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Daniel Buren – Proprio lì negli angoli più inaccessibili
Galleria Continua presenta un nuovo lavoro di Daniel Buren nella sezione espositiva appositamente dedicata a installazioni in situ “One year project”, che prevede la realizzazione di progetti visibili per tutta la durata dell’anno
Comunicato stampa
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Galleria Continua presenta un nuovo lavoro di Daniel Buren nella sezione espositiva appositamente dedicata a installazioni in situ “One year project”, che prevede la realizzazione di progetti visibili per tutta la durata dell’anno.
L’intervento dell’artista andrà a modificare in modo sostanziale la natura originaria della complessa struttura caratterizzata da corridoi, cunicoli, stanzine, soffitti bassi e scalini che collegano i diversi livelli delle sale principali. Il nuovo percorso, realizzato attraverso la collocazione di superfici specchianti, che moltiplicano l’outil visuel dell’artista , sfrutterà la geometria dello spazio avvolgendo completamente il visitatore e regalandogli effetti di spaesamento e sorpresa.
Daniel Buren (Boulogne-Billancourt 1938) dopo la formazione all’ “Ecole des Métiers d’Art”, dal 1957 al 1960, e un rapido passaggio attraverso l’ “Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts”, all’inizio del suo percorso conduce numerose sperimentazioni, al limite tra pittura, scultura e cinema. Dai primi lavori pittorici, datati 1960, si incammina rapidamente verso un’economia di mezzi con la quale mette già in evidenza la neutralizzazione del contenuto illusionistico della pittura e l’indifferenza per il soggetto narrativo: temi centrali del suo processo artistico. Dal settembre 1965 comincia ad utilizzare una stoffa da tende rigata, le cui componenti diventano la base del suo vocabolario artistico: strisce verticali alternate bianche e colorate, larghe 8,7 cm. Questo motivo fabbricato industrialmente risponde perfettamente al suo desiderio di oggettività e gli permette di accentuare il carattere impersonale del suo lavoro, anche se in un primo tempo è utilizzato solo come supporto della pittura. Dopo l’esperienza, vissuta tra il 1966 e il 1967 con Olivier Mosset, Michel Parmentier e Niele Toroni, fondata sulla ripetizione sistematica dello stesso motivo e sulla volontà di realizzare ciascuno a suo modo “l’ultimo dipinto”, Buren comincia ad esplorare le potenzialità del motivo a strisce alternate come segno, passando così dall’oggetto-pittura a ciò che egli chiama “utensile visuale”, e dal novembre 1967 fa stampare la carta a strisce. Il cartellone e la carta dipinta gli permettono così di ricoprire le superfici più varie con una modalità d’intervento pressoché infinita; a questa data la strada è ancora uno degli spazi d’intervento privilegiati. Inventa la nozione di “in situ” nel campo delle arti plastiche, per caratterizzare una pratica intrinsecamente legata alle specificità topologiche e culturali dei luoghi dove le opere sono presentate. Nel 1968 la mostra personale alla galleria Apollinaire di Milano e la partecipazione a manifestazioni internazionali “Prospect” sempre nel 1968 e nel 1969 a Düsseldorf, segnano il vero inizio della sua celebrità. Negli anni ’70 comincia ad esporre nei musei, spesso fuori dalla Francia, e all’interno di esposizioni che lo assimilano all’arte concettuale. Da questi stessi anni le sue opere investono i più svariati supporti: muri, porte, pannelli d’affisione, indicatori stradali, la carta e la tela sotto vetro, sulle scale, sui treni, sulle navi, sotto forma di bandiere sui tetti di Parigi, di gilets per i custodi dei musei, ecc. Buren fa parlare di sé e scatena polemiche nel 1971 alla V Esposizione Internazionale del Solomon Guggenheim Museum a New York e nel 1972 alla celebre Documenta V organizzata da Harald Szeemann. Negli anni ’80, i cambiamenti politici gli permettono di occupare gli spazi pubblici in modo meno fuggevole e comincia a realizzare delle opere
permanenti, delle quali la prima e forse la più celebre è Les Deux Plateaux (1985-1986) al Palais-Royale. Nel 1986 si aggiudica il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia per il miglior padiglione. Molto presto l’interesse di Buren si focalizza sull’ascendente dell’architettura (particolarmente quella museale) sull’arte. Egli comincia a sviluppare un lavoro più tridimensionale e una concezione dell’opera che non è più oggetto ma modulazione dello spazio. Del 1975 è la prima Cabane Eclatée che costituisce una vera svolta, accentuando l’interdipendenza tra l’opera e il luogo che la accoglie attraverso giochi sapienti di costruzione e decostruzione: l’opