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24
ottobre 2007
fino al 25.XI.2007 Nuovi pittori della realtà Milano, Pac
milano
Una panoramica sulla figurazione. Paesaggi, ritratti, nature morte. In bilico fra tradizione e rinnovamento. E, sullo sfondo, l’eterno dibattito tra antichi e moderni. E la querelle Sgarbi-Politi...
Cosa significa contemporaneo? La storia dell’arte è attraversata da attestati di nascita e dichiarazioni di morte, da vere o presunte novità che cercano di conquistare la scena. In un mondo che accelera sempre più rapidamente, nell’arte lo spirito del tempo rischia di trasformarsi in moda e sembra decidere sorti, direzioni e correnti. I critici à la page si affannano alla ricerca del nuovissimo da esaltare e, se non lo denigrano, dimenticano l’appena passato. Ma qualche artista insiste testardamente nella sua inattualità, fregandosene dell’anacronismo. E così, una volta dichiarata la fine della pittura e della sua secolare tradizione, improvvisamente ci si accorge che, mentre già le si scavava la fossa, questa non solo respirava ancora, ma aveva mantenuto intatti il suo fascino e il suo mercato.
La discussa esposizione di quarant’anni di pittura italiana a Palazzo Reale trova un suo prolungamento al Pac, con le opere della LVIII edizione del Premio Michetti, curato quest’anno dal compianto Maurizio Sciaccaluga. Le due esposizioni hanno in comune il curatore, alcuni artisti e l’aspro botta-e-risposta tra Vittorio Sgarbi e Giancarlo Politi. Polemiche a parte, le opere esposte sotto il tema Nuovi realismi offrono la possibilità di apprezzare il valore inattuale e contemporaneo della pittura, attraverso rivisitazioni delle sue declinazioni più tradizionali, dal nudo al ritratto, dal paesaggio alla natura morta. Nella kermesse è interessante il ripetersi di alcuni motivi: la celebrazione ironica del passeggero; l’influenza della fotografia e della pubblicità; le reinterpretazioni di miti iconografici della tradizione; la predominanza del corpo umano, e ancor di più del volto. Singoli e gruppi umani fanno la parte del padrone e non è un caso, quindi, che le due opere vincitrici siano altrettanti ritratti: Head di Cristiano Tassinari, un quadro increspato come un affresco dall’intonaco cedevole, in cui l’espressività della materia si fa tonalità emotiva; e Senza Titolo di Till Freiwald, un ritratto glacialmente perfetto, che sembra oltrepassare il realismo della fotografia digitale attraverso la maestrìa nell’acquerello.
Tra gli altri, merita una segnalazione la delicatezza dei colori di Anna Madia, forse un emblema della “linea dolce della figurazione” di cui parlava Sciaccaluga. E ancora i disegni a matita di Andrea Boyer, sospesi in malinconiche atmosfere noir, e la poesia delle “pennellate sbagliate” di Roberta Savelli. Infine, le tipologie umane con accessori delle tele di Nicola Nannini e le impeccabili nature morte “senza vanitas” di Luciano Ventrone, vincitore del Premio Speciale della Fondazione Michetti.
Nel complesso, la mostra mette insieme poetiche diverse, attente al sociale o all’effimero, al quotidiano, alla cronaca o al sogno. Modalità differenti di approccio al reale. Ma tutte accomunate dal tentativo di far risaltare alcune porzioni della realtà, per cercare di afferrare qualcosa che costantemente ci sfugge: il nostro tempo, qui e ora.
