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18
dicembre 2007
PIGNETO IN RESIDENCE
Progetti e iniziative
È uno dei più noti quartieri popolari di Roma. E questo è il suo momento. Il Pigneto rinasce, nel segno della cultura, dello svago, del buon cibo. E, ultima novità, anche dell'arte. Apre qui 26cc, uno spazio indipendente per l'arte contemporanea. Attento ai giovani e con gli occhi puntati sull'Europa. Succede nel sesto “arrondissement” romano. In una periferia che non è più periferia...
Una periferia che evolve, risucchiata verso un centro ideale e instabile. La periferia romana d’una volta, quella raccontata da Pier Paolo Pasolini, quella sudicia e religiosamente pittoresca che il cinema rubava alla verità del quotidiano, continua oggi a scomparire, proiettata oltre il proprio margine. Accattone fu girato al Pigneto, luogo simbolo della periferia capitolina. La zona è quella del VI Municipio, fra la Prenestina e la Casilina, e lì, in effetti, di cinema se n’è fatto tanto. Tra gli angoli e le piazze del Pigneto presero vita capolavori come Roma Città Aperta di Rossellini, Bellissima di Visconti o Il Ferroviere di Germi.
Scenario ideale per la ruvida prosa neorealista, questo luogo, così vicino al centro, ancora percorso da echi di fragore proletario, è adesso protagonista di una interessante evoluzione sociale. Sottoposto a un piano di riqualificazione che prevede (quasi sempre) la partecipazione diretta dei cittadini, il quartiere, un po’ per volontà amministrativa, un po’ per autodeterminazione spontanea, ha cominciato a cambiare pelle. Associazioni culturali, locali, cinema d’essai, studi di architetti e designer, attività commerciali che si moltiplicano e provano a “fare sistema”: tra creatività, mondanità underground, politica partecipata e voglia di innovazione, il Pigneto è diventato un luogo di ritrovo per studenti, artisti, registi, giovani impegnati e realtà indipendenti.
Il 18 dicembre qui inaugura un nuovo spazio di aggregazione, candidato a diventare il fulcro culturale e ricreativo della zona. Si chiama 26cc, che non è una quantità volumetrica: cc sta per Castruccio Castracane, il nome della via in cui si trova l’edificio, mentre 26 è il numero civico mancante, quello che non c’era e che è stato assegnato dai nuovi inquilini. “Siamo nove tra artisti, critici e curatori, quasi tutti molto giovani“, spiega a Exibart Cecilia Casorati, curatrice, insegnante all’Accademia di Belle Arti di Roma e componente del collettivo che gestisce lo spazio secondo una formula collaborativa e orizzontale. “Nove persone molto differenti tra loro, che lavorano a un progetto comune, senza una precisa gerarchia. Il nostro intento è promuovere la cultura contemporanea attraverso metodi basati sulla condivisione e la discussione. Per riuscirci bisogna saper passare con disinvoltura da un ruolo all’altro“.
Un’impostazione utopica ed egualitaria, forse un po’ Seventies nello spirito ma anche, volendo, affine alle strategie più agili della new economy, strutturate sul modello di rete. Gruppo compatto, quindi, identità aperte e ruoli fluttuanti. Ma chi sono i ragazzi di 26cc? Oltre alla Casorati, altri due critici, Sabrina Vedovotto e Gabriele Gaspari, e poi sei artisti, Alessandra Casalena, Valentina Noferini, Luana Perilli, Silvia Giambrone, Mauro Romito, Andrea Liberati, tutti attivi in area romana, tutti tra i venticinque e i trent’anni.
