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REBUILDING ALBANIA
Progetti e iniziative
Uno Stato con una giovane democrazia, un sistema culturale ancora in formazione. Dove non mancano gli artisti di valore, le teste pensanti e la volontà di costruire un futuro nel contemporaneo, dopo anni d’isolamento internazionale. Una nuova opportunità all’orizzonte viene dalla riapertura della National Gallery di Tirana...
Stai svolgendo un lavoro difficile in un Paese complesso e pieno di contraddizioni. Qual missione ti sei dato?
Il mio primo obiettivo è stato riaprire il museo e mettere ordine nella collezione. Bisognava mostrare alle persone le opere possedute, riappropriarsi di un luogo che era in abbandono e per lo più utilizzato con differenti finalità. È necessario che i cittadini percepiscano questo come uno spazio pubblico dedicato all’arte, in maniera univoca.
Che tipo d’interventi avete realizzato?
L’edificio è in stile razionalista degli anni ‘60. È stato sistemato il tetto, che è una parte che riserva molti problemi, rifatto completamente il sistema dell’illuminazione. Grazie al mio staff abbiamo catalogato le opere possedute e le abbiamo esposte con un criterio cronologico, ma facendo nel contempo attenzione anche all’aspetto formale. La mostra inaugurale, 120 anni di arte. Pittura e scultura in Albania, raccoglie una selezione interessante del nostro lavoro. Nei prossimi mesi uscirà un catalogo bilingue (albanese/inglese), un primo contributo alla scrittura di una storia dell’arte nazionale, che ancora manca.
E poi?
Intanto stiamo studiando il nostro passato, che ci servirà anche per capire quale sarà il nostro futuro. Ci sono delle caratteristiche della nostra arte dovute alla storia particolarissima della nazione. Il passo successivo sarà invece creare degli altri spazi per le mostre di artisti contemporanei, in maniera tale che la nuova ricerca abbia visibilità in città.
In che modo?
C’è un edificio qui a Tirana – che in passato celebrava il dittatore Hoxha – che ospiterà in futuro un nuovo spazio istituzionale per l’arte contemporanea. Per la forma che ha, lo chiamiamo “la Piramide”; so che ci sono dei progetti in fase avanzata per il reimpiego dello spazio. Finché ciò non avverrà, la National Gallery avrà anche un ruolo che potremmo definire paterno, e contribuirà a produrre le mostre e a dare delle occasioni agli artisti. Ogni anno organizziamo il Premio Onufri, che quest’anno abbiamo voluto riservare agli artisti albanesi. Nelle prossime edizioni sarà un evento che coinvolgerà artisti internazionali, che avranno così modo di esporre qui. Sarà un modo per favorire l’interscambio dei nostri giovani con altre realtà.
Cosa che suppongo sia difficile…
Abbiamo delle strutture scolastiche non molto aggiornate e nemmeno un pubblico culturalmente preparato. Tieni conto che la nostra arte si è evoluta, nel periodo della dittatura, praticamente in maniera solitaria, senza alcun contatto internazionale. Minimalismo, Arte Concettuale, Postmodernismo sono categorie che i nostri artisti che non hanno avuto esperienze all’estero conoscono solo per sentito dire. Allo stesso modo, i visitatori di una mostra farebbero molta fatica a seguire l’arte contemporanea che si è sviluppata altrove. Così insisteremo a mettere in relazione artisti, pubblico e critici con talk, seminari, pubblicazioni. Il nostro è un pubblico da costruire!
E può funzionare un sistema artistico senza la presenza di un mercato?
Qui proprio non esiste un sistema. Anzi, è una priorità costruirlo, poiché non esiste alcuno dei soggetti istituzionali o privati che in altri luoghi operano per la promozione. Essere un artista qui in Albania è complicato, è una lotta quotidiana contro la depressione! Eppure, nessuno degli studenti dell’Accademia di Belle Arti ha mai bussato alla mia porta per chiedere supporto. Bisogna insomma far circolare le informazioni, affinché comincino a delinearsi i ruoli dei singoli operatori.
Nessun collezionista?
Esiste una parte del Paese che ha uno stile di consumi da Paese ricco. Ma, più che una middle class, tendono a essere dei nouveau riche, con un’idea dell’arte che deriva direttamente dal passato regime. Ecco perché è necessario, prima di tutto, mettersi al passo coi tempi. Sto lavorando a un progetto con cui favorire la costituzione di nuove gallerie, che per i primi anni godranno di esenzioni fiscali. Poi un grande lavoro va fatto pure dagli artisti, che si devono rendere conto della loro centralità e devono fare sistema ed essere in grado di far pressione sulla classe politica. Tutti vorrebbero essere arrivati, come Anri Sala. Ma il suo è un lavoro di produzione e destinazione internazionale, che non necessariamente ha delle ricadute nel nostro Paese. Mi aspetto invece che questi giovani artisti trentenni che seguo possano fare un passo in avanti complessivo ed esser riconosciuti, anche criticamente, come autori albanesi.
Ci sono invece degli aiuti esterni?
È stato uno dei lavori più complessi, ma abbiamo trovato dei finanziatori anche tra aziende private e banche. Ci siamo sforzati per coinvolgerli, invitandoli a far parte del nostro consiglio di amministrazione. Parallelamente viene organizzato un galà annuale per la raccolta di fondi per la galleria. L’idea di fondo è intercettare le persone più sensibili, e fare trasversalmente della galleria un centro d’interessi culturali.
Non sarà facile…
Dobbiamo continuare in questa direzione. Uscire dall’isolamento, creare una comunità (anche tra gli artisti), passare da una scena con pochi protagonisti a un vero e proprio sistema, che sia in grado in grado di alimentarsi ed essere efficiente. Dal mio punto di vista, non abbiamo alternative.
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La Biennale di Tirana 2005
a cura di daniele capra
National Gallery of Arts
Bulevardi Dëshmorët e Kombit – Tirana
Info: +355 42226033; albnag@yahoo.com
[exibart]