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libri_interviste Rinascimento virtuale (meltemi 2008)
Libri ed editoria
Rinascimento virtuale, neo-umanesimo, illuminismo digitale. Queste le parole chiave del nuovo libro di Mario Gerosa, appena uscito per i tipi di Meltemi. In questa conversazione tra l’autore del testo e Cristiano Poian, ricercatore di new media e game studies, vengono affrontati alcuni temi fondamentali dell’universo della creatività digitale. Dall’interazione alimentata dai social network alle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale. Verso una tecnologia sempre meno “fredda” e sempre più personale...
Sta già succedendo. La tecnologia sta diventando sempre più invisibile, sempre meno invadente, a favore dell’apporto umanistico degli utenti. A lungo la tecnologia in se stessa ha avuto il sopravvento, è stata protagonista, qualcuno ha addirittura cantato la sua bellezza, l’ha mitizzata, come se ci trovassimo in un nuovo futurismo. Altri invece sono rimasti spaventati e si sono auto-emarginati, rinunciando a capire qualcosa o a far parte di quel mondo apparentemente criptico. I mondi virtuali hanno rappresentato un cavallo di Troia per il nuovo umanesimo. Pensiamo a Second Life: inizialmente c’è stato il predominio dei geek, di quelli che conoscono le misteriose regole della programmazione e ne serbano gelosamente i segreti. Poi, progressivamente ci si è spostati verso un discorso più legato ai contenuti. All’inizio la forma si confondeva con la bellezza della scrittura di uno script, adesso quel momento è tramontato.
Quali sono le ragioni di questa evoluzione, secondo te?
Uno dei motivi, forse il principale, è che i mondi virtuali hanno un carattere prevalentemente visivo, privilegiano la dimensione dell’immagine, e per questa ragione ribaltano repentinamente la logica fredda del codice. I mondi virtuali rappresentano una rivoluzione copernicana in cui si passa da una comunicazione fredda, che nel mio immaginario è datata e si lega per esempio ai concerti dei Kraftwerk degli anni ’80, a una comunicazione calda, sentimentale. Nonostante ciò, questo concetto non è ancora filtrato, e qualcuno continua a parlare di tecnologia fredda, anche quando si tratta di mondi virtuali, inanellando una serie di luoghi comuni.
A proposito di “fredda logica del codice”, Lev Manovich qualche anno fa scriveva provocatoriamente che il vero artista dell’era digitale è il programmatore e che la vera opera d’arte è Photoshop (dunque il software), e non il prodotto che l’utente realizza grazie a esso. La stessa posizione si può ritrovare, anche se con sfumature diverse, in altri autori chiave del pensiero digitale degli ultimi anni, da Matthew Fuller a Katherin Hayles, passando per Ian Bogost e Florian Cramer, sostenitori in diversa misura di quel materialismo digitale che vede l’atto di programmare il computer come il momento davvero creativo del rapporto con i nuovi media. D’altronde, tutte le principali correnti artistiche legate all’utilizzo di Internet, dalla net art degli anni ‘90 alla software art più recente, sono legate a questa concezione. Come ti poni nei confronti di queste posizioni? Che cosa è cambiato con lo sviluppo dei mondi virtuali come Second Life a livello di pratiche artistiche?
Questo discorso vale se si fa riferimento ai protagonisti della net art, ai maestri accreditati e agli artisti che giocano a reinventare i linguaggi. Le loro esperienze e le loro sperimentazioni sono estremamente interessanti, ma non esauriscono le potenzialità offerte all’arte dai mondi virtuali e dai social network, dove si stanno facendo strada centinaia di artisti autodidatti che spesso non sanno nulla della net art. Questi personaggi appartengono a un nuovo tipo di cultura artistica, generata dal basso, e possono essere visti come i pittori naïf del terzo millennio, come degli illustratori di genio o semplicemente come sperimentatori inconsapevoli. Ritengo che la loro arte sia estremamente interessante per vari motivi. Innanzitutto perché metabolizza la street culture contemporanea e la miscela con le suggestioni che arrivano dalle riorganizzazioni sociali casuali e non del web. Poi perché rappresentano la vera novità dell’arte del nostro tempo: sono opere frutto di una cultura partecipatoria più articolate e complesse di quanto sembrino. Faccio un esempio: pensiamo al classico ritratto di un avatar di Second Life. Chi realizza questi ritratti e li presenta su Flickr lavora sempre su un doppio registro: da un lato crea un’opera attraente, ma al contempo cerca di definire a priori una serie di dettagli che possano provocare un commento da parte degli utenti, al fine di sviluppare delle relazioni. Ancora una volta, l’opera non è fine a se stessa ma si apre realmente all’osservatore, coinvolgendolo attivamente. Prendono vita delle opere d’arte open source, potenzialmente modificabili. E mi sembra che questo concetto meriti una certa attenzione.
Giusto, open source. Linden Lab ha da poco avviato una nuova fase per l’universo di Second Life, che renderà completamente open la tecnologia e i protocolli di comunicazione che stanno alla base di tale sistema. A partire dal client con cui si accede al mondo virtuale. Che cosa comporterà tutto questo? E in quanto tempo potremmo assistere a una vera e propria fusione di più mondi?
