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12
giugno 2008
fino al 14.VI.2008 Linda Fregni Nagler Milano, Alessandro De March
milano
Cos’è un’immagine? E le immagini della memoria? Fluttuanti nell’universo acqueo della reminiscenza, sono atti intenzionali. Ma è difficile non vederle per quello che sono: simulacri illanguiditi...
Soprassedendo all’idea tradizionale delle fotografia come riproduzione mimetica della realtà, la poetica di Linda Fregni Nagler (Stoccolma, 1976; vive a Milano) è strettamente connessa a un’idea di tempo che potremmo dire sia fatta di “quasi-ricordi”: già con il film Taken Over, l’artista svedese aveva dato forma allo slittamento semantico dell’immagine fotografica da luogo della memoria ritrovata a simulacro prodotto dalla memoria.
Con la nuova serie di lavori su fotografie originali, allestiti negli spazi di Alessandro De March, è rimasta fedele alla reminiscenza come tema ispiratore, facendo leva su questo doppio movimento degli indiscernibili fra immagine e memoria fin nel titolo della mostra, Immemore. Nagler rinnova l’immagine conservando su di essa le vestigia del tempo e determinandone un depotenziamento semantico. Le immagini restano idoli, ma ridestate, sospese a mezz’aria fra ricordo e oblio del loro stesso significato. Ma ciò che è sepolto è riportato in superficie. Come se l’artista smuovesse i sedimenti della memoria, mutandone la conformazione. E il tempo, da categoria dell’intelletto, viene a essere una variabile della sensibilità.
I soggetti delle sue fotografie derivano da immagini preesistenti: ritratti fotografici di autori sconosciuti risalenti all’Otto-Novecento, foto trovate o acquistate e ri-fotografate con procedimento analogico, enfatizzando la duplice caratteristica dell’immagine fotografica come oggetto d’affezione e come elemento materiale (ferrotipo, sali d’argento et cetera). La fotografia diviene qui il luogo paradossale della memoria attenuata: funzione “immemore” in quanto spostamento del significato, “quasi-ricordo”, appunto. L’uso della tecnica analogica consente di investire le fotografie di un quoziente oggettuale: non sono solo immagini, ma immagini su un supporto, che cambia nel momento in cui vengono ri-fotografate. In questo senso, il significato dell’immagine transita affievolendosi.
Caratteristica comune delle opere in mostra è dunque l’enfatizzazione di questi due elementi, il supporto, sorta di “macchina del senso”, e l’immagine, cristallizzata in un adesso immobile come una storia bloccata al momento dello scatto. Facendo al contempo riemergere ciò che era dimenticato: spesso nelle foto originali c’era uno sfondo posticcio, un allestimento scenico voluto dall’ignoto autore come simulazione di un teatro di posa.
In un caso solo le opere sono invece il risultato di uno scatto fatto in studio: la serie Unidentified Mourners raffigura le immagini di due modelle vestite e pettinate dall’artista stessa, producendo un effetto ottico-dinamico oscillante fra l’appercezione delle macchie scure di Rorschach e i dettagli delle immagini stesse. E forse qui interviene l’altro lato della poetica di Linda Fregni Nagler, quello della visione e dell’ambivalenza dell’immagine.
Con la nuova serie di lavori su fotografie originali, allestiti negli spazi di Alessandro De March, è rimasta fedele alla reminiscenza come tema ispiratore, facendo leva su questo doppio movimento degli indiscernibili fra immagine e memoria fin nel titolo della mostra, Immemore. Nagler rinnova l’immagine conservando su di essa le vestigia del tempo e determinandone un depotenziamento semantico. Le immagini restano idoli, ma ridestate, sospese a mezz’aria fra ricordo e oblio del loro stesso significato. Ma ciò che è sepolto è riportato in superficie. Come se l’artista smuovesse i sedimenti della memoria, mutandone la conformazione. E il tempo, da categoria dell’intelletto, viene a essere una variabile della sensibilità.
I soggetti delle sue fotografie derivano da immagini preesistenti: ritratti fotografici di autori sconosciuti risalenti all’Otto-Novecento, foto trovate o acquistate e ri-fotografate con procedimento analogico, enfatizzando la duplice caratteristica dell’immagine fotografica come oggetto d’affezione e come elemento materiale (ferrotipo, sali d’argento et cetera). La fotografia diviene qui il luogo paradossale della memoria attenuata: funzione “immemore” in quanto spostamento del significato, “quasi-ricordo”, appunto. L’uso della tecnica analogica consente di investire le fotografie di un quoziente oggettuale: non sono solo immagini, ma immagini su un supporto, che cambia nel momento in cui vengono ri-fotografate. In questo senso, il significato dell’immagine transita affievolendosi.
Caratteristica comune delle opere in mostra è dunque l’enfatizzazione di questi due elementi, il supporto, sorta di “macchina del senso”, e l’immagine, cristallizzata in un adesso immobile come una storia bloccata al momento dello scatto. Facendo al contempo riemergere ciò che era dimenticato: spesso nelle foto originali c’era uno sfondo posticcio, un allestimento scenico voluto dall’ignoto autore come simulazione di un teatro di posa.
In un caso solo le opere sono invece il risultato di uno scatto fatto in studio: la serie Unidentified Mourners raffigura le immagini di due modelle vestite e pettinate dall’artista stessa, producendo un effetto ottico-dinamico oscillante fra l’appercezione delle macchie scure di Rorschach e i dettagli delle immagini stesse. E forse qui interviene l’altro lato della poetica di Linda Fregni Nagler, quello della visione e dell’ambivalenza dell’immagine.
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Linda Fregni Nagler – Immemore
Galleria Alessandro De March
Via Rigola, 1 (zona Maciachini) – 20159 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 15-19
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 026685580; info@alessandrodemarch.it; www.alessandrodemarch.it
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