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02
febbraio 2010
fino al 6.II.2010 Titled/Untitled Roma, Wunderkammern
roma
Titolo o Senza titolo? Due facce opposte di una stessa medaglia. Per indagare la natura dell’opera d’arte e la sua relazione con il riguardante, 28 opere dagli anni ‘60 a oggi. Che duellano in un confronto diacronico...
di Lori Adragna
In una lettura semiotica dell’opera d’arte, quale segno
iconico affine a un testo, il titolo costituisce un elemento paratestuale:
contiene ragguagli per la sua fruizione ma è anche autonomo. Il titolo funziona
come una soglia (Genette), una zona incerta fra il dentro e il fuori. Che
stabilisce un primo patto con il ricettore, suggerendogli un approccio
interpretativo.
In tal senso, la necessità di sottrarsi alla titolazione
dell’opera – nata in ambito dadaista e diffusa in area informale – tende a
scardinare la lessicalizzazione dei temi affrontati nelle immagini, per
determinarne i topic. Attraverso la presenza del titolo o l’assenza dello stesso (che non
è poi una vera assenza, ma una dichiarazione metalinguistica) è possibile leggere
l’intenzionalità dell’artista, il rapporto tra parole e oggetti, la relazione
più o meno “aperta”
fra autore, opera e fruitore.
Questi i temi d’indagine della mostra allestita con
efficacia negli spazi dell’ex frutteria, dove si confrontano e dialogano 28
artisti dagli anni ‘60 aa oggi. Il percorso espositivo si apre con una
panoramica di opere titolate, d’ambito concettuale. “Da quel momento”, scrive Alberto Dambruoso, curatore
della mostra con Micòl Di Veroli, “le didascalie, i titoli, i concetti in essi racchiusi
diventano opera d’arte stessa, conditio sine qua non per la comprensione
dell’opera”.
Ecco allora fra gli altri: Tentativo di formare
quadrati di De
Dominicis, il cui
titolo è strategico alla descrizione della performance; Specchio cieco di Boetti, metafora-antinomia sul
vedere/vedersi; Museo 1896 di Paolini, dove il senso dell’opera è nella didascalia di pugno
dell’autore.
Prosegue una carrellata di opere titled/untitled con scarti generazionali e di
linguaggi: dalla fotografia di Dino Pedriali alla scultura di Carl D’Alvia, passando per le immagini
patinate e insieme inquietanti di Toomattos. La dichiarazione “Io non ho
titolo” nel Senza Titolo di Paolo Angelosanto dialoga ironicamente con l’opera di Maurizio Arcangeli dal titolo MA nascosto in un codice di
segnalazioni nautiche. Ancora, accostamenti di lavori dello stesso linguaggio:
i dipinti astratti Senza titolo di Ilir Zefi e Apeiron di Chiristian Breed evidenziano come, in certi casi, uno scambio di
didascalia non
altererebbe la percezione delle opere stesse.
Proprio per la sua natura parzialmente autonoma, può
accadere – come in Se credevi di aver trovato l’albero delle ciliegie di Robert Gligorov – che un titolo divarichi la
distanza tra parola e immagine, amplificando l’effetto spiazzante ed enigmatico
dell’opera.
Nei sotterranei ci accoglie la monumentale figura
mitologica di Stefania Fabrizi. L’ambiente pregno di tensioni simboliche, Untitled (Le
considerazioni sugli intenti della mia prima comunione restano lettera morta, Spazio
#2), è realizzato
da Gian Maria Tosatti di Hôtel de la Lune. Nello spazio successivo, To be titled, disegno e performance di Angelo
Bellobono e,
nell’ultima ex cella frigorifera, il video di Luana Perilli sulla natura ambigua degli
oggetti animati/inanimati.
In conclusione: il titolo di un’opera d’arte e la sua
assenza, per quanto chiamati a svolgere o non il ruolo di operatori di
transemioticità, rappresentano “facce opposte della stessa medaglia, l’una non esclude l’altra,
l’una ha bisogno dell’altra per giustificare la propria esistenza o non
esistenza” (Di
Veroli).
iconico affine a un testo, il titolo costituisce un elemento paratestuale:
contiene ragguagli per la sua fruizione ma è anche autonomo. Il titolo funziona
come una soglia (Genette), una zona incerta fra il dentro e il fuori. Che
stabilisce un primo patto con il ricettore, suggerendogli un approccio
interpretativo.