L’arte contemporanea è l’anima del progetto, indubbiamente. Con le relative contaminazioni. La parola link, nel senso di contatto e relazione, ha un ruolo chiave nella filosofia di 26cc. Mescolanze tra generi e forme espressive, ma principalmente interazione, dibattito, incontro tra persone: “Organizzeremo mostre, workshop, rassegne di performance, ma di base vorremmo che questo fosse un luogo di confronto aperto” ci dice Casorati. “Vogliamo essere usati come si usano le idee, come si usa il linguaggio, per entrare in relazione“. Immagine suggestiva. Un posto che funzioni come un sistema di segni, spazio sintattico per una grammatica sociale: il pensiero si articola dentro una vecchia architettura, trasformata in contenitore creativo. 26cc era un forno dove facevano i cornetti, piuttosto grande ma non dispersivo. Un luogo semplice, raccolto in cui sentirsi sempre a proprio agio: “Abbiamo un ufficio comodo dove si può venire a bere il caffé e leggere riviste, libri, cataloghi“, racconta Cecilia. “C’è una sala principale che ospita le attività e un’altra stanza più piccola che diventerà uno studio quando attiveremo il programma di residenze. La luce è straordinaria, l’aria è pulita e d’estate si sta freschi“. Viene fuori l’immagine di un ritrovo “casalingo”, lontano dall’idea del tradizionale spazio espositivo, asettico e formale. Più centro sociale che galleria, in sostanza. “Vorremmo che fosse un posto dove dialogare, perchè è così che è nato: attraverso la pratica della discussione, oramai pressoché in disuso“. A parlare stavolta è Sabrina Vedovotto, che precisa: “Nel mondo dell’arte corriamo come pazzi, non ci fermiamo mai. Noi cerchiamo allora di ritagliare dei piccoli momenti per pensare, per riflettere. Che non significa una roba noiosa, anzi. Puntiamo su eventi divertenti, ma mai superficiali“.
E veniamo al primo appuntamento, una collettiva di giovani italiani e stranieri. Qualche nome? Kristof Kintera (quest’anno ad Artissima nella sezione Constallations con la sua Cement Tower), Valentino Diego, Alice Guareschi, Donatella Spaziani, Mancuska, Shin il Kim. Taglio rigoroso e coerente, tra ironia, concettualismo e intimismo misurato. Una mostra che i 26cc definiscono “antispettacolare”, nelle forme e nei contenuti. In che senso? “Hai presente il casino che avviene prima di una grande inaugurazione, l’attesa di un evento che poi magari si rivela un bluff? Ecco, questo lo eviteremo“, puntualizza Sabrina, “partendo proprio dal primo evento, una mostra che invita all’attenzione“. Bando agli eccessi scenografici e grande attenzione per la ricerca, che ècome dire ‘tanto arrosto e poco fumo’, in un mondo, quello dell’art biz, che di bolle di sapone ne sforna pure troppe. In tal senso, Pay Attention Please si rivela, nei temi, nella scelta degli artisti e nella formula espositiva, il manifesto dell’intero progetto, quasi una dichiarazione di poetica.
E per gli opening niente party esclusivi e banchetti sontuosi. Meglio puntare sulla sostanza, creando situazioni curiose che coinvolgano il pubblico con intelligenza. Ci racconta Casorati, a proposito: “L’altro giorno mentre discutevamo dell’inaugurazione, uno di noi ci ha ricordato che a Berlino usano mettere fuori dalle gallerie dei contenitori col ghiaccio e la birra, così ognuno si prende una bottiglia con un euro. Credo sia una cosa giusta e per niente scandalosa, ma immagino che se lo si facesse qui si sentirebbero dei commenti antipatici. Beh, vogliamo farlo anche noi… Ma tranquilli, patatine e noccioline le offriamo lo stesso!“. Un appeal antiborghese, che non disdegna piccole forme di autofinanziamento. 26cc è un’associazione senza scopo di lucro, e con le economie bisogna fare i conti, industriandosi alla bell’e meglio: “Pensiamo che la cultura vada pagata, anche se in Italia non è poi così naturale“, continua Cecilia, “per questo alcune attività, tipo i workshop a numero chiuso, saranno a pagamento. In questo modo potremo dare un gettone agli ospiti e coprire le spese di viaggio e di soggiorno. Insomma non siamo interessati a guadagnare grandi cifre, ma credo che tutti quelli che lavorano debbano essere pagati“. Sacrosanto.
Ma a parte questi piccoli arrotondamenti, come si finanzia 26cc? Dietro l’operazione c’è un mecenate, coperto da anonimato per rispetto di un progetto che resta intimamente collettivo. Proviamo a saperne di più dalla Casorati, che col misterioso personaggio ha stabilito i primi contatti: “È una signora romana, non troppo giovane, che abita in campagna, tra Siena e Perugia. Non è una collezionista in senso letterale, la definirei un’appassionata di cultura contemporanea; conosce bene l’attualità dell’arte e possiede alcune opere molto ‘scelte’ (Bruce Nauman, per esempio). La sua casa è una specie di paradiso culturale in cui organizza delle cene per far incontrare le persone e tenersi aggiornata su quello che accade. L’ho conosciuta anni fa in una di queste serate“. Colpita dalla voglia di promuovere in modo originale e non istituzionale il lavoro dei giovani artisti, la ricca signora si propone a un certo punto come finanziatore di 26cc. Ed è l’inizio della storia. Grazie al suo backround di imprenditrice è stato facile valutare l’entità dell’investimento, individuare strategie finanziarie e stabilire quindi una cifra sufficiente per la ristrutturazione e le attività dei primi due anni. E poi? “Puntiamo sui finanziamenti pubblici, ci muoveremo fin da subito in questa direzione“.
