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Oliviero Rainaldi – Tutto Scorre
Un omaggio all’acqua e al suo potere evocativo, un viaggio a ritroso nel tempo tra miti e icone della letteratura e dell’arte all’interno di una delle ville storiche più raffinate d’Europa.
Comunicato stampa
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La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso presenta la mostra “Oliviero Rainaldi. Tutto Scorre”, organizzata da Munus per la cura di Costantino D’Orazio. Un omaggio all’acqua e al suo potere evocativo, un viaggio a ritroso nel tempo tra miti e icone della letteratura e dell’arte all’interno di una delle ville storiche più raffinate d’Europa.
Ultima tra le ville costruite dai notabili veneziani sul Brenta, Villa Pisani ancora oggi si presenta con tutte le caratteristiche del giardino neoclassico, ricco di architetture e prospettive ottiche, al quale si aggiunge nell’Ottocento il giardino “romantico”, apparentemente più selvaggio.
Dopo Mimmo Paladino, Jannis Kounellis, Richard Long e altri artisti internazionali che hanno realizzato in passato opere per il parco, è la volta di Oliviero Rainaldi (Caramanico Terme – Pescara, 1956), che torna nel territorio in cui ha vissuto la sua infanzia. La sua carriera, che lo ha portato a vivere e lavorare a Roma accanto agli artisti della nota Scuola di San Lorenzo, gli ha permesso di maturare un linguaggio che ben si connette con le forme classiche e raffinate di Villa Pisani.
L’artista ha preso spunto da questa particolare dimensione ambientale per elaborare le sue installazioni, che dialogheranno con le radure, le architetture e le prospettive della villa, grazie a quindici progetti disseminati nel parco e una ricca sezione di dipinti all’interno della Riserva degli Agrumi, per un totale di circa 50 opere.
Il suo lavoro, che da oltre trent’anni si muove tra gesso, oro, marmo e vetro, si arricchisce in questo nuovo percorso della presenza vitale ed evocativa dell’acqua, utilizzata come materia e superficie da modellare con i suoi segni e le sue invenzioni. Dal Mosé, che sembra scomparire assorbito dal flusso immaginario dell’acqua del Mar Rosso, a Marat, un corpo in marmo che viene risucchiato nella materia di cui è costituito, i riferimenti culturali di Rainaldi spaziano dalla dimensione classica a quella religiosa, fonti per storie della medesima forza e suggestione.
Le opere, disseminate all’interno del parco, mostrano una rinnovata capacità dell’artista di sperimentare materiali differenti modellati in forme essenziali, che rimandano ai raffinati tratti di Francesco Laurana e Arnolfo di Cambio, alle origini della scultura rinascimentale. Attraverso una personale rilettura delle misteriose figure di Arturo Martini e dei volti intensi di Medardo Rosso, Rainaldi offre una visione contemporanea di miti che hanno attraversato tutta la nostra storia. Con leggerezza e acume, l’artista rilegge il tema delle Tre Età dell’Uomo che ammiccano da un cubo trasparente, mentre una Venere dorata si anima al passaggio di un velo d’acqua.
La mostra, organizzata da Munus e curata da Costantino D’Orazio, sarà accompagnata da un catalogo edito da Marsilio con testi di Giuseppe Rallo, Francesco Buranelli e Costantino D’Orazio.
Oliviero Rainaldi ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia con Emilio Vedova e si è diplomato all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila con Fabio Mauri. Il suo lavoro è stato presentato in rassegne d’arte e spazi museali in Italia ed all’estero, quali ad esempio Prospect ‘93 allo Schirn Kunstalle di Francoforte; Otis Parson, Los Angeles; Polk Museum, Florida; GAM, Bologna; Museum National Jakarta, Indonesia; Mezzanine Gallery, Metropolitan Museum of Art, New York; Mucsarnok Kunstalle Budapest. Dal 2000 ad oggi ha realizzato gli arredi liturgici di varie Chiese di Roma e di Terni e ha lavorato a varie commissioni ecclesiastiche; è stato insignito da Papa Giovanni Paolo II del titolo di Accademico della Pontificia Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi del Pantheon.
IL SENSO DEL LIMITE
L’accademico cerca di seguire le regole che gli sono state insegnate e non correre rischi. L’antiaccademico conosce molto bene quelle regole, ma cerca di usarle per creare un nuovo vocabolario di segni.
