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Sapere se un quadro, una scultura, un videotape, un sito web o una pernacchia sono ARTE è probabilmente rassicurante (io stessa una volta ho scambiato un estintore per una scultura contemporanea!), ma la perdita di questi punti di riferimento può essere stimolante; basta farci l’abitudine. D’altra parte ormai nei luoghi deputati dell’arte abbiamo visto entrare davvero di tutto, abbiamo visto le opere smaterializzarsi, trasformarsi in parole, azioni, pensieri. Per secoli l’esperienza estetica è stata una specie di zona di accesso preferenziale alla sfera del ‘senso’, ma ormai i suoi confini sono stati completamente ridefiniti. John Cage sosteneva che l’arte ha il compito di “renderci presente la nostra stessa vita”, cioè renderci coscienti del nostro essere a tutti gli effetti DENTRO l’esperienza, lasciandone trasparire in qualche modo misterioso la necessità. Il veicolo di quest’operazione può dunque essere un’immagine, un suono, un odore, una qualunque esperienza sensoriale o intellettuale. Probabilmente ha ragione Goodman quando sostiene che la domanda giusta da fare non è “cosa è arte “, ma piuttosto “quando è arte”. Infatti un oggetto o un azione possono diventare veicolo di espressione artistica e poi tornare nella sfera della comune esperienza e ciò che rende possibile questo slittamento è proprio la consapevolezza e l’interazione di un pubblico libero, interagente e partecipe. Dire che qualcosa è un’opera d’arte è sempre stato un atto critico, un giudizio di valore; oggi lo è più che mai, perché l’arte possiamo vederla ovunque e in nessun luogo.
Quindi potete considerare i webprojects come arte, gioco, letteratura, design, videogame o semplicemente idiozia. Tana libera tutti.
Valentina Tanni
[exibart]