Certo, alimentare un progetto così ambizioso non è semplice. Soprattutto quando ci si proietta su un piano internazionale. Tra gli aspetti più interessanti del programma ci sono i cicli di ‘artist in residence’ e gli scambi con spazi stranieri gemellati. Racconta Cecilia: “Organizzeremo delle residenze di breve durata per artisti e curatori giovani, finalizzate a dei progetti specifici. Il programma partirà nell’autunno del 2008, stiamo ancora valutando le modalità di realizzazione. Esiste già una rete di scambi tra giovani artisti europei, da cui l’Italia è esclusa per mancanza di spazi e di opportunità. Vorremmo contribuire a non far sentire esclusi i nostri artisti“. Quanto ai gemellaggi, l’idea è quella di costituire un vero e proprio network di artisti e operatori del settore impegnati in progetti comuni. Non c’è ancora una lista degli spazi coinvolti ma, spiega Sabrina, “le nazioni che per ora ci interessano sono Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Olanda, Austria. Se penso a degli spazi europei a cui ci piacerebbe essere associati citerei il Bastart di Bratislava, il Rotor di Graz, il Public space with a roof di Amsterdam o Uqbar, a Berlino“. Idee chiare. Sono tutti luoghi polimorfi, project-space e associazioni indipendenti -gestiti da artisti o curatori- che puntano sullo scambio internazionale, la mobilità, la creazione di archivi e data-base per giovani artisti, la realizzazione di eventi improntati sulla ricerca.
E come ogni spazio culturale che si rispetti, anche 26cc avrà il suo archivio, cartaceo e digitale: “Intendiamo raccogliere via via la documentazione degli artisti che partecipano alle mostre e di quelli che fanno parte del nostro gruppo; ci saranno libri, video e documentazioni di performance. Faremo un’open call tra gennaio e febbraio” annuncia Cecilia. Ma non è tutto. L’archivio avrà un link diretto con il sito web, sulla cui home page vengono pubblicati dei video appositamente selezionati: “Ciascuna opera è visibile per tre settimane, poi viene sostituita da un’altra. Iniziamo con Vladimir Nikolic e poi a ruota Kuang-yu Tsui, Valentina Noferini e Sofia Hulten. I video passano poi nel nostro archivio“. Ovviamente il materiale sarà liberamente consultabile, come in un vero centro di documentazione. Idea preziosa ed ambiziosa, soprattutto per una città che, al momento, non possiede una simile struttura, sul modello, per esempio, della milanese ViaFarini. “Vogliamo che l’archivio diventi un posto pubblico, per chi non conosce la giovane arte italiana e in particolare quella romana. Abbiamo ricavato nell’ufficio un angolo comodo con un divano e la macchina del caffè, dove organizzare ogni tanto anche degli aperitivi. Non c’è una vera e propria zona lounge, perché puntiamo su un’atmosfera semplice e coinvolgente, senza reali separazioni“.
L’aspetto ludico e quello informativo sono pensati all’interno di uno stesso spazio, come nel living di una casa di universitari, un po’ studio, un po’ salotto, un po’ area relax. Formula vincente, senza ingessature o arie da white cube. Nulla di più adatto, d’altronde, all’atmosfera del Pigneto, che resta lo sfondo di tutta l’operazione. “Il Pigneto diventerà uno dei centri della vita sociale e culturale della città, come è avvenuto per Trastevere o San Lorenzo, e come sta accadendo a Ostiense“, conclude Cecilia Casorati. “L’apertura di 26cc darà il suo contributo alla crescita di un’area urbana che, per la sua atmosfera multietnica e popolare, ben si adatta a un tipo di esperienza come la nostra“.
E così, cercando quelle calviniane “città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici“, si scorge il profilo mobile di una periferia in mutazione, rigenerata nel gioco dell’arte e dell’immaginazione.