La discussa esposizione di quarant’anni di pittura italiana a Palazzo Reale trova un suo prolungamento al Pac, con le opere della LVIII edizione del Premio Michetti, curato quest’anno dal compianto Maurizio Sciaccaluga. Le due esposizioni hanno in comune il curatore, alcuni artisti e l’aspro botta-e-risposta tra Vittorio Sgarbi e Giancarlo Politi. Polemiche a parte, le opere esposte sotto il tema Nuovi realismi offrono la possibilità di apprezzare il valore inattuale e contemporaneo della pittura, attraverso rivisitazioni delle sue declinazioni più tradizionali, dal nudo al ritratto, dal paesaggio alla natura morta. Nella kermesse è interessante il ripetersi di alcuni motivi: la celebrazione ironica del passeggero; l’influenza della fotografia e della pubblicità; le reinterpretazioni di miti iconografici della tradizione; la predominanza del corpo umano, e ancor di più del volto. Singoli e gruppi umani fanno la parte del padrone e non è un caso, quindi, che le due opere vincitrici siano altrettanti ritratti: Head di Cristiano Tassinari, un quadro increspato come un affresco dall’intonaco cedevole, in cui l’espressività della materia si fa tonalità emotiva; e Senza Titolo di Till Freiwald, un ritratto glacialmente perfetto, che sembra oltrepassare il realismo della fotografia digitale attraverso la maestrìa nell’acquerello.
Tra gli altri, merita una segnalazione la delicatezza dei colori di Anna Madia, forse un emblema della “linea dolce della figurazione” di cui parlava Sciaccaluga. E ancora i disegni a matita di Andrea Boyer, sospesi in malinconiche atmosfere noir, e la poesia delle “pennellate sbagliate” di Roberta Savelli. Infine, le tipologie umane con accessori delle tele di Nicola Nannini e le impeccabili nature morte “senza vanitas” di Luciano Ventrone, vincitore del Premio Speciale della Fondazione Michetti.
Nel complesso, la mostra mette insieme poetiche diverse, attente al sociale o all’effimero, al quotidiano, alla cronaca o al sogno. Modalità differenti di approccio al reale. Ma tutte accomunate dal tentativo di far risaltare alcune porzioni della realtà, per cercare di afferrare qualcosa che costantemente ci sfugge: il nostro tempo, qui e ora.
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stefano mazzoni
mostra visitata l’11 ottobre 2007
dall’undici ottobre al 25 novembre 2007
Nuovi pittori della realtà
a cura di Maurizio Sciaccaluga
PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea
Via Palestro, 14 (zona Palestro) – 20121 Milano
Orario: lunedì ore 14.30-19.30; da martedì a domenica ore 9.30-19.30; giovedì fino alle ore 22.30
Ingresso: intero € 3; ridotto € 2
Catalogo Vallecchi
Info: tel. +39 0276009085; fax +39 02783330; www.comune.milano.it/pac
[exibart]
l’italia è messa peggio del terzo mondo(che è anche di moda)…e non è una questione di “pittura”, magari lo fosse, sarebbe molto più semplice. qui è proprio voler mettere in piazza i panni sporchi.
Mostra veramente di serie C.
Peggio di così… dalle stelle (che già stelle non erano) alle stalle…o ciò che ne rimane quando gli animali sono fuori…
al peggio non c’è mai limite… non so se sia più esecrabile questa a Milano (dove il cattivo gusto impera) o quella di Giacinto a Bergamo (dove l’ignoranza è palese e la confusione la fa da padrone)
