Il viso di Milovan, erroneamente definito punk da Rollingstone, si presenta su uno dei vestiti – capotribù indiscusso di Volcano Extravaganza – mentre con movimenti lenti “gli indossanti” trasportano queste “pitture da vestire” da un livello all’altro delle scalinate, delle rocce vulcaniche levigate e asservite ai desideri dall’architettura. Il contrasto col tramonto e la calce bianca è evocativo, sublime mentre Iddu (il vulcano) sputacchia fumo e lapilli sulla sciara del fuoco Saluto il padrone di casa e ringrazio per l’ospitalità. Il Megà – anfiteatro naturale e club tra le rocce ci aspetta con ballerini e dj d’eccezione sempre da Londra.
29 luglio, già volgiamo al termine di una tre giorni densa, intricata, che come un tessuto ha vestito il ritmo di vita di tutti i partecipanti, un “biotica anastrofe”, tre parole per definirne il tempo: eclissi, epica, pittura. La grammatica visiva è stata disordinata sapientemente, le immagini quanto mai oniriche.
Ed è ancora la pittura a farla da padrone quest’ultima sera: iniziamo dalla chiesa madre di San Vincenzo su piazza “Ingrid”: una Nicoletta Fiorucci abbronzata saluta e sorride, è casa sua questa, Stromboli. Camminiamo, saliamo verso casa Abramovic, la sorpassiamo, infradito, prosecchi, spritz e una lenta combriccola di amici tra le lave vulcaniche e i canneti. Dopo dieci minuti vedo stramazzare paonazzi i più panzuti e divenire più silenti e veloci di temerari.
Il cimitero, due bellissimi giovani, lei con un fiocco nei capelli, reggiseno argentato tiene per mano lui, biondo, slanciato su tacchi grotteschi, rossi e vellutati. Un vestito di raso, luminscente nei suoi verdi e blu. Una gioia per gli occhi. Tutti i profanatori extravaganti siedono su tombe “sidirrupate” per dirla in dialetto. Il canto del fanciullo, tra le sue vesti avvolto, risuona alle pendici di Iddu. Le tombe fremono, le pietre cotte dal sole Stromboliano si lasciano baciare dai nostri corpi. Alex Cecchetti riprende la parola, sarà tutto un discorso sulla fisica quantica, sulle particole, sulla nascita dell’universo. Muove i nostri corpi impalati e sorridenti. Lentamente si scende, l’aedo coi tacchi a spillo davanti, noi, in carovana, a seguire tra le bestemmie sottovoce dei pigri.
A metà strada ci si ferma, Cecchetti sprona gli astanti a ripensare il loro essere particelle e nel canto di Summer Time, lentissimamente, entriamo in Casa Abramovic, accolti al buio da Nicoletta Fiorucci, pronta, esitante, rilassata.
“Thers no problem, now I kill Everybody” scandisce Cecchetti, obbligando tutti a sdraiarsi attorno al pozzo, “now choose a confortable position, cause You will take for a long time”. Passano 10 minuti di arringhe sulla morte e sullo stato fisico-quantico di quest’ultima e mi sovviene in mente il culto, tutto siciliano, in materia: ancora oggi per i morti, il 2 novembre in Sicilia portiamo da mangiare davanti alle tombe e sostiamo un intero giorno con gli antenati.
Il percorso iniziatico di Cecchetti è concluso, ci rializiamo storditi e sorridenti. Nelle ultime due stanze le “pitture camminanti” si muovono nello spazio. Uno è nelle mani di Milovan dal quale viene proiettato un video di Runa Islam, come il lento muoversi nella piccola stanza, il video è semplice: con un dito, tracciare un occhio sulla condensa di un vetro.
Vagano lenti, in stanze strette, proiettando e fermandosi. A terra un disegno: lo stesso del manifesto, immaginando la bocca di Iddu (il Vulcano) come fuoco centrale e cono di proiezione di luce e soffio. Il disegno è tratteggiato con sabbia nera e gesso, col passaggio della bolgia non resiste.
All’ombra di un enorme albero, a notte ormai fonda, un trittico di pitture pigro è cullato dal vento. Il vulcano è il soggetto, raffigurato da un pittore del Bangladesh che mai ha visto Stromboli, una sorta di anfiteatro al centro, il blu cadmio e il nero. Queste pitture e le immagini coordinate provengono tutte dall’art leader Runa Islam, che, dietro le quinte, e quasi sparendo ha però creato una continua assonanza tra Dhaka e Stromboli, a partire dal manifesto, dove il vulcano diviene l’asse per disegnare un cono di luce concretizzandosi nei nei drappi pittorici e all’idea di vulcano aperto, dove penetrare come in un teatro.
Dinanzi a questi trittici drappi, Nicoletta Fiorucci e Matilde Cerruti Quara suonano una campana tibetana, impregnando l’ambiente di un suono inconfondibile.
Da notare la volontà dichiarata di autorappresentazione e coincidenza con il proprio essere offerta da questa tre giorni di fuoco. Non c’è stato bisogno di aspettare dieci anni, dalla mostra alla Galleria di Modena dove Runa Islam e Tobias Putrih furono chiamati da Milovan, fino alle svariate collaborazioni tra Atene, Londra, Dhakka con tutti gli artisti del programma di “Volcano Extravaganza – Total Anastrophes” è l’occasione per dare ulteriore slancio e “incidere nella roccia lavica” un rinnovato quadro curatoriale per il Fiorucci Art Trust.
Se da un lato per gli isolani la presenza del Trust è vissuta quasi come una presenza colonica, dall’altro nessuno si lamenta delle mance e di questi “strani” artisti la cui opera è anzitutto esistere, con fatica e eleganza coincidere con sé stessi.
Ci tocca aspettare almeno un altro anno (o forse di più?) e, mentre già a Venezia si accendono i riflettori, cola la lava fuori dalla bocca dell’Isola. Iddu parla dal suo profondo grumo ventrale (ma oggi, chi riesce ancora ad ascoltare?). (Gaspar Ozur)