Scenario ideale per la ruvida prosa neorealista, questo luogo, così vicino al centro, ancora percorso da echi di fragore proletario, è adesso protagonista di una interessante evoluzione sociale. Sottoposto a un piano di riqualificazione che prevede (quasi sempre) la partecipazione diretta dei cittadini, il quartiere, un po’ per volontà amministrativa, un po’ per autodeterminazione spontanea, ha cominciato a cambiare pelle. Associazioni culturali, locali, cinema d’essai, studi di architetti e designer, attività commerciali che si moltiplicano e provano a “fare sistema”: tra creatività, mondanità underground, politica partecipata e voglia di innovazione, il Pigneto è diventato un luogo di ritrovo per studenti, artisti, registi, giovani impegnati e realtà indipendenti.
Il 18 dicembre qui inaugura un nuovo spazio di aggregazione, candidato a diventare il fulcro culturale e ricreativo della zona. Si chiama 26cc, che non è una quantità volumetrica: cc sta per Castruccio Castracane, il nome della via in cui si trova l’edificio, mentre 26 è il numero civico mancante, quello che non c’era e che è stato assegnato dai nuovi inquilini. “Siamo nove tra artisti, critici e curatori, quasi tutti molto giovani“, spiega a Exibart Cecilia Casorati, curatrice, insegnante all’Accademia di Belle Arti di Roma e componente del collettivo che gestisce lo spazio secondo una formula collaborativa e orizzontale. “Nove persone molto differenti tra loro, che lavorano a un progetto comune, senza una precisa gerarchia. Il nostro intento è promuovere la cultura contemporanea attraverso metodi basati sulla condivisione e la discussione. Per riuscirci bisogna saper passare con disinvoltura da un ruolo all’altro“.
Un’impostazione utopica ed egualitaria, forse un po’ Seventies nello spirito ma anche, volendo, affine alle strategie più agili della new economy, strutturate sul modello di rete. Gruppo compatto, quindi, identità aperte e ruoli fluttuanti. Ma chi sono i ragazzi di 26cc? Oltre alla Casorati, altri due critici, Sabrina Vedovotto e Gabriele Gaspari, e poi sei artisti, Alessandra Casalena, Valentina Noferini, Luana Perilli, Silvia Giambrone, Mauro Romito, Andrea Liberati, tutti attivi in area romana, tutti tra i venticinque e i trent’anni.
L’arte contemporanea è l’anima del progetto, indubbiamente. Con le relative contaminazioni. La parola link, nel senso di contatto e relazione, ha un ruolo chiave nella filosofia di 26cc. Mescolanze tra generi e forme espressive, ma principalmente interazione, dibattito, incontro tra persone: “Organizzeremo mostre, workshop, rassegne di performance, ma di base vorremmo che questo fosse un luogo di confronto aperto” ci dice Casorati. “Vogliamo essere usati come si usano le idee, come si usa il linguaggio, per entrare in relazione“. Immagine suggestiva. Un posto che funzioni come un sistema di segni, spazio sintattico per una grammatica sociale: il pensiero si articola dentro una vecchia architettura, trasformata in contenitore creativo. 26cc era un forno dove facevano i cornetti, piuttosto grande ma non dispersivo. Un luogo semplice, raccolto in cui sentirsi sempre a proprio agio: “Abbiamo un ufficio comodo dove si può venire a bere il caffé e leggere riviste, libri, cataloghi“, racconta Cecilia. “C’è una sala principale che ospita le attività e un’altra stanza più piccola che diventerà uno studio quando attiveremo il programma di residenze. La luce è straordinaria, l’aria è pulita e d’estate si sta freschi“. Viene fuori l’immagine di un ritrovo “casalingo”, lontano dall’idea del tradizionale spazio espositivo, asettico e formale. Più centro sociale che galleria, in sostanza. “Vorremmo che fosse un posto dove dialogare, perchè è così che è nato: attraverso la pratica della discussione, oramai pressoché in disuso“. A parlare stavolta è Sabrina Vedovotto, che precisa: “Nel mondo dell’arte corriamo come pazzi, non ci fermiamo mai. Noi cerchiamo allora di ritagliare dei piccoli momenti per pensare, per riflettere. Che non significa una roba noiosa, anzi. Puntiamo su eventi divertenti, ma mai superficiali“.