L’accademico vive in un contesto protetto da molti compagni di strada, con i quali condivide intenzioni, linguaggi e progetti.
L’antiaccademico lavora perlopiù da solo e tenta di non mescolare il suo lavoro con quelli dei suoi contemporanei.
L’accademico è sicuro del risultato che otterrà attraverso gesti, materiali e forme che prima di lui sono state sperimentate: deve cercare di riproporle al meglio, facendo attenzione a non scivolare sul ciglio sdrucciolevole dell’innovazione.
L’antiaccademico conosce l’ansia del rischio e si nutre di sperimentazioni continue.
L’arte dell’accademico può soltanto crescere ed evolvere, lentamente, ma sempre in avanti.
L’arte dell’antiaccademico può subire interruzioni, vivere salti e, a volte, tornare indietro perché la tensione spesso conduce alla stanchezza. E allora è meglio ripetersi e crogiolarsi nella propria accademia.
Alessandro Algardi era accademico.
Francesco Borromini antiaccademico.
Carlo Maratta era accademico.
Pietro da Cortona antiaccademico.
Giorgio De Chirico era un sublime antiaccademico, che ha scelto di diventare accademico a metà della sua carriera.
Giorgio Morandi inizia il suo percorso con un pittura accademica per poi investigare territori personali assolutamente antiaccademici.
Oliviero Rainaldi lavora sul sottile discrimine di queste due dimensioni. La sua ricerca non è animata dal sacro fuoco della rivoluzione, ma dalla consapevolezza che si può creare qualcosa di nuovo attraverso piccoli spostamenti di segni e forme. Ha creato una sua cifra e intorno a quella ha lavorato. Senza il bisogno di esplorare territori troppo rischiosi e senza la frenesia di dover sempre cambiare linguaggio. Rainaldi ha lavorato ai fianchi sempre la stessa figura, cercando di elaborare un discorso complesso e ricco, rimanendo legato ad un perno stabile e sicuro. Osservando i suoi lavori sembra sempre di ritrovarsi di fronte alla stessa opera, eppure ogni lavoro è unico grazie alle infinite variazioni che egli elabora. Egli ha scelto di prenderci per mano e accompagnarci lungo un cammino che non subisce mai salti bruschi e scossoni. Paradossalmente, il lavoro di Rainaldi ha tutte le caratteristiche per essere definito accademico, ma condivide l’isolamento e l’unicità degli antiaccademici.
L’artista, dopo anni in cui ha occupato un enorme studio nella periferia romana, ha scelto di trasferirsi all’interno dell’Ex Pastificio Cerere di San Lorenzo: un luogo dove tenersi in contatto con molti suoi coetanei, ma senza l’obiettivo di entrare in un “gruppo”.
Spesso nella storia dell’arte, soprattutto recente, è successo che alcuni artisti si siano trovati loro malgrado all’interno di una vicenda collettiva, in cui un critico ha assegnato loro un posto preciso. Per un certo periodo di tempo l’appartenenza a questo gruppo ha dato forza al lavoro degli artisti e ha permesso loro di diventare riconoscibili e più accettabili dalla società culturale e dal mercato. Nel tempo poi il destino di queste singole personalità ha preso strade diverse: alcuni sono riusciti ad emanciparsi e trovare un percorso individuale altrettanto efficace, altri, sciolto il gruppo, si sono persi. Il gruppo può costituire un valido volano per lanciare la carriera di un artista, ma anche uno strumento pericoloso che crea un cordone ombelicale senza il quale si può soccombere.
Oliviero Rainaldi ha la stessa età degli artisti che negli anni Ottanta esponevano spesso sotto l’etichetta della Scuola di San Lorenzo, ma non è mai appartenuto a quel collettivo. Forse, se avesse frequentato l’Accademia di Belle Arti di Roma, invece che quella dell’Aquila, sarebbe finito anche lui a Via degli Ausoni già nel 1978 e Achille Bonito Oliva lo avrebbe coinvolto nella mostra “Atelier”. Ma questo non è successo e Rainaldi non ha goduto della spinta e della riconoscibilità di Gallo, Nunzio, Dessì, Tirelli e Ceccobelli. E nemmeno del loro mercato.