La critica d’arte non è una scienza esatta. E’ una pratica accessoria all’Arte, di supporto, studio e teorizzazione tra storia (non solo dell’arte) e filosofia, letteratura, sociologia e scienze. Ma è anche un esercizio, tra ragione e passione, di confronto, scontro, battaglia ideale e idealistica con artisti, intellettuali, collezionisti e mercanti illuminati o illuminabili. Una pratica trasversale, estremamente soggettiva e mobile, sostanzialmente inutile quando non dominata da un pensiero chiaro e forte e sorretta da valori altrettanto solidi. In alternativa vi è la “chiacchierata a tono intelligente, anzi addirittura furbo”, per dirla con de Chirico, con cui il critico “si sforza di apparire un uomo superiore, acuto, uno spirito lirico e complicato, una persona al corrente dei più recenti fenomeni artistici […]: aneddoti, pettegolezzi e vita romanzata; di pittura nemmeno una parola.”. Ho pensato proprio a queste parole visitando la recente mostra “Nuovi pittori della realtà” ospitata dal Pac di Milano fino al 25 novembre (catalogo, triste, di Vallecchi). E ho provato un profondo senso d’imbarazzo misto a pena, soprattutto pensando che quella mostra porta la firma di un collega che non c’è più e col quale, dunque, sarebbe stato utile, con l’occasione, instaurare un confronto serrato, libero e sempre costruttivo. E’ molto difficile scrivere di chi non c’è più: se tradisci il tuo pensiero e santifichi lo scomparso, in nome della pena e di un rispetto umano sempre fondamentale, rientri nell’affollato e poco piacevole serraglio dei “coccodrilli” e questo, mi si perdoni, non mi appartiene; di contro, se affermi la tua verità, soprattutto se fortemente critica, ancorché benevola, rischi sicuramente di passare per la jena di turno che, per un motivo o per un altro, s’avventa contro l’indifeso. La verità è che ad offendere la memoria di Maurizio Sciaccaluga, il critico al quale è stata riconosciuta la paternità postuma del progetto espositivo del 58° Premio Michetti di Francavilla al Mare, dal quale deriva questa appendice milanese, sarebbe proprio il trattarlo con pena e lacrimevole bonarietà. La morte di un pittore o di uno scrittore non cambiano il giudizio sulla sua opera. E perché questo dovrebbe valere per un critico?
La mostra, come già accennato in un precedente intervento su queste pagine, si presenta come un’informe accozzaglia del di-tutto-e-di-più: un’insalatona omogeneizzante di grandi e piccoli artisti, nuovi e vecchi tutti assieme, senza una linea critica originale, chiara, coraggiosa e decisa, senza alcun legame fra le opere che non sia quello, labilissimo, di un’iconicità più o meno d’occasione o di maniera. Il titolo, poi, lascia alquanto perplessi: cosa significa “Nuovi pittori della realtà”? “Nuovi”? Una parola orrenda, usata ed abusata al limite della consunzione, che mi riporta con raccapriccio ai tempi del mio Dams bolognese, con l’ossessione di Renato Barilli (nemico ferocissimo della pittura figurativa più alta) per il nuovo a tutti i costi (ricordate i suoi “Nuovi Nuovi”, accumulo di pittori spesso mediocri messi insieme a casaccio in nome di un nuovismo tanto insulso quanto inesistente?). Il “nuovo” non è un valore assoluto, un fine per un artista che aspira ad essere tale. Nuovo, semmai, dovrebbe essere lo sguardo dello spettatore verso l’opera, mai solo l’opera d’arte in sé. Il nuovo in arte è, o dovrebbe essere, un mezzo per esprimere nuova espressività, non una questione estetica o formale pura e semplice. Cito ad esempio Brancaleone da Romana, un pittore fino ad oggi sconosciuto e riscoperto, al pari di altri, da Sgarbi, in occasione di una infelice mostra su arte e omosessualità. Brancaleone è (non era) un pittore che più classico non si può immaginare. E che probabilmente coltivava tutte le ambizioni e velleità possibili, ma non quella di essere nuovo ad ogni costo, soprattutto rinunciando all’espressività. Oggi i suoi dipinti, a distanza di quasi settant’anni, ci appaiono “nuovi”, freschi, moderni, carichi di un’espressione tale da farceli sentire come parte del nostro sentimento e del nostro tempo, in grado di comunicare con noi parlando il nostro linguaggio di uomini del Terzo Millennio. Esattamente