In tal senso, la necessità di sottrarsi alla titolazione
dell’opera – nata in ambito dadaista e diffusa in area informale – tende a
scardinare la lessicalizzazione dei temi affrontati nelle immagini, per
determinarne i topic. Attraverso la presenza del titolo o l’assenza dello stesso (che non
è poi una vera assenza, ma una dichiarazione metalinguistica) è possibile leggere
l’intenzionalità dell’artista, il rapporto tra parole e oggetti, la relazione
più o meno “aperta”
fra autore, opera e fruitore.
Questi i temi d’indagine della mostra allestita con
efficacia negli spazi dell’ex frutteria, dove si confrontano e dialogano 28
artisti dagli anni ‘60 aa oggi. Il percorso espositivo si apre con una
panoramica di opere titolate, d’ambito concettuale. “Da quel momento”, scrive Alberto Dambruoso, curatore
della mostra con Micòl Di Veroli, “le didascalie, i titoli, i concetti in essi racchiusi
diventano opera d’arte stessa, conditio sine qua non per la comprensione
dell’opera”.
Ecco allora fra gli altri: Tentativo di formare
quadrati di De
Dominicis, il cui
titolo è strategico alla descrizione della performance; Specchio cieco di Boetti, metafora-antinomia sul
vedere/vedersi; Museo 1896 di Paolini, dove il senso dell’opera è nella didascalia di pugno
dell’autore.
Prosegue una carrellata di opere titled/untitled con scarti generazionali e di
linguaggi: dalla fotografia di Dino Pedriali alla scultura di Carl D’Alvia, passando per le immagini
patinate e insieme inquietanti di Toomattos. La dichiarazione “Io non ho
titolo” nel Senza Titolo di Paolo Angelosanto dialoga ironicamente con l’opera di Maurizio Arcangeli dal titolo MA nascosto in un codice di
segnalazioni nautiche. Ancora, accostamenti di lavori dello stesso linguaggio:
i dipinti astratti Senza titolo di Ilir Zefi e Apeiron di Chiristian Breed evidenziano come, in certi casi, uno scambio di
didascalia non
altererebbe la percezione delle opere stesse.
Proprio per la sua natura parzialmente autonoma, può
accadere – come in Se credevi di aver trovato l’albero delle ciliegie di Robert Gligorov – che un titolo divarichi la
distanza tra parola e immagine, amplificando l’effetto spiazzante ed enigmatico
dell’opera.
Nei sotterranei ci accoglie la monumentale figura
mitologica di Stefania Fabrizi. L’ambiente pregno di tensioni simboliche, Untitled (Le
considerazioni sugli intenti della mia prima comunione restano lettera morta, Spazio
#2), è realizzato
da Gian Maria Tosatti di Hôtel de la Lune. Nello spazio successivo, To be titled, disegno e performance di Angelo
Bellobono e,
nell’ultima ex cella frigorifera, il video di Luana Perilli sulla natura ambigua degli
oggetti animati/inanimati.
In conclusione: il titolo di un’opera d’arte e la sua
assenza, per quanto chiamati a svolgere o non il ruolo di operatori di
transemioticità, rappresentano “facce opposte della stessa medaglia, l’una non esclude l’altra,
l’una ha bisogno dell’altra per giustificare la propria esistenza o non
esistenza” (Di
Veroli).
lori adragna
mostra visitata il 18 dicembre 2009
dal
5 dicembre 2009 al 6 febbraio 2010
Titled/Untitled
a cura di Alberto
Dambruoso e Micòl Di Veroli
Wunderkammern
Via
Serbelloni, 124 (zona Torpignattara) – 00176 Roma
Orario:
lunedì e mercoledì ore 17-19.30 o su appuntamento
Ingresso
libero
Info:
tel. +39 0686903806; mob. +39 3479044911; postmaster@wunderkammern.net; www.wunderkammern.net
[exibart]
…si mi è capitato di assistere alla mostra anche se non conoscevo lo spazio ed i critici che la curavano, ma ero attirato dai grandi nomi proposti tra tutti De Dominicis che è il mio prediletto. Bello l’evento ed a sorpresa anche gli artisti diciamo della nuova guardia hanno tenuto botta e mi è piaciuto tutto nell’insieme!