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09
settembre 2008
fino al 21.IX.2008 Piero Guccione Milano, Palazzo Reale
milano
Una pittura filosofica e interiore, ma sempre vicina alla natura. Ecco come la fedeltà mimetica non giunge mai a stridere con la dimensione esistenziale. Poeticamente assorta, insistentemente evocativa...
“Nel mio lavoro, di solito, il significato non è la molla che fa scattare l’immagine né la gioia di inseguirla. È la seduzione dell’oggetto l’elemento primario: la sua pregnanza fisica e figurale che in genere mi spinge a tentarne l’interpretazione e a darne visione”. Le parole di Piero Guccione (Scicli, Ragusa, 1935) tratteggiano una missione artistica che, pur trovando nella natura la sua fonte prediletta, da quest’ultima si emancipa per non ridursi a mera pittura realistica e trovar forza nella sensibilità lirica, intimista, senza con ciò sfociare nell’astrazione.
È proprio a una personalità così varia e complessa che la mostra ideata da Vittorio Sgarbi vuole rendere omaggio, ripercorrendo quasi interamente -con una selezione di circa ottanta opere realizzate nelle tecniche dell’olio su tela e del pastello su carta- l’evoluzione espressiva del siciliano.
È nel fermento dell’ambiente romano dei primi anni ‘60, dove la militanza nel gruppo Il Pro e il Contro conduce il pittore a una sapiente padronanza tecnica, ma dal taglio modernamente innovativo, che nascono i paesaggi “modernizzati” -impropriamente accostati alle esperienze della Pop Art italiana e ad artisti come Schifano e Arcangeli, che hanno invece optato per un’arte estroflessa- caratterizzati da scenari naturali di sapore antico, memori dell’eredità classica, e tuttavia contaminati dai segni ingombranti dell’industrializzazione, come Erice (1963) e Aereo sulla città (1966).
Risalgono agli anni ’70 le tele in cui Guccione, ritornato a Scicli e, immerso nel paesaggio mediterraneo, mitico e idilliaco, si lascia rapire dalla contemplazione di una natura che diviene il pretesto essenziale per lasciarsi pervadere dal sentimento dell’assoluto: è datato 1971 il meditabondo Autoritratto nel paesaggio, dove l’artista, ripreso di scorcio, getta il proprio sguardo sull’indefinita distesa verde e in essa si disperde, a tradire un panteismo dalle risonanze ataviche.
Degna di menzione è la serie dei d’après, grazie alla quale l’artista ha modo di confrontarsi con maestri del passato quali Michelangelo, Caravaggio, Giorgione: basti citare il sublime Dal giudizio di Michelangelo (1999), in cui le figure risultano come sospese tra rivelazione e dissolvenza, presenza e parvenza. È in opere come L’ombra e l’ibisco su fondo grigio (1994) che, invece, Guccione insiste su una natura sempre più rarefatta, quasi generata da geometrie essenziali, queste ultime accentuate dal taglio fotografico delle inquadrature, attento a esaltare significati simbolici.
Curioso che la mostra milanese, tesa a ripercorrere in senso cronologico il vasto corpus di opere dell’artista, si concluda proprio laddove ha avuto inizio o, meglio, si apra laddove dovrebbe concludersi: scelta questa assai felice perché, una volta esaurito il percorso espositivo, si può intraprendere nuovamente il cammino a partire dagli ultimi lavori di Guccione che, sedotto dal Romanticismo, oscilla tra sublime nordico e infinito mediterraneo, per approdare ai paesaggi siculi dalle atmosfere silenti e sospese, a riecheggiare toni metafisici e segnatamente morandiani.
Un Guccione al quale si potrebbero facilmente lasciar pronunciare i versi leopardiani: “Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”.
È proprio a una personalità così varia e complessa che la mostra ideata da Vittorio Sgarbi vuole rendere omaggio, ripercorrendo quasi interamente -con una selezione di circa ottanta opere realizzate nelle tecniche dell’olio su tela e del pastello su carta- l’evoluzione espressiva del siciliano.
È nel fermento dell’ambiente romano dei primi anni ‘60, dove la militanza nel gruppo Il Pro e il Contro conduce il pittore a una sapiente padronanza tecnica, ma dal taglio modernamente innovativo, che nascono i paesaggi “modernizzati” -impropriamente accostati alle esperienze della Pop Art italiana e ad artisti come Schifano e Arcangeli, che hanno invece optato per un’arte estroflessa- caratterizzati da scenari naturali di sapore antico, memori dell’eredità classica, e tuttavia contaminati dai segni ingombranti dell’industrializzazione, come Erice (1963) e Aereo sulla città (1966).
Risalgono agli anni ’70 le tele in cui Guccione, ritornato a Scicli e, immerso nel paesaggio mediterraneo, mitico e idilliaco, si lascia rapire dalla contemplazione di una natura che diviene il pretesto essenziale per lasciarsi pervadere dal sentimento dell’assoluto: è datato 1971 il meditabondo Autoritratto nel paesaggio, dove l’artista, ripreso di scorcio, getta il proprio sguardo sull’indefinita distesa verde e in essa si disperde, a tradire un panteismo dalle risonanze ataviche.
Degna di menzione è la serie dei d’après, grazie alla quale l’artista ha modo di confrontarsi con maestri del passato quali Michelangelo, Caravaggio, Giorgione: basti citare il sublime Dal giudizio di Michelangelo (1999), in cui le figure risultano come sospese tra rivelazione e dissolvenza, presenza e parvenza. È in opere come L’ombra e l’ibisco su fondo grigio (1994) che, invece, Guccione insiste su una natura sempre più rarefatta, quasi generata da geometrie essenziali, queste ultime accentuate dal taglio fotografico delle inquadrature, attento a esaltare significati simbolici.
Curioso che la mostra milanese, tesa a ripercorrere in senso cronologico il vasto corpus di opere dell’artista, si concluda proprio laddove ha avuto inizio o, meglio, si apra laddove dovrebbe concludersi: scelta questa assai felice perché, una volta esaurito il percorso espositivo, si può intraprendere nuovamente il cammino a partire dagli ultimi lavori di Guccione che, sedotto dal Romanticismo, oscilla tra sublime nordico e infinito mediterraneo, per approdare ai paesaggi siculi dalle atmosfere silenti e sospese, a riecheggiare toni metafisici e segnatamente morandiani.
Un Guccione al quale si potrebbero facilmente lasciar pronunciare i versi leopardiani: “Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”.
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a cura di Vittorio Sgarbi
Palazzo Reale
Piazza Duomo, 12 – 20122 Milano
Orario: lunedì ore 14.30-19.30; da martedì a domenica ore 9.30-19.30; giovedì ore 9.30-22.30 (chiusura biglietteria ore 18.30; giovedì ore 21.30)
Ingresso libero
Catalogo Skira
Info: tel. +39 0280509362; www.comune.milano.it/palazzoreale
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