E veniamo al primo appuntamento, una collettiva di giovani italiani e stranieri. Qualche nome? Kristof Kintera (quest’anno ad Artissima nella sezione Constallations con la sua Cement Tower), Valentino Diego, Alice Guareschi, Donatella Spaziani, Mancuska, Shin il Kim. Taglio rigoroso e coerente, tra ironia, concettualismo e intimismo misurato. Una mostra che i 26cc definiscono “antispettacolare”, nelle forme e nei contenuti. In che senso? “Hai presente il casino che avviene prima di una grande inaugurazione, l’attesa di un evento che poi magari si rivela un bluff? Ecco, questo lo eviteremo“, puntualizza Sabrina, “partendo proprio dal primo evento, una mostra che invita all’attenzione“. Bando agli eccessi scenografici e grande attenzione per la ricerca, che ècome dire ‘tanto arrosto e poco fumo’, in un mondo, quello dell’art biz, che di bolle di sapone ne sforna pure troppe. In tal senso, Pay Attention Please si rivela, nei temi, nella scelta degli artisti e nella formula espositiva, il manifesto dell’intero progetto, quasi una dichiarazione di poetica.
E per gli opening niente party esclusivi e banchetti sontuosi. Meglio puntare sulla sostanza, creando situazioni curiose che coinvolgano il pubblico con intelligenza. Ci racconta Casorati, a proposito: “L’altro giorno mentre discutevamo dell’inaugurazione, uno di noi ci ha ricordato che a Berlino usano mettere fuori dalle gallerie dei contenitori col ghiaccio e la birra, così ognuno si prende una bottiglia con un euro. Credo sia una cosa giusta e per niente scandalosa, ma immagino che se lo si facesse qui si sentirebbero dei commenti antipatici. Beh, vogliamo farlo anche noi… Ma tranquilli, patatine e noccioline le offriamo lo stesso!“. Un appeal antiborghese, che non disdegna piccole forme di autofinanziamento. 26cc è un’associazione senza scopo di lucro, e con le economie bisogna fare i conti, industriandosi alla bell’e meglio: “Pensiamo che la cultura vada pagata, anche se in Italia non è poi così naturale“, continua Cecilia, “per questo alcune attività, tipo i workshop a numero chiuso, saranno a pagamento. In questo modo potremo dare un gettone agli ospiti e coprire le spese di viaggio e di soggiorno. Insomma non siamo interessati a guadagnare grandi cifre, ma credo che tutti quelli che lavorano debbano essere pagati“. Sacrosanto.
Ma a parte questi piccoli arrotondamenti, come si finanzia 26cc? Dietro l’operazione c’è un mecenate, coperto da anonimato per rispetto di un progetto che resta intimamente collettivo. Proviamo a saperne di più dalla Casorati, che col misterioso personaggio ha stabilito i primi contatti: “È una signora romana, non troppo giovane, che abita in campagna, tra Siena e Perugia. Non è una collezionista in senso letterale, la definirei un’appassionata di cultura contemporanea; conosce bene l’attualità dell’arte e possiede alcune opere molto ‘scelte’ (Bruce Nauman, per esempio). La sua casa è una specie di paradiso culturale in cui organizza delle cene per far incontrare le persone e tenersi aggiornata su quello che accade. L’ho conosciuta anni fa in una di queste serate“. Colpita dalla voglia di promuovere in modo originale e non istituzionale il lavoro dei giovani artisti, la ricca signora si propone a un certo punto come finanziatore di 26cc. Ed è l’inizio della storia. Grazie al suo backround di imprenditrice è stato facile valutare l’entità dell’investimento, individuare strategie finanziarie e stabilire quindi una cifra sufficiente per la ristrutturazione e le attività dei primi due anni. E poi? “Puntiamo sui finanziamenti pubblici, ci muoveremo fin da subito in questa direzione“.
Certo, alimentare un progetto così ambizioso non è semplice. Soprattutto quando ci si proietta su un piano internazionale. Tra gli aspetti più interessanti del programma ci sono i cicli di ‘artist in residence’ e gli scambi con spazi stranieri gemellati. Racconta Cecilia: “Organizzeremo delle residenze di breve durata per artisti e curatori giovani, finalizzate a dei progetti specifici. Il programma partirà nell’autunno del 2008, stiamo ancora valutando le modalità di realizzazione. Esiste già una rete di scambi tra giovani artisti europei, da cui l’Italia è esclusa per mancanza di spazi e di opportunità. Vorremmo contribuire a non far sentire esclusi i nostri artisti“. Quanto ai gemellaggi, l’idea è quella di costituire un vero e proprio network di artisti e operatori del settore impegnati in progetti comuni. Non c’è ancora una lista degli spazi coinvolti ma, spiega Sabrina, “le nazioni che per ora ci interessano sono Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Olanda, Austria. Se penso a degli spazi europei a cui ci piacerebbe essere associati citerei il Bastart di Bratislava, il Rotor di Graz, il Public space with a roof di Amsterdam o Uqbar, a Berlino“. Idee chiare. Sono tutti luoghi polimorfi, project-space e associazioni indipendenti -gestiti da artisti o curatori- che puntano sullo scambio internazionale, la mobilità, la creazione di archivi e data-base per giovani artisti, la realizzazione di eventi improntati sulla ricerca.
