28 dicembre 2017

La legislatura chiude e saluta anche Dario Franceschini. In attesa del successore

 

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Come da prassi, è arrivata alla conclusione anche la diciassettesima legislatura, che non partì con i migliori auspici. A uscire è Paolo Gentiloni, al termine di un lungo e intricato processo politico che passerà alla storia, dopo il complotto dei 101 franchi tiratori che, ad aprile 2013, fecero saltare l’elezione di Romano Prodi al Quirinale, dopo la rottamazione di un non-tanto-sereno Enrico Letta, i mille giorni del giovane rampante Matteo Renzi, la rielezione di Giorgio Napolitano e l’arrivo di Sergio Mattarella, la bocciatura dell’Italicum e la sconfitta del referendum. 
Esce anche Dario Franceschini che, in un comunicato, saluta e si dice «felice e orgoglioso della centralità che le politiche per la cultura e il turismo hanno conquistato in questa legislatura, che si è distinta dalla fine della lunga stagione dei tagli, dalla crescita delle risorse del Mibact, dall’arrivo di nuovi fondi e regole per la tutela del patrimonio, da nuovi investimenti e nuove assunzioni, dal successo dei grandi progetti culturali, primo fra tutti la rinascita di Pompei, e da importanti leggi di settore». In mezzo, una riforma che, nel bene e nel male, ha fatto molto discutere ed è intervenuta in maniera sostanziale nell’ordinamento amministrativo dell’intero settore della cultura pubblica, dai direttori internazionali dei grandi musei autonomi alla nuova articolazione dei Poli regionali. «Molte delle azioni realizzate in questi quattro anni sia in termini di risorse sia dal punto di vista di scelte e regole, sono irreversibili indipendentemente da chi si troverà al governo», ha concluso Franceschini. 
Chi sarà a raccogliere il testimone? Il totonome può iniziare.

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