Però ha avuto la fortuna di studiare con Fabio Mauri, artista antiaccademico, isolato e radicale che ha vissuto accanto agli artisti dell’Arte Povera, senza mai farne parte. Anche lui ha dovuto farsi strada con la forza del suo lavoro, senza poter contare sull’eco delle parole di Germano Celant e sul mutuo sostegno che negli anni Sessanta e Settanta si davano a vicenda Merz, Kounellis, Anselmo, Zorio, Penone e compagni. Eppure Mauri occupa un suo posto nella storia dell’arte di quegli anni altrettanto significativo, dove la forza della sua idea, in fondo sempre la stessa, gli ha permesso di non ripetersi mai e di costruire un percorso di ricerca dai mille risvolti.
Casi simili, storie individuali eccezionali, ricerche antiaccademiche che segnano il tempo, la storia dell’arte italiana del Novecento ne ha offerte tante: Morandi, che ha assaporato il fascino della Metafisica per poi chiudersi nel suo isolamento creativo, Licini, che ha trattato con grande libertà i segni raccolti dal Surrealismo, Novelli, sul quale ancora oggi non è stata elaborata una lettura approfondita perché il suo lavoro è troppo anticonvenzionale e difficile da irreggimentare in uno schema condiviso.
La ricerca di Oliviero Rainaldi si colloca all’interno di questo percorso, sia a livello umano che a livello artistico. La scelta di aprire il suo studio all’Ex Pastificio Cerere nasce dall’evidente necessità di non trovarsi troppo isolato e poter vivere e lavorare in una dimensione creativa collettiva con altri artisti suoi coetanei. Ma questo non ha comportato il tradimento del suo percorso. Egli ha dato un senso più forte alla propria individualità, concentrata in un segno personale che non è assimilabile ad alcuno dei suoi coinquilini. O, meglio, è vicino allo stesso sentimento della sua generazione, ma è capace di distinguersi in modo netto e preciso. La forza della sua ricerca sta proprio nella scelta di non abbandonare mai quel fantasma (in senso etimologico) che ha scovato più di trent’anni fa. Quel volto levigato, a cui ha tolto ogni dettaglio tranne il naso, è diventato ormai quasi il suo alter ego. E’ una forma geometrica perfetta, quasi rigida, ma allo stesso tempo flessibile. Si adatta con disponibilità a tutte le situazioni che Rainaldi le crea intorno. E’ il punto fermo, una presenza costante, l’elemento da cui tutto parte e tutto torna. E’ la vera e unica invenzione di Oliviero, che poi ha dovuto far altro che declinarla in infinite situazioni e materiali. La chiave di lettura del fascino rainaldiano passa per la comprensione di questo meccanismo: l’artista si muove all’infinito intorno ad un fulcro, ossessionato dal desiderio di liberarsi e di rimanervi attaccato. Con le dovute proporzioni e differenze, in fondo anche Mario Merz ha lavorato nello stesso modo. Ha scelto forse più di un elemento, ma la sua produzione si è risolta in una infinita variazione su un numero limitato di temi: l’igloo, la spirale, i fibonacci. E’ difficile che un artista geniale abbia più di una grande idea nella sua carriera. Per quella, quella sola, verrà ricordato.
Rainaldi ha avuto la sua, che lo rende riconoscibile e unico. Questa idea, questa forma, è molto meno rivoluzionaria e iconoclasta di quelle avute dai suoi coetanei: potrebbe per questo essere accusata di strizzare l’occhio all’accademia. Eppure esprime la forza sottile della novità, il fascino discreto dell’originalità, forse proprio grazie al costante desiderio dell’artista di rinnovarsi e non ripetersi mai. Egli ha sempre ben presente il rischio di cadere nel “formalismo” e nella ripetizione, è costantemente animato dal desiderio di raggiungere nuovi traguardi attraverso la sperimentazione di materiali, dimensioni e contesti. Ma non perde mai di vista il suo punto fermo. Quel volto, che è per lui allo stesso tempo limite e slancio.
Costantino D’Orazio
Ultima tra le ville costruite dai notabili veneziani sul Brenta, Villa Pisani ancora oggi si presenta con tutte le caratteristiche del giardino neoclassico, ricco di architetture e prospettive ottiche, al quale si aggiunge nell’Ottocento il giardino “romantico”, apparentemente più selvaggio.
