13 dicembre 2005

fino al 26.II.2006 War is Over Bergamo, GAMeC

 
Più di cento artisti. Undici sale, ciascuna con un tema. Nei sessant'anni dalla Liberazione, la Gamec di Bergamo celebra la libertà con l'arte. E offre validi spunti sulla crisi della contemporaneità...

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War is Over non è una mostra memorabile. Ad una visione complessiva le sale, come le singole opere contenute all’interno del percorso espositivo congegnato da Giacinto di Pietrantonio e Maria Cristina Rodeschini Galati, risultano profondamente scollegate tra loro. Soprattutto se lette come interpretazione dell’argomento principale: la libertà. Quella di cui, nell’ottica dei curatori, avremmo beneficiato da sessant’anni a questa parte. Un pensiero un poco ingenuo, specie in un Paese come il nostro. Un Paese dove la libertà somiglia più all’illusione di un popolo tenuto all’oscuro. Tuttavia, la GAMEeC offre allo spettatore una serie di emozioni e di spunti di riflessione -da sciacquare possibilmente della retorica veterocomunista di cui sono intrisi- da non trascurare. Innanzitutto, palesa il distacco sentimentale che l’arte ha messo in atto gradualmente dagli anni Quaranta ad oggi. Passione, azione, rivoluzione, solidarietà caratterizzano, infatti, le opere degli artisti della guerra. I sacchi di Alberto Burri, il Cristo di Lucio Fontana, l’Apologia della Violenza di Mario Mafai, La Rivoluzione Siamo Noi di Joseph Beuys, le tele crude di Zoran Music, trasudano di sangue. Di un rapporto serissimo con la morte. Incarnato dal film in mostra di Alain Resnais, Guernica, opera totale a fotogrammi fissi, che unisce nel montaggio, disegni di Picasso e versi di Eluard.
Rassegnazione ed autocontrollo sono, invece, le parole chiave delle opere contemporanee. In cui il rapporto con la morte si fa effimero, precipita nel limbo dell’inconsapevolezza. E la partecipazione al mondo si tramuta in individualismo. “E se il cammino artistico si individualizza”, spiega Marc Augè su L’Espresso, “e non esiste più nella referenza con una sua storia, si raggiunge l’individuo solitario. L’arte rischia di condannarsi alla solitudine”.
Fabio Mauri, Entartete Kunst, 1985 Installazione / installation Galleria Mara Coccia, Roma Foto: Elisabetta Catalano
Ma c’è dell’altro. Dai marines fotografati a mò di modelle da Vanessa Beecroft; dall’installazione di foto di attori che hanno interpretato i nazisti nella storia del cinema di Piotr Ulanski; dagli scatti di guerra di Sam Durant si deduce la percezione degli eventi come fenomeno mediatico, veicolato nel nostro immaginario dal Web, la Tv, i giornali. Con l’effetto di spogliare l’attualità di drammaticità e concretezza. Rendendola cinematografica, fittizia, irreale. Paradossalmente, però, i fatti acquistano statuto di veridicità solo se veicolati attraverso i mass-media. Diventano attendibili grazie alla diffusione.
L’arte contemporanea vive questo problema. Insieme all’impotenza alla base dell’estetica dei video diffusa dal terrorismo islamico, in cui spettatore e vittima sono ridotti ad uno stato morboso. In cui non esiste eroismo. Siamo tutti incatenati. Gli artisti prima di tutti. Sempre così frigidi nelle proprie contestazioni, inclini alla trovata che subito si trasforma in boutade (volgare ed esterofila nella versione dello Stivale di Paola Pivi, marachella nel tappeto con la stampa del logo del formaggio Bel Paese di Maurizio Cattelan), lasciandoci a sorridere con l’imbarazzo di chi ha appena udito una battuta poco spiritosa. Il problema è che alla resa degli anni ’90 si va sostituendo, poco a poco, una sofferenza nuova. Quella già testata dai Paesi in Via di Sviluppo, da cui attendiamo risposte, nell’arte ancora imbrigliate in una maniera occidentalizzata terzomondista che ne colonizza il gusto.
Vanessa Beecroft, Performance VB39, 1999 US Navy, Museum of Contemporary Art San Diego, CA stampa vibracolor / vibracolor print 127 x 178 cm Collezione privata / private collection Courtesy Galleria Massimo Minini, Brescia
Valgano per tutti le scritte su carne di Shrin Neshat, il Cristo di Kendell Geers, i ritratti ufficiali di Yang-Pei Ming. Siamo stanchi dell’ironia, in fondo. Vogliamo ridere. E della grossa. Alle brutte, commuoverci. Anche perché -checché se ne dica- la guerra è cominciata da un pezzo…

