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19
gennaio 2010
fino al 31.I.2010 Giacomo Balla Roma, Ara Pacis
roma
Dopo oltre trent’anni, torna in mostra - e restaurato - il più grande arazzo di Balla. E la teca di Meyer ospita due “geni” in contrapposizione. Artefici l’uno dell’azione furiosa del Futurismo, l’altro del perfetto equilibrio dell’Impero...
Al cospetto dell’incommensurabile perfezione classica
dell’ara augustea, ogni cosa scolora. Ma per “uno dei capolavori del
futurismo balliano maturo” sarebbe forse stato opportuno un allestimento che ne privilegiasse in
diversa misura la dialettica con il grandioso contesto.
Apparati che potrebbero quasi alludere a quello spazio in
sordina concesso ai futuristi italiani alla Exposition des Arts décoratifs
modernes di
Parigi del 1925, dove l’arazzo di Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958), Genio
Futurista, oggi
in mostra, fu per la prima volta presentato. Con la differenza, però, che
sull’allestimento della mostra francese pesò allora il giudizio diffidente del
Comitato per l’Esposizione, che fu superato solo grazie all’intervento diretto
di Mussolini e al suo consistente contributo economico al gruppo di artisti.
A loro fu, dunque, in extremis concesso uno spazio all’interno
del Grand Palais, dove accanto a Fortunato Depero ed Enrico Prampolini fu assegnata a Balla un’area
ristretta, in una zona d’accesso agli spazi riservati ai due più giovani
colleghi futuristi. Vi dispose quattro dipinti su tela da arazzo: Genio
futurista, Mare
vele vento e i
più piccoli Farfalle in movimento e Fiori futuristi.
Nonostante il ritardo con cui fu aperto al pubblico il
loro padiglione, nel giugno del ’25, laddove la mostra inaugurava in aprile, i
futuristi e segnatamente Balla riscossero un buon successo, a dispetto delle
ostilità di cui erano spesso oggetto.
In effetti, la tormentata commistione fra arte e regime e
la violenza proclamata dall’azione futurista costituiscono per la critica
contemporanea un complesso nodo da dipanare per scindere l’avversione al
contesto politico dal giudizio sui contenuti innovativi e sulle influenze
esercitate sulla cultura internazionale.
In questo senso, è estremamente lucida la recente visione
di Gregorio Botta,
che riconosce al Futurismo, unico movimento italiano d’avanguardia, il merito d’aver
saputo cogliere spunti che – in verità – si andavano già diffondendo in tutta
Europa, traducendoli in slogan efficaci e immediati. Alcuni utili a definire un
nuovo concetto di arte totale (rottura con il passato, celebrazione della
macchina, del movimento, della velocità); altri sfruttati per sostenere alcune
inclinazioni del regime, quale la concezione della guerra come sola igiene del
mondo, come una “forza generatrice”, nazionalista, da cui scaturiranno poi le più indicibili
sofferenze del secolo.
Anche in Genio futurista, proprietà di Laura e Lavinia Biagiotti,
le tonalità sono modulate sul tricolore italiano, in una composizione in cui
risalta al centro una schematica figura di uomo con la testa a stella e le
braccia disposte a formare una “M”, probabile allusione a Mussolini, posto il
contesto di forte adesione dell’artista al fascismo, testimoniato anche in
altre opere coeve.
Per ciò, l’accostamento dell’arazzo di Balla con l’emblema
della pace augustea, che pose fine alla politica espansionistica dell’impero,
inneggiando al culto del genius dell’imperatore, appare forse come il vero elemento di
correlazione tra le due opere. Nel senso, però, di contrapposizione.
dell’ara augustea, ogni cosa scolora. Ma per “uno dei capolavori del
futurismo balliano maturo” sarebbe forse stato opportuno un allestimento che ne privilegiasse in
diversa misura la dialettica con il grandioso contesto.