Dopo Mimmo Paladino, Jannis Kounellis, Richard Long e altri artisti internazionali che hanno realizzato in passato opere per il parco, è la volta di Oliviero Rainaldi (Caramanico Terme – Pescara, 1956), che torna nel territorio in cui ha vissuto la sua infanzia. La sua carriera, che lo ha portato a vivere e lavorare a Roma accanto agli artisti della nota Scuola di San Lorenzo, gli ha permesso di maturare un linguaggio che ben si connette con le forme classiche e raffinate di Villa Pisani.
L’artista ha preso spunto da questa particolare dimensione ambientale per elaborare le sue installazioni, che dialogheranno con le radure, le architetture e le prospettive della villa, grazie a quindici progetti disseminati nel parco e una ricca sezione di dipinti all’interno della Riserva degli Agrumi, per un totale di circa 50 opere.
Il suo lavoro, che da oltre trent’anni si muove tra gesso, oro, marmo e vetro, si arricchisce in questo nuovo percorso della presenza vitale ed evocativa dell’acqua, utilizzata come materia e superficie da modellare con i suoi segni e le sue invenzioni. Dal Mosé, che sembra scomparire assorbito dal flusso immaginario dell’acqua del Mar Rosso, a Marat, un corpo in marmo che viene risucchiato nella materia di cui è costituito, i riferimenti culturali di Rainaldi spaziano dalla dimensione classica a quella religiosa, fonti per storie della medesima forza e suggestione.
Le opere, disseminate all’interno del parco, mostrano una rinnovata capacità dell’artista di sperimentare materiali differenti modellati in forme essenziali, che rimandano ai raffinati tratti di Francesco Laurana e Arnolfo di Cambio, alle origini della scultura rinascimentale. Attraverso una personale rilettura delle misteriose figure di Arturo Martini e dei volti intensi di Medardo Rosso, Rainaldi offre una visione contemporanea di miti che hanno attraversato tutta la nostra storia. Con leggerezza e acume, l’artista rilegge il tema delle Tre Età dell’Uomo che ammiccano da un cubo trasparente, mentre una Venere dorata si anima al passaggio di un velo d’acqua.
La mostra, organizzata da Munus e curata da Costantino D’Orazio, sarà accompagnata da un catalogo edito da Marsilio con testi di Giuseppe Rallo, Francesco Buranelli e Costantino D’Orazio.
Oliviero Rainaldi ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia con Emilio Vedova e si è diplomato all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila con Fabio Mauri. Il suo lavoro è stato presentato in rassegne d’arte e spazi museali in Italia ed all’estero, quali ad esempio Prospect ‘93 allo Schirn Kunstalle di Francoforte; Otis Parson, Los Angeles; Polk Museum, Florida; GAM, Bologna; Museum National Jakarta, Indonesia; Mezzanine Gallery, Metropolitan Museum of Art, New York; Mucsarnok Kunstalle Budapest. Dal 2000 ad oggi ha realizzato gli arredi liturgici di varie Chiese di Roma e di Terni e ha lavorato a varie commissioni ecclesiastiche; è stato insignito da Papa Giovanni Paolo II del titolo di Accademico della Pontificia Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi del Pantheon.
IL SENSO DEL LIMITE
L’accademico cerca di seguire le regole che gli sono state insegnate e non correre rischi. L’antiaccademico conosce molto bene quelle regole, ma cerca di usarle per creare un nuovo vocabolario di segni.
L’accademico vive in un contesto protetto da molti compagni di strada, con i quali condivide intenzioni, linguaggi e progetti.
L’antiaccademico lavora perlopiù da solo e tenta di non mescolare il suo lavoro con quelli dei suoi contemporanei.
L’accademico è sicuro del risultato che otterrà attraverso gesti, materiali e forme che prima di lui sono state sperimentate: deve cercare di riproporle al meglio, facendo attenzione a non scivolare sul ciglio sdrucciolevole dell’innovazione.
L’antiaccademico conosce l’ansia del rischio e si nutre di sperimentazioni continue.
L’arte dell’accademico può soltanto crescere ed evolvere, lentamente, ma sempre in avanti.
