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04
marzo 2008
fino al 22.III.2008 Riccardo Baruzzi Bologna, Agenzia04
bologna
Trasformare rottami e materiali di recupero in pittura da salotto. Quando lo scarto diventa una rassicurante opera d’arte. L’“ingenuità” di Riccardo Baruzzi in mostra a Bologna. Con un retrogusto nostalgico e non del tutto soddisfacente...
Hovel, come casupola, bicocca, capannone, dimora fatiscente che col tempo è entrata a far parte della natura circostante. Fagocitata dagli alberi, dall’erba, è diventata lentamente pare integrante di quest’ultima e ha perso la sua connotazione infestante di rottame dimenticato, acquisendo un potere fortemente simbolico. La materia morta rinasce e si trasforma, e il supporto sul quale viene rappresentata ne è dimostrazione.
Nel suo recente ciclo di opere, Riccardo Baruzzi (Lugo, 1976) dipinge su pannelli di legno recuperati dal cassonetto, su oggetti dimenticati in cantina, come il piatto del giradischi, le scatole di compensato, le aste di legno che sembrano picchetti o pagaie, e crea quadretti di piccolo formato. Rielabora pitture rudimentali che ricordano le tele appese ai muri del salotto della nonna, su cui l’artista dipinge con colori a olio caldi e terrosi, applicando talvolta sticker multicolore, gli adesivi che tanto ricordano gli anni ‘80.
Tutto questo è fatto con assoluta innocenza e naïveté tipiche di un artista autodidatta. Le opere di Baruzzi conservano infatti la freschezza di chi sceglie di recitare la parte del “pittore della domenica” per celebrare il fascino delle piccole cose, quello del fanciullino pascoliano che si emoziona di fronte a un adesivo applicato sulle casse dello stereo e si lascia possedere da una smania decorativa che dà come frutti un naturalismo dai toni pacati, quasi acquerellato, che sottovoce sussurra filastrocche da ninna nanna.
L’artista romagnolo sembra rifarsi a quel new folk statunitense dai toni più leggeri, ma non per questo meno addentro alle problematiche sociali. Si muove in una dimensione del mondo apparentemente candida e giocosa, ma che a uno sguardo più attento rivela il tentativo di “riaddomesticare il mondo dopo il diluvio”.
Baruzzi deve crescere, questo è indubbio. Perché la nostalgia (che talvolta sembra culminare in una tormentata ricerca di un focolare/casa) nascosta dietro queste tele, queste installazioni e queste sculture gli impedisce di creare qualcosa di originale. Il giovane artista pare bloccato nel passato della sua adolescenza di ragazzo con l’hobby del dj, con le sue valigette per vinili e gli slipmat dei giradischi, e di famiglia piccolo borghese.
Nota di merito: non trapela sarcasmo, bensì schiettezza e moderazione. Baruzzi fieramente guarda in faccia al mondo buttato nel cestino e ricrea una favola ancora attuale.
Nel suo recente ciclo di opere, Riccardo Baruzzi (Lugo, 1976) dipinge su pannelli di legno recuperati dal cassonetto, su oggetti dimenticati in cantina, come il piatto del giradischi, le scatole di compensato, le aste di legno che sembrano picchetti o pagaie, e crea quadretti di piccolo formato. Rielabora pitture rudimentali che ricordano le tele appese ai muri del salotto della nonna, su cui l’artista dipinge con colori a olio caldi e terrosi, applicando talvolta sticker multicolore, gli adesivi che tanto ricordano gli anni ‘80.
Tutto questo è fatto con assoluta innocenza e naïveté tipiche di un artista autodidatta. Le opere di Baruzzi conservano infatti la freschezza di chi sceglie di recitare la parte del “pittore della domenica” per celebrare il fascino delle piccole cose, quello del fanciullino pascoliano che si emoziona di fronte a un adesivo applicato sulle casse dello stereo e si lascia possedere da una smania decorativa che dà come frutti un naturalismo dai toni pacati, quasi acquerellato, che sottovoce sussurra filastrocche da ninna nanna.
L’artista romagnolo sembra rifarsi a quel new folk statunitense dai toni più leggeri, ma non per questo meno addentro alle problematiche sociali. Si muove in una dimensione del mondo apparentemente candida e giocosa, ma che a uno sguardo più attento rivela il tentativo di “riaddomesticare il mondo dopo il diluvio”.
Baruzzi deve crescere, questo è indubbio. Perché la nostalgia (che talvolta sembra culminare in una tormentata ricerca di un focolare/casa) nascosta dietro queste tele, queste installazioni e queste sculture gli impedisce di creare qualcosa di originale. Il giovane artista pare bloccato nel passato della sua adolescenza di ragazzo con l’hobby del dj, con le sue valigette per vinili e gli slipmat dei giradischi, e di famiglia piccolo borghese.
Nota di merito: non trapela sarcasmo, bensì schiettezza e moderazione. Baruzzi fieramente guarda in faccia al mondo buttato nel cestino e ricrea una favola ancora attuale.