come avviene coi grandi maestri della pittura di ogni tempo, da Giotto a Bacon, da Caravaggio e Velazquez a Rothko e Freud. Come si fa a definire “nuovi” Giuseppe Bartolini (classe 1938 e che partecipa al Michetti dal 1970), Luciano Ventrone (classe 1942 e mostre blasonatissime in tutto il mondo), Giorgio Tonelli (classe 1941 e tra i padri fondatori del cosiddetto Realismo esistenziale) o Maurizio Bottoni (classe 1950, il più antico, ed ora anche il più vecchio, pittore italiano)? I casi sono due: o il curatore ne ignorava l’esistenza, quindi per lui sono davvero “nuovi”, oppure sono da considerarsi tali tout-court, emergenti, pittori sconosciuti fino ad ora, il che, oltre che ad apparire ridicolo, non rende certamente onore alla loro indiscussa fama e a decenni di rigoroso lavoro. Ma veniamo al “realismo”, sul cui significato oggi, mezzo secolo dopo la rottura del “Fronte delle Arti” e del celebre corsivo di Togliatti sulle pagine di “Rinascita”, a mio avviso è urgente riflettere, privato com’è di qualunque senso. Che dopo la fine del “nuovo” sia arrivata anche quella del “realismo”? Ha senso oggi considerare genericamente “realista” (o, peggio ancora, iperrealista) un pittore come Ventrone, con quell’invenzione meravigliosa della luce e della pittura che esce da ogni realtà? O Tonelli, con le sue vedute tanto metafisiche quanto impossibili? E i “nuovi realisti” allora chi sarebbero? Una pletora che, fatta eccezione per pochi, usa ed abusa la citazione, appare rinchiusa in manierismi senza espressività e che nel migliore dei casi sfociano in decorazione o esercizio virtuosistico puro. I nomi? I casi più clamorosi sono quelli di due ottimi pittori (e tra i più amati dallo scrivente), Agostino Arrivabene e Nicola Nannini, il primo tragicamente ormai senza espressività né gusto o rigore, ma con tanta fretta (perfido quel ragazzo dal pelo pubico in vista e che dall’ombelico in giù sembra di gomma); il secondo ormai prigioniero della sua stessa, compiaciuta presunzione, impegnato in esercizi tanto sterili, vecchi e polverosi quanto carichi solo di provinciale tristezza e squallida modernità da vetraio di paese. Per non dire dell’onnipresente Angelo Davoli del cui grande talento oggi non rimane più nemmeno l’ombra. Il resto, come detto, è composto per lo più di pittori e sultori preoccupati più della moda e del mercato che della “pittura”: tutti ad inseguirsi su schemi vecchi e abusati (i finti Freud, i neo-neo-neo espressionisti, i neo-Martinelli, i neo-Di Stasio, i neo cartellonisti di stampo Bulgaro, i neo-geometri sbagliati di porta, ecc). Tra i migliori, ma che paiono lì davvero per caso, figurano i soliti “giovani maestri”, Martinelli, Durini, Scarpella, Schmidlin, Papetti, Verlato, Siciliano, Guida, Demetz (Aron), Boyer, con alcuni felici “giovani”: Paolo Quaresima, Ana Kapor e Vladimir Pajevic, Danilo Buccella, Gianluca Carona, Luca Conca e Cristiano Tassinari. Poi la lunga lista delle dimenticanze apparentemente ingiustificate e la triste scelta di escludere a Milano gli artisti stranieri, originariamente presenti, forse la parte davvero nuova e più interessante, benché monca, della mostra abruzzese. Mai Premio Michetti fu più confuso e privo di personalità quanto quest’ultimo dedicato alla “Pittura amata”. Al punto da farmi rimpiangere Bonito Oliva, Caramel, Vettese e Barilli. Loro, se non altro avevano le idee chiare. Anche se sbagliate. Ultima nota: a poche centinaia di metri dal Pac, a Palazzo Reale, due mostre celebrano davvero la vera Pittura del nostro tempo: David La Chapelle (catalogo Giunti Arte) e Vivienne Westwood (catalogo Skira). Se la pittura è davvero cosa mentale, che trasfigura la realtà, porta fuori da ogni tempo e da ogni spazio, allora è proprio lì.