L’arte dell’antiaccademico può subire interruzioni, vivere salti e, a volte, tornare indietro perché la tensione spesso conduce alla stanchezza. E allora è meglio ripetersi e crogiolarsi nella propria accademia.
Alessandro Algardi era accademico.
Francesco Borromini antiaccademico.
Carlo Maratta era accademico.
Pietro da Cortona antiaccademico.
Giorgio De Chirico era un sublime antiaccademico, che ha scelto di diventare accademico a metà della sua carriera.
Giorgio Morandi inizia il suo percorso con un pittura accademica per poi investigare territori personali assolutamente antiaccademici.
Oliviero Rainaldi lavora sul sottile discrimine di queste due dimensioni. La sua ricerca non è animata dal sacro fuoco della rivoluzione, ma dalla consapevolezza che si può creare qualcosa di nuovo attraverso piccoli spostamenti di segni e forme. Ha creato una sua cifra e intorno a quella ha lavorato. Senza il bisogno di esplorare territori troppo rischiosi e senza la frenesia di dover sempre cambiare linguaggio. Rainaldi ha lavorato ai fianchi sempre la stessa figura, cercando di elaborare un discorso complesso e ricco, rimanendo legato ad un perno stabile e sicuro. Osservando i suoi lavori sembra sempre di ritrovarsi di fronte alla stessa opera, eppure ogni lavoro è unico grazie alle infinite variazioni che egli elabora. Egli ha scelto di prenderci per mano e accompagnarci lungo un cammino che non subisce mai salti bruschi e scossoni. Paradossalmente, il lavoro di Rainaldi ha tutte le caratteristiche per essere definito accademico, ma condivide l’isolamento e l’unicità degli antiaccademici.
L’artista, dopo anni in cui ha occupato un enorme studio nella periferia romana, ha scelto di trasferirsi all’interno dell’Ex Pastificio Cerere di San Lorenzo: un luogo dove tenersi in contatto con molti suoi coetanei, ma senza l’obiettivo di entrare in un “gruppo”.
Spesso nella storia dell’arte, soprattutto recente, è successo che alcuni artisti si siano trovati loro malgrado all’interno di una vicenda collettiva, in cui un critico ha assegnato loro un posto preciso. Per un certo periodo di tempo l’appartenenza a questo gruppo ha dato forza al lavoro degli artisti e ha permesso loro di diventare riconoscibili e più accettabili dalla società culturale e dal mercato. Nel tempo poi il destino di queste singole personalità ha preso strade diverse: alcuni sono riusciti ad emanciparsi e trovare un percorso individuale altrettanto efficace, altri, sciolto il gruppo, si sono persi. Il gruppo può costituire un valido volano per lanciare la carriera di un artista, ma anche uno strumento pericoloso che crea un cordone ombelicale senza il quale si può soccombere.
Oliviero Rainaldi ha la stessa età degli artisti che negli anni Ottanta esponevano spesso sotto l’etichetta della Scuola di San Lorenzo, ma non è mai appartenuto a quel collettivo. Forse, se avesse frequentato l’Accademia di Belle Arti di Roma, invece che quella dell’Aquila, sarebbe finito anche lui a Via degli Ausoni già nel 1978 e Achille Bonito Oliva lo avrebbe coinvolto nella mostra “Atelier”. Ma questo non è successo e Rainaldi non ha goduto della spinta e della riconoscibilità di Gallo, Nunzio, Dessì, Tirelli e Ceccobelli. E nemmeno del loro mercato.
Però ha avuto la fortuna di studiare con Fabio Mauri, artista antiaccademico, isolato e radicale che ha vissuto accanto agli artisti dell’Arte Povera, senza mai farne parte. Anche lui ha dovuto farsi strada con la forza del suo lavoro, senza poter contare sull’eco delle parole di Germano Celant e sul mutuo sostegno che negli anni Sessanta e Settanta si davano a vicenda Merz, Kounellis, Anselmo, Zorio, Penone e compagni. Eppure Mauri occupa un suo posto nella storia dell’arte di quegli anni altrettanto significativo, dove la forza della sua idea, in fondo sempre la stessa, gli ha permesso di non ripetersi mai e di costruire un percorso di ricerca dai mille risvolti.
