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09
luglio 2009
fino al 25.VII.2009 Eva Kot’átková Bolzano, ar/ge Kunst
trento bolzano
La scuola come metafora d’una società che plasma e sorveglia. Nelle opere dell’artista ceca viene a galla l’esperienza di un Paese post-comunista. Esempio universale di controllo sulla collettività e sul singolo...
L’istruzione come coercizione, i metodi d’insegnamento come strategie di controllo. Le idee di Eva Kot’átková (Praga, 1982), reduce da una residenza a New York, sono molto chiare. L’intera mostra ripete quindi la medesima convinzione, mostrandone però i diversi aspetti, come in un sussidiario.
Si parte con la delimitazione della classe. L’ingresso della galleria è chiuso da una griglia in legno nella quale è ritagliata un’unica apertura quale porta d’ingresso all’aula. Alla parete c’è la teoria illustrata. Quelle che erano cartine dell’Italia e pannelli dell’alfabeto con ‘p’ di pera e ‘q’ di quadro, qui sono Drawing archives (2005-09), con didascalie che mostrano il Collective dictate come uno “scriversi addosso”, il Social game come uno scambio di ruoli, e l’Educational structure come un corpo che fagocita e consuma quanto lo circonda.
Gli alunni sono seduti al banco, obbligati a star diritti da strutture costrittive ortogonali nel video Sit straight with your arms behind your back (2008), che mostra cinque diversi esempi di posture obbligate. Poi c’è il Collective pupil che, svuotato di ogni personalità, è il mix dell’identità dell’insegnante e di tutti i compagni, visto che la sua figura è formata da un collage di un oggetto, una cartella, una giacca e un astuccio provenienti da ogni alunno della classe.
Ma, in fondo, alunni siamo stati e siamo tuttora anche noi, visto che non si smette mai d’imparare e, soprattutto, non si smette mai di esser costretti e controllati. Così ci sono gli esercizi anche per il pubblico, invitato a mettersi le cuffie e a eseguire il dettato. Deve scrivere ripetutamente sul foglio bianco tutte le frasi che i bambini – in particolare quelli intervistati dall’artista – si sentono sempre dire: ad esempio “siedi dritto”, “metti in ordine la stanza”, “non parlare con la bocca piena”.
Infine c’è il fulcro della classe, che non è una scrivania dalla quale la maestra diffonde gli insegnamenti, ma un imbuto di legno che pende dal soffitto, dentro il quale l’alunno, e in questo caso il visitatore, si devono infilare con tutto il capo per esser imboccati e accecati al tempo stesso. È l’opera House arrest (2009).
Si parte con la delimitazione della classe. L’ingresso della galleria è chiuso da una griglia in legno nella quale è ritagliata un’unica apertura quale porta d’ingresso all’aula. Alla parete c’è la teoria illustrata. Quelle che erano cartine dell’Italia e pannelli dell’alfabeto con ‘p’ di pera e ‘q’ di quadro, qui sono Drawing archives (2005-09), con didascalie che mostrano il Collective dictate come uno “scriversi addosso”, il Social game come uno scambio di ruoli, e l’Educational structure come un corpo che fagocita e consuma quanto lo circonda.
Gli alunni sono seduti al banco, obbligati a star diritti da strutture costrittive ortogonali nel video Sit straight with your arms behind your back (2008), che mostra cinque diversi esempi di posture obbligate. Poi c’è il Collective pupil che, svuotato di ogni personalità, è il mix dell’identità dell’insegnante e di tutti i compagni, visto che la sua figura è formata da un collage di un oggetto, una cartella, una giacca e un astuccio provenienti da ogni alunno della classe.
Ma, in fondo, alunni siamo stati e siamo tuttora anche noi, visto che non si smette mai d’imparare e, soprattutto, non si smette mai di esser costretti e controllati. Così ci sono gli esercizi anche per il pubblico, invitato a mettersi le cuffie e a eseguire il dettato. Deve scrivere ripetutamente sul foglio bianco tutte le frasi che i bambini – in particolare quelli intervistati dall’artista – si sentono sempre dire: ad esempio “siedi dritto”, “metti in ordine la stanza”, “non parlare con la bocca piena”.
Infine c’è il fulcro della classe, che non è una scrivania dalla quale la maestra diffonde gli insegnamenti, ma un imbuto di legno che pende dal soffitto, dentro il quale l’alunno, e in questo caso il visitatore, si devono infilare con tutto il capo per esser imboccati e accecati al tempo stesso. È l’opera House arrest (2009).
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mostra visitata il 30 maggio 2009
dal 30 maggio al 25 luglio 2009
Eva Kot’átková – Dictation
a cura di Luigi Fassi
ar/ge Kunst Galleria Museo
Via Museo, 29 – 39100 Bolzano
Orario: da martedì a sabato mattina ore 10-13 e 15-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 0471971601; fax +39 0471979945; info@argekunst.it; www.argekunst.it
[exibart]
Mostra ben installata con tante soluzioni interessanti. Forse troppe che agiscono sullo stesso punto e su una tematica straruffiana. Se dai un bacio, quello assume un significato.Ma se ne dai 37 diventa qualcosa di diverso.