Mi diverte sempre vedere con quale imbarazzo, critici e sostenitori delle avanguardie sono costretti a difendere la pagnotta. Gli argomenti per affondare la pittura classica sono ormai consolidati da un secolo di funerali annunciati mille volte, ma mai terminati. Ha senso non prendere atto che il consenso di pubblico delle avanguardie è al livello più basso nonostante l’aiuto costante di banche, istituzioni e fondazioni, quando la pittura realistica, classica, figurativa o come la vogliamo chiamare, ha un successo di pubblico spontaneo, genuino (senza una lira di finanziamento) e in costante crescita?
Quanta malafede! La figurazione è una realtà in tutti i paesi europei; Spagna, Inghilterra, Germania, e anche e soprattutto in Cina.
Sciaccaluga ha avuto il merito di sentire prima di tutti l’aria che tirava, una qualità riservata ai grandi critici. Ha avuto il coraggio di non abbandonarsi alla facilità di compiacere a chi conta, a chi finanza con grandi mezzi: musei, fiere e castelli.
Caro Serafini, mio conterraneo, ma che blateri?
Chi ti scrive si occupa solo e sempre di pittura figurativa, da quasi vent’anni (l’anno scorso ho curato un’antologica di Ventrone proprio nel tuo paese…). Angelo Davoli, Carla Bedini, Carlo Ferrari, Nicola e Matteo Nannini, Agostino Arrivabene, Maurizio Bottoni, Paolo Quaresima e molti altri ti dicono nulla? Bene, sono pittori che ho avuto il piacere di scoprire e di accasare io e non mi paiono proprio “dell’altra sponda”, astratti o altro… Poi lasciamo stare la fine che spesso hanno fatto, sviati dalle sirene del sistema arte e dalle loro stesse, umane debolezze. La verità, caro Serafini, è che il male s’è infiltrato anche nel “nostro” mondo, dove ormai anche voi dipingete e producete solo per far numero, per vendere, per finire sulle riviste patinate, esattamente come i vostri “antagonisti”. Si prenda l solito Sgarbi: imposta un’infinita polemica con Politi sulla base della sua presunta “attenzione” al mercato e ai mercanti e perchè, a detta sua, concepirebbe l’arte come provocazione pura. Poi Sgarbi a Milano, città, simbolo del buon governo di Centrodestra (Berlusconi), espone i Cristi immersi nell’urina di Serrano, “santifica” gli imbrattamuri-disobbedienti elevandoli al livello di Michelangelo (Milano paga ogni anno centinaia di migliaia di euro per ripulire la città dai graffiti), organizza una mostra di Botero tutta anti Bush ed anti-americana (quando il filoamericanismo e l’amicizia Bush-Berlusconi è uno dei pochi temi caratteristici del Centro-destra italiano, in una mostruosa mostra su Arte e Omosessualità espone il papa in perizoma… Quello che dava del provocatore a Politi ed agli altri avversari!) Il buon Sciaccaluga (e con lui Riva) ha sempre difeso e sostenuto la “minoranza” figurativa, ma solo quella piccola parte sostenuta da gallerie e da un sistema mercantile (vedi i tempi di Arte, dove veniva ammesso solo chi aveva la galleria spendacciona alle spalle. E dove avevi il tuo bel redazionale se prima, o dopo, il Riva o lo Sciaccaluga di turno presentavano e curavano la tua mostra in galleria. Pagati, ovviamente e giustamente) Maurizio non si è mai interessato della parte più segreta e spesso più preziosa della figurazione italiana. E questo è sotto agli occhi di tutti da sempre, soprattutto in questa mostra. Dove, guarda caso, inserisce proprio i nuovi protetti del suo assessore (a che, non ostante anche mezzo secolo di pittura di certi casi, non s’era mai degnato di notare prima, non conoscendone l’opera e quindi finendo con esporre brutti quadri e spesso poco rappresentativi. L’arte, caro Serafini, è specchio della società. E così come non esiste più la Politica (che differenza c’è tra Destra e Sinistra oggi se non il nome di due uguali e contrapposte lobby d’affari?), non esiste più un sentimento artistico degno d’essere definito tale. Tutti lì ad affannarsi per apparire, per guadagnare, per esporre ovunque; tutti ad inseguirsi, ad imitarsi, a produrre serialmente dipinti o sculture tanto ricche di compiacimento e consolatorio virtuosismo quanto sterili d’espressività e vita. Tutti a far affari. E le opere dunque? Passate in secondo piano. E con l’oro anche il vostro essere artisti.