Casi simili, storie individuali eccezionali, ricerche antiaccademiche che segnano il tempo, la storia dell’arte italiana del Novecento ne ha offerte tante: Morandi, che ha assaporato il fascino della Metafisica per poi chiudersi nel suo isolamento creativo, Licini, che ha trattato con grande libertà i segni raccolti dal Surrealismo, Novelli, sul quale ancora oggi non è stata elaborata una lettura approfondita perché il suo lavoro è troppo anticonvenzionale e difficile da irreggimentare in uno schema condiviso.
La ricerca di Oliviero Rainaldi si colloca all’interno di questo percorso, sia a livello umano che a livello artistico. La scelta di aprire il suo studio all’Ex Pastificio Cerere nasce dall’evidente necessità di non trovarsi troppo isolato e poter vivere e lavorare in una dimensione creativa collettiva con altri artisti suoi coetanei. Ma questo non ha comportato il tradimento del suo percorso. Egli ha dato un senso più forte alla propria individualità, concentrata in un segno personale che non è assimilabile ad alcuno dei suoi coinquilini. O, meglio, è vicino allo stesso sentimento della sua generazione, ma è capace di distinguersi in modo netto e preciso. La forza della sua ricerca sta proprio nella scelta di non abbandonare mai quel fantasma (in senso etimologico) che ha scovato più di trent’anni fa. Quel volto levigato, a cui ha tolto ogni dettaglio tranne il naso, è diventato ormai quasi il suo alter ego. E’ una forma geometrica perfetta, quasi rigida, ma allo stesso tempo flessibile. Si adatta con disponibilità a tutte le situazioni che Rainaldi le crea intorno. E’ il punto fermo, una presenza costante, l’elemento da cui tutto parte e tutto torna. E’ la vera e unica invenzione di Oliviero, che poi ha dovuto far altro che declinarla in infinite situazioni e materiali. La chiave di lettura del fascino rainaldiano passa per la comprensione di questo meccanismo: l’artista si muove all’infinito intorno ad un fulcro, ossessionato dal desiderio di liberarsi e di rimanervi attaccato. Con le dovute proporzioni e differenze, in fondo anche Mario Merz ha lavorato nello stesso modo. Ha scelto forse più di un elemento, ma la sua produzione si è risolta in una infinita variazione su un numero limitato di temi: l’igloo, la spirale, i fibonacci. E’ difficile che un artista geniale abbia più di una grande idea nella sua carriera. Per quella, quella sola, verrà ricordato.
Rainaldi ha avuto la sua, che lo rende riconoscibile e unico. Questa idea, questa forma, è molto meno rivoluzionaria e iconoclasta di quelle avute dai suoi coetanei: potrebbe per questo essere accusata di strizzare l’occhio all’accademia. Eppure esprime la forza sottile della novità, il fascino discreto dell’originalità, forse proprio grazie al costante desiderio dell’artista di rinnovarsi e non ripetersi mai. Egli ha sempre ben presente il rischio di cadere nel “formalismo” e nella ripetizione, è costantemente animato dal desiderio di raggiungere nuovi traguardi attraverso la sperimentazione di materiali, dimensioni e contesti. Ma non perde mai di vista il suo punto fermo. Quel volto, che è per lui allo stesso tempo limite e slancio.
Costantino D’Orazio
16
aprile 2011
Oliviero Rainaldi – Tutto Scorre
Dal 16 aprile al 30 ottobre 2011
arte contemporanea
Location
MUSEO NAZIONALE VILLA PISANI
Stra, Via Doge A. Pisani, 7, (Venezia)
Stra, Via Doge A. Pisani, 7, (Venezia)
Biglietti
Intero € 8,50
Ridotto € 6,00 (cittadini UE tra i 18 e i 25 anni)
Residenti Riviera del Brenta* € 5,00
Gratuito per cittadini UE fino ai 18 anni e oltre i 65
*Campagna Lupia, Campolongo Maggiore, Camponogara, Dolo, Fiesso d’Artico, Fossò, Mira, Stra, Vigonovo
Orario di apertura
Dal 1 al 30 ottobre dalle 9.00 alle 17.00
Chiuso il lunedì
Vernissage
16 Aprile 2011, ore 11.30
Sito web
www.munus.com
Editore
MARSILIO
Autore
Curatore