Open source e inter-operabilità sono le parole chiave di questi anni, e in effetti tutte le conseguenze di questo fondamentale rivolgimento costituiscono l’oggetto del mio libro. Soprattutto attraverso le interviste a una serie di personaggi di riferimento, cerco di delineare uno scenario complesso, che non si può sintetizzare in poche righe. In ogni caso, possiamo dire che al centro di questa rivoluzione c’è l’avatar, che acquisterà sempre più rilevanza e diventerà sempre più il nostro alter ego, con un’identità propria. Nel giro di pochi anni con il nostro avatar ci sposteremo da un mondo all’altro, e grazie a lui andremo virtualmente anche in luoghi della realtà dove non abbiamo voglia o tempo di andare di persona (in un camerino a provare un paio di jeans come a una riunione d’affari in un ufficio fuori mano); l’avatar diventerà anche un personaggio di primo piano, sfuggendo progressivamente all’idea di surrogato della persona che ne muove i fili. Si stanno già girando dei film in Second Life e il nuovo marketing contempla ormai un avatar branding a 360°, che consiste nel far muovere il proprio avatar sui vari scacchieri dei social network: prima l’avatar deve diventare famoso in SL, poi lo si fa conoscere anche altrove, magari in Linkedin e in Facebook; per poi passare al terzo livello, l’integrazione con la realtà. In effetti, il traguardo finale è proprio questo, la caduta definitiva della barriera tra virtuale e reale. E attenzione, non si tratta di un percorso a senso unico, non si va solo dal virtuale verso il reale. Come sappiamo, c’è molto traffico anche nella direzione opposta, quella della virtualizzazione della realtà.
In Rinascimento virtuale metti spesso l’accento sul lato relazionale di Second Life e affini, e sottolinei come l’utente condivida prima di tutto uno spazio sociale, in cui gli oggetti che vengono creati sono in primo luogo simboli che raccontano delle storie. In questo senso, potremmo vedere Second Life come un universo narrativo: tante microstorie personali che intersecandosi vanno a formare quel macroracconto più o meno consapevole che costituisce una nuova narrazione di tipo collaborativo. È così? E chi leggerà questa storia in futuro?
Questa domanda ci porta nei difficili territori della memoria e della conservazione del patrimonio culturale dei mondi virtuali. Diciamo innanzitutto che queste storie vengono già fruite nel presente: ognuno, in misura maggiore o minore, frequentando un mondo virtuale diventa parte di una narrazione in progress. Per quanto riguarda il futuro, tutto dipende dai cronisti e dagli storici che vivono in questi mondi. Per il momento, per esempio, sono stati pubblicati vari libri che raccontano sia la grande Storia di Second Life, sia alcune storie di personaggi che si sono distinti a vario titolo in quell’universo sintetico. Forse sarebbe auspicabile che qualcuno tenesse un diario delle microstorie, delle storie quotidiane di SL. Un esempio di questa tendenza, in forma di romanzo, è Vita di Isaia Carter avatar di Cristiano de Majo e Francesco Longo. Poi ci sono i giornali realizzati per i residenti di SL, che sono utilissimi e in futuro rappresenteranno delle fonti indispensabili. Però, parallelamente, ci si dovrebbe adoperare per garantire che questo patrimonio artistico, culturale, ma anche legato alla cultura materiale di tutti i giorni, venga preservato. Non si può fare affidamento soltanto sulla buona volontà di qualche entusiasta, ci vorrebbe un piano più definito e mirato.
Vorrei chiudere tornando per un momento al concetto di avatar e alla sua metamorfosi. Il web 2.0, con il proliferare dei social network e la crescita dei mondi virtuali, rappresenta anche un passaggio a una nuova età del concetto di avatar e di personalità in rete: mi sembra che se prima i nostri alter ego digitali avessero come scopo primario il farsi protesi simbolica di una nostra presenza, ora siano divenuti quasi più importanti della stessa persona reale che rappresentano. Inoltre, spesso la nostra attività sociale sul web è motivata da una ossessiva brama di popolarità, che produce relazioni deboli e poco durature. Che ne pensi?
Come dicevo, penso che l’avatar si staccherà progressivamente dall’identità della persona cui fa riferimento per assumere sempre più una personalità propria. Adesso quando si parla di avatar si evoca inevitabilmente il concetto di alter ego, di personaggino di pixel, di figurina da cartone animato. Credo che si debbano superare ancora delle paure, dei timori che ci portano a relegare l’avatar in una dimensione pseudo-ludica. Poi, una volta che l’avatar si sarà veramente affrancato, non si parlerà più di protesi, ma di personaggi autonomi, e tutto questo, a medio termine, credo che andrà di pari passo con il grosso discorso dell’intelligenza artificiale: avatar e intelligenza artificiale potrebbero essere un connubio esplosivo, la coppia del nuovo millennio. Per quanto riguarda la brama di popolarità, credo sia un fenomeno legato all’infanzia dei social network. Adesso che siamo agli esordi di queste nuove forme di relazioni, si tende a esagerare, a usare questo strumento in modo indiscriminato. Col tempo impareremo a usarli con maggior discrezione.
articoli correlati
Intervista con Mario Gerosa nel 2006
a cura di cristiano poian
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 50. Te l’eri perso? Abbonati!
Mario Gerosa – Rinascimento virtuale
Meltemi, Roma 2008
Pagg. 238, € 18,50
ISBN 9788883536052
Info: la scheda dell’editore
[exibart]