santa nastro
mostra visitata il 25 ottobre 2005


WAR IS OVER – 1945-2005
La Libertà dell’arte da Picasso a Warhol a Cattelan
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, via San Tomaso, 53 – 24121 Bergamo – 15 ottobre 2005 – 26 febbraio 2006
martedì, mercoledì, domenica ore 10-19 – giovedì, venerdì, sabato ore 10-22 – lunedì chiuso – tel. +39 035 399528 – fax +39 035 236962 – www.gamec.it
Catalogo Silvana editoriale
Orizzonte del futuro, sezione distaccata della mostra WAR IS OVER 1945 – 2005 la Libertà dell’arte da Picasso a Warhol a Cattelan – da martedì a sabato 10–13 e 15–19; domenica 10–1
Meschac Gaba, Carlos Garaicoa, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Chen Zhen


[exibart]

5 Commenti

  1. la mostra non esprime nulla in maniera chiara.la libertà?la guerra?tanti artisti insieme.tempo e spazio annullato per piagare le opere e gli artisti al tema scelto.tante le opere pregevoli ma inserite a forza nella tematica.forse è venuto il tempo di fare un po di chiarezza dentro e fuori di noi.
    per non parlare dell’allestimento,inesistente.
    sarebbe stato opportuno fare delle scelte,sia delle opere che degli artisti.allestire dei pannelli descrittivi per accompagnare il visitatore lungo il percorso della mostra.niente più di un cattivo allestimento può distruggere la migliore delle intezioni.forse sarebbe stato opportuno la consulenza di professionisti?un saluto

  2. la mostra notevole per dimensione di artisti e opere,ma priva di un preciso linguaggio comunicativo.mediocre l’allestimento e lo svolgersi dell’ipotetico percorso…non esiste.forse sarebbe stato opportuno fare delle scelte sia degli artisti che delle opere.inoltre non sempre opere ed artisti vanno bene per ogni cosa.qualche pannello illustrativo sarebbe stato utile?un saluto

  3. ho letto, attento e attonito, il groviglio di parole che sulla – ormai quasi – quarantina dei pezzi della suddetta i miei “compagni di commento” hanno lasciato, in larga maggioranza a favore della recensionista. Mi chiedo innanzi tutto se questo gruppo di persone (la recensionista e i commentatori, intendo) frequentino solo le stesse mostre, e poi soprattutto perchè uno sguardo sviscerante non abbia notato che le esibizioni di cui si parla appartengono a quelle “bene in vista”, per così dire…
    Sembra che quando le sicurezze vacillano è molto facile affidarsi al pugno d’acciaio, sano o malato che sia, e l’Italia in questo non è da meno a nessuno!

  4. caro fight against the system perchè non parli per te stesso.non credi che si possa esprimere una critica ad una mostra ed non essere imparentati con nessuno?la mostra e raffazzonata anche se imponente,lo ripeto.ci sono tanti artisti ed opere interessanti alla mostra,ma l’allestimento e la tematica non reggono.semplice ….sono comungue felice di averla vista,punto.ho l’impresione che il gettarsi il fango addosso e usare epiteti offensivi sia diventato lo sport nazionale di alcuni commentatori.fate attenzione a non sporcarvi……un saluto

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