Ma che senso ha un assunto del genere:
“Al punto da farmi rimpiangere Bonito Oliva, Caramel, Vettese e Barilli. Loro, se non altro avevano le idee chiare. Anche se sbagliate”, le idee giuste sono solo le tue?
tolto Bonito Oliva, di cui non giudico le idee ma il tipo di scrittura alquanto imbarazzante, gli altri , sopratutto la Vettese e Caramel, mi sembrano ottimi critici. Poi forse ti sfugge che pure Caramel si è occupato di pittura figurativa…
Luciano Caramel è un amico e per certi aspetti, quelli “storici” soprattutto, un vero e stimato maestro (poi è un uomo di grande simpatia ed ironia, il che non guasta). Ma questo non mi impedisce di avere divergenze con lui sul piano puramente “critico”. Come con Vettese, Bonito Oliva, Barilli, Sgarbi (il mio maestro) ed altri illustri e rispettabilissimi colleghi. Forse sfugge a Lei la differenza fra le due dimensioni. Io difendo un tipo di figurazione “altra” rispetto a quella di tanti altri miei rispettabilissimi colleghi. Si chiama, la mia, “critica militante”, concetto desueto, me ne rendo conto, nell’epoca dei supermarket dell’arte e delle mostre-minestrone, dove tutto va bene e viene masticato in nome di un mercato che tritura e digerisce tutto (qual’è quel giornale che può permettersi la libertà di stroncare, quando sono le stesse gallerie e gli stessi artisti a garantirne la sopravvivenza con la pubblicità? E questo, ahinoi, non vale solo per l’arte…). Posso capire che le mie posizioni Le appaiano incomprensibili, ma, mi perdoni, questo è solo un problema Suo.
Non credo che la sua risposta al mio intervento sia significativa, e torno al mio concetto: non pensarla allo stesso modo vuol dire privilegiare solo la Sua idea?
Penso poi che definirsi critico militante, come lei stesso nota, sia oggi poco significativo. Militante rispetto a cosa? Forse non si rende conto che anche Lei fa parte del sistema tanto che arriva ad elaborare una critica negativa sul recente fare arte di Agostino Arrivabene di cui comunque curerà una mostra nel 2008.
Le altre Sue polemiche circa questioni “politiche” del mondo dell’arte le condivido in pieno.
Libero di pensarla come vuole. Per me “militante” significa altro, molto altro. Se non lo capisce non è un problema mio. Mi dispiace deluderLa, ma non ho in programma alcuna mostra di Agostino Arrivabene nel 2008. Col quale, avendo egli compiuto scelte che rispetto ma non condivido, non ho più evidentemente il piacere di collaborare da tempo. Cordialità.
albertoagazzani
Penso io medesimo che la mostra al Pac non sia granché, ma riflette lo stato della Pittura in Italia. Credo che Lei di Pittura se ne intenda poco, dato che mi cita pittori alquanto mediocri, con pochissime eccezioni. Le assicuro che il mio non è astio, del giudizio dei critici-curatori non so che farmene e di conseguenza del suo. Molti si fanno paladini della “giusta causa”, ma poi si vede la solita melassa. Saluti dalla morgue. L.D.B.
Brancaleone Da Romana è un pittore eccezionale.
E anche se penso che i suoi dipinti fossero poco attinenti col tema della mostra di Firenze sono felice che Sgarbi l’abbia esposto perchè ha contribuito, ancora una volta, a rinnovarne il ricordo a chi già lo conosceva e a renderlo noto e “nuovo” a chi non l’aveva mai conosciuto.