E come ogni spazio culturale che si rispetti, anche 26cc avrà il suo archivio, cartaceo e digitale: “Intendiamo raccogliere via via la documentazione degli artisti che partecipano alle mostre e di quelli che fanno parte del nostro gruppo; ci saranno libri, video e documentazioni di performance. Faremo un’open call tra gennaio e febbraio” annuncia Cecilia. Ma non è tutto. L’archivio avrà un link diretto con il sito web, sulla cui home page vengono pubblicati dei video appositamente selezionati: “Ciascuna opera è visibile per tre settimane, poi viene sostituita da un’altra. Iniziamo con Vladimir Nikolic e poi a ruota Kuang-yu Tsui, Valentina Noferini e Sofia Hulten. I video passano poi nel nostro archivio“. Ovviamente il materiale sarà liberamente consultabile, come in un vero centro di documentazione. Idea preziosa ed ambiziosa, soprattutto per una città che, al momento, non possiede una simile struttura, sul modello, per esempio, della milanese ViaFarini. “Vogliamo che l’archivio diventi un posto pubblico, per chi non conosce la giovane arte italiana e in particolare quella romana. Abbiamo ricavato nell’ufficio un angolo comodo con un divano e la macchina del caffè, dove organizzare ogni tanto anche degli aperitivi. Non c’è una vera e propria zona lounge, perché puntiamo su un’atmosfera semplice e coinvolgente, senza reali separazioni“.
L’aspetto ludico e quello informativo sono pensati all’interno di uno stesso spazio, come nel living di una casa di universitari, un po’ studio, un po’ salotto, un po’ area relax. Formula vincente, senza ingessature o arie da white cube. Nulla di più adatto, d’altronde, all’atmosfera del Pigneto, che resta lo sfondo di tutta l’operazione. “Il Pigneto diventerà uno dei centri della vita sociale e culturale della città, come è avvenuto per Trastevere o San Lorenzo, e come sta accadendo a Ostiense“, conclude Cecilia Casorati. “L’apertura di 26cc darà il suo contributo alla crescita di un’area urbana che, per la sua atmosfera multietnica e popolare, ben si adatta a un tipo di esperienza come la nostra“.
E così, cercando quelle calviniane “città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici“, si scorge il profilo mobile di una periferia in mutazione, rigenerata nel gioco dell’arte e dell’immaginazione.
helga marsala
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 46. Te l’eri perso? Abbonati!
18 dicembre 2007 ore 19
Payattentionplease
26CC
Via Castruccio Castracane, 28 – 00176 Roma
Info: mob. +39 3397849317; info@26cc.org; www.26cc.org
[exibart]
ma se è un progetto collettivo perchè non pubblicare la foto del collettivo anzichè di due sole persone? viene il dubbio che la gerarchia che hanno cercato di allontanare con le belle parole si sia già formata…
ma basta con lo sbandierare come novità cose che non lo sono! e non solo all’estero, ormai anche in italia
mai sentito parlare di exposito a napoli? e di 1:1project a roma? peccato che il collettivo indicato non sia proprio come il gruppo di lavoro 1:1 prohects…a parte la casorati, è chiaro.
I commenti qui sopra sanno di chi sta seduto davanti al pc e sa solo criticare… invece di fare qualcosa e magari gioire per una nuova apertura all’arte, tipicamente italiano.
Complimenti invece a chi si sbatte per “fare”, invece che parlare.
considerando che noi conosci chi scrive difficile poter dire se chi parla sta seduto e non fa niente.
Qui non si tratta di criticare le iniziative, ben vengano. Si tratta di ridimensionare i toni di chi apre convinto di fare una operazione geniale e nuovissima, mentre sta facendo ciò che normalmente si fa o si dovrebbe fare.
“pratica della discussione pressocche in disuso”? ma dove vive la signora curatrice? si è persa gli ultimi anni di pratiche curatoriali?
ciao,molto interessante e coragioso vostra iniziativa !!!!mi interessa .come si puo esponere in galeria “26cc” ? [pittura ]
ma quanto siete invidiosi?
ma quanto sei superficiale?