Apparati che potrebbero quasi alludere a quello spazio in
sordina concesso ai futuristi italiani alla Exposition des Arts décoratifs
modernes di
Parigi del 1925, dove l’arazzo di Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958), Genio
Futurista, oggi
in mostra, fu per la prima volta presentato. Con la differenza, però, che
sull’allestimento della mostra francese pesò allora il giudizio diffidente del
Comitato per l’Esposizione, che fu superato solo grazie all’intervento diretto
di Mussolini e al suo consistente contributo economico al gruppo di artisti.
A loro fu, dunque, in extremis concesso uno spazio all’interno
del Grand Palais, dove accanto a Fortunato Depero ed Enrico Prampolini fu assegnata a Balla un’area
ristretta, in una zona d’accesso agli spazi riservati ai due più giovani
colleghi futuristi. Vi dispose quattro dipinti su tela da arazzo: Genio
futurista, Mare
vele vento e i
più piccoli Farfalle in movimento e Fiori futuristi.
Nonostante il ritardo con cui fu aperto al pubblico il
loro padiglione, nel giugno del ’25, laddove la mostra inaugurava in aprile, i
futuristi e segnatamente Balla riscossero un buon successo, a dispetto delle
ostilità di cui erano spesso oggetto.
In effetti, la tormentata commistione fra arte e regime e
la violenza proclamata dall’azione futurista costituiscono per la critica
contemporanea un complesso nodo da dipanare per scindere l’avversione al
contesto politico dal giudizio sui contenuti innovativi e sulle influenze
esercitate sulla cultura internazionale.
In questo senso, è estremamente lucida la recente visione
di Gregorio Botta,
che riconosce al Futurismo, unico movimento italiano d’avanguardia, il merito d’aver
saputo cogliere spunti che – in verità – si andavano già diffondendo in tutta
Europa, traducendoli in slogan efficaci e immediati. Alcuni utili a definire un
nuovo concetto di arte totale (rottura con il passato, celebrazione della
macchina, del movimento, della velocità); altri sfruttati per sostenere alcune
inclinazioni del regime, quale la concezione della guerra come sola igiene del
mondo, come una “forza generatrice”, nazionalista, da cui scaturiranno poi le più indicibili
sofferenze del secolo.
Anche in Genio futurista, proprietà di Laura e Lavinia Biagiotti,
le tonalità sono modulate sul tricolore italiano, in una composizione in cui
risalta al centro una schematica figura di uomo con la testa a stella e le
braccia disposte a formare una “M”, probabile allusione a Mussolini, posto il
contesto di forte adesione dell’artista al fascismo, testimoniato anche in
altre opere coeve.
Per ciò, l’accostamento dell’arazzo di Balla con l’emblema
della pace augustea, che pose fine alla politica espansionistica dell’impero,
inneggiando al culto del genius dell’imperatore, appare forse come il vero elemento di
correlazione tra le due opere. Nel senso, però, di contrapposizione.
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Balla – Genio futurista
a cura di Fabio Benzi
Museo dell’Ara Pacis
Lungotevere in Augusta (zona piazza Augusto Imperatore) – 00186 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 9-19 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Ingresso: intero
€ 6,50; ridotto € 4,50
Info: tel. +39 0682059127; info@arapacis.it;
www.arapacis.it
[exibart]
in tutta onestà, si può dire che l’Arazzo di Balla faccia colpo più che altro per le sue dimensioni, non certo per l’aspetto artistico dell’opera totalmente simmetrica sull’asse mediano centrale, dove la dinamica del movimento è inesistente e manca anche il nerbo dell’artista quando esprime la sintesi della velocità. Parlare di capolavoro direi proprio eccessivo proprio per la mancaza di dinamicità, con una pesante staticità che si tramuta in un grande poster pubblicitario che fa ricordare le sigarette nazionali senza filtro.
Non ci sono punto di fuga,non è rispettato il concetto geometrico assionometrico.
Io la vedo come una bella frittata di colori e nulla più. Son ben altri i capolavori di Balla