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alessandra cavazzi
mostra visitata il 2 febbraio 2008
dal 25 gennaio al 22 marzo 2008
Riccardo Baruzzi – Hovel
Agenzia04 – Via Brugnoli, 19/c (zona Porta Lame) – 40122 Bologna
Orario: da martedì a sabato ore 15-19; domenica e lunedì su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0516490104; info@agenzia04.com; www.agenzia04.com
[exibart]
Una nota ulteriore, da parte di un lettore inevitabilmente coinvolto in un conflitto di interessi: questa stroncatura di una mostra da me curata giunge nel momento in cui ho una controversia legale in corso con il Sig. Tonelli Massimiliano. Ovvio che questo non implica una correlazione necessaria tra i due eventi. Né mi pare ci sia nulla da aggiungere alla querela per diffamazione da me depositata tempo addietro per altre vicende – che nulla hanno a che fare con il libero esercizio della critica (benvenga). Ma come si suol dire “A pensar male a volte ci s’azzecca”…
Mi sorprende sempre osservare come l’eccesso di tempo libero porti certuni a veleggiare sulle ali del più schietto e anche divertente delirio.
Secondo il signor Vona io avrei indirizzato una mia redattrice a stroncare una sua mostra poiché lui mi avrebbe querelato per diffamazione.
Peccato che io non abbia mai diffamato alcuno, non abbia infatti ricevuto alcuna querela, che io non conosca assolutamente chi curi cosa e che io non segua nella fattispecie la carriera di Vona e che, anche se fosse, mai mi permetterei di dire ad un redattore cosa deve e non deve scrivere (dare dei burattini a dei professionisti, questa si, credo sia diffamazione).
Il tutto per una “stroncatura” che stroncatura non è. Basterebbe leggerla.
Non mi è parsa una stroncatura. Giovani curatori in cerca di pubblicità crescono!
Agenzia04 si dissocia completamente dal commento di Luca Vona alla recensione della mostra di Riccardo Baruzzi.
Seguo l’Agenzia04 dalla sua fondazione tre o quattro anni fa. Credo che si debba rivolgere a delle persone più professionali per organizzare le esposizioni.
non voglio entrare nel merito della querelle tra vona e tonelli perché ne sono completamente estranea. vorrei però fare un commento sulla critica che “furbescamente” alterna una strizzatina d’occhio ammiccante e un pizzicotto astioso sulla guancia, alla stregua di un giusto mix di sale e zucchero che dice ben poco, per non offender troppo e non elogiare troppo; una finta discrezione, velata da giudizi negativi e inappropriati che non si sa per quale ragione cadono sul personale svilendo così il lavoro artistico del soggetto. mi spiace…critica poco professionale…
In questa recensione affrettata non credo sìa stata capita l’opera di Baruzzi, non c’è ingenuità nel suo lavoro, tutt’altro. C’è una profonda consapevolezza del linguaggio pittorico, c’è molto della sua vita nelle sue opere e per questo risultano così forti anche ad uno sguardo superficiale.
“New folk”? Non saprei definirla, non mi importa di etichettare un certo modo di approcciarsi all’arte, per me un’opera funziona se riesce a trasmettermi qualcosa, una sensazione, un sussulto. E la visione di questa mostra lo ha fatto, in modo improvviso e travolgente.
Dunque grazie. Per la bellezza di queste immagini che rimangono aggrappate alla memoria, come un segreto prezioso.
è molto triste vedere come la totale mancanza di sensibilità nei confronti della pittura sia dilagante tra questi autoproclamati critici.
A mio parere pochi artisti italiani hanno una tale padronanza del mezzo pittorico.
Mi sembra davvero eccessivo definire “professionista” una giornalista (?) che commenta la mostra con parole del tipo: “Il giovane artista pare bloccato nel passato della sua adolescenza di ragazzo con l’hobby del dj, con le sue valigette per vinili e gli slipmat dei giradischi, E DI FAMIGLIA PICCOLO BORGHESE”. A parte il fatto che in questa ultima parte della frase i giudizi negativi – e superficiali – cadono nel privato, come giustamente fa osservare Natascia; c’è da aggiungere che sembra alquanto contorta persino la struttura GRAMMATICALE della frase! Forse è il direttore, o chi si occupa dell’editing in Exibart che dovrebbe rileggere meglio le recensioni. Ci vuole poi un bel coraggio a dire che questa recensione non è una stroncatura. Certo c’è il tentativo di dissimulare.. ma direi non riuscito e alquanto grossolano.
Che dire poi di Agenzia04 che commenta prendendo le distanze da Vona (che non mi pare abbia commentato a nome della galleria)? neanche una parola spesa per difendere e proprie scelte. La galleria sembra voler salvare la faccia gettando a mare artista e curatore. Che tristezza ragazzi…
Quella è sintassi, mica grammatica! Finora hai letto solo Topolino? Ragazzo che pena…
L’unico problema della Agenzia04 è scegliersi meglio i collaboratori.
Da wikipedia: “La grammatica è quella disciplina che ha come oggetto la conoscenza delle regole che servono a far funzionare una lingua”. Ad ogni modo, non mi sembra che il testo qui sopra brilli per chiarezza, dal punto di vista della forma e dei contenuti…
Ah se citi Wikipedia allora siamo a posto! La chiarezza brilla? I contenuti devono essere chiari? Oh mamma mia, hai fatto l’Accademia immagino…
Cari lettori,
il commentario serve appunto per commentare, non per scambiarsi reciproche accuse. Scambiatevi l’indirizzo mail ed evitate di usare a tal fine questo spazio.
Grazie
Accipicchia che sfigato aho! Galattico proprio.
mi sembra che la recensione sia fastidiosa.
si cerca di giudicare un atteggiamento, di trovare presunte questioni socio-comportamentali e si finisce in forme mentali che non riguardano affatto la pittura ma forse più la chiacchera sul presunto dover essere.
questo tentativo di semplificazione a parole di cose che riguardano la vista, mi pare poco riuscito.