07 maggio 2008

fino all’1.VI.2008 Mona Hatoum Ferrara, Pac

 
La poetica del disagio nel sovvertimento dei luoghi comuni. Utensili domestici che si trasformano in oggetti minacciosi. Capelli, peli pubici, cavi elettrici e soldatini di plastica. Per trovare il lato ironico bisogna sondare a fondo il lavoro dell’anglo-palestinese...

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La sintesi del messaggio di Mona Hatoum (Beirut, 1952; vive a Londra e Berlino) -figlia di genitori palestinesi evacuati da Haifa nel 1948 e, a sua volta, costretta all’esilio a Londra nel 1975, quando in Libano scoppiava la guerra civile- è Keffieh (1993-99), un’opera in cui il tradizionale copricapo palestinese, bianco e nero, è tessuto con le ciocche di capelli umani.
L’identità negata, il nomadismo, la minaccia della guerra, un senso di precarietà esistenziale sono alla base dei lavori dell’artista anglo-palestinese, presentati a Ferrara in occasione della XIII Biennale Donna. Appuntamento di straordinaria qualità, organizzato dall’Unione Donne in Italia di Ferrara in collaborazione con la locale Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, che annovera tra le presenze delle passate edizioni artiste della portata di Carol Rama e Patti Smith.
Il percorso di Undercurrents, che ha inizio con l’opera Doormat II -uno zerbino su cui appare la scritta welcome, un benvenuto che si rivela tutt’altro che innocuo, visto l’impiego di centinaia di spilli d’acciaio-, si snoda nei due piani del Padiglione di Arte Contemporanea di Palazzo Massari.
Mona Hatoum - Nature morte aux grenades (particolare) - 2006-07 - ferro, cristallo, gomma - cm 95x208x70 - courtesy Galleria Continua, San Gimignano-Beijing - photo Manuela De Leonardis
Luogo accogliente malgrado le trappole seminate da Hatoum un po’ ovunque: un grande paravento a forma di grattugia (Grater Divide), la lanterna magica che proietta sul muro soldati con il fucile puntato (Misbah), raffinati soprammobili in vetro colorato che rivelano la loro natura di granate (Nature morte aux grenades). In tutto, circa cinquanta opere fra installazioni, video e fotografie, realizzate nel corso della sua carriera ventennale.
L’intento non è quello di scioccare lo spettatore, quanto piuttosto di creare un corto circuito nella sua mente, affinché sia portato a riflettere sulla molteplice realtà delle cose. Nulla è scontato. La casa, in particolare, per l’artista assume una valenza di zona limite, luogo potenzialmente minaccioso, né più né meno di ciò che avviene al di fuori delle sue mura. Ecco allora che scolapasta e mestoli, grattugie e culle per neonati assumono le sembianze di strumenti di tortura.
Mona Hatoum - Over my dead body - 1988 - stampa a getto d’inchiostro su pvc con asole di metallo - cm 204,5x305 - courtesy l’artista - photo Edward Woodman & Mona Hatoum
La stessa tavola apparecchiata diventa qualcosa di indigesto. In Deep Throath (1996), infatti, basta affacciarsi sul piatto bianco -sulla tovaglia accanto al bicchiere, alle posate e al tovagliolo- per scoprire l’immagine in movimento realizzata seguendo con una sonda endoscopica il viaggio del cibo nell’interiorità fisica dell’autrice, dalla bocca all’ano e viceversa. Sì, c’è ironia nel suo lavoro, questo Hatoum lo conferma sorridendo in occasione dell’inaugurazione della mostra. Una ironia rafforza il contenuto.

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mostra visitata il 5 aprile 2008


dal 5 aprile al primo giugno 2008
XIII Biennale Donna.
Mona Hatoum – Undercurrents
a cura di Lola Bonora
PAC – Palazzo Massari
Corso Porta Mare, 5 – 44100 Ferrara
Orario: da martedì a domenica ore 9-13 e 15-18
Ingresso: intero € 3; ridotto € 2
Catalogo con testi di Alix Ohlin e Whitney Chadwick
Info: tel. +39 0532244949; fax +39 0532203064; diamanti@comune.fe.it; www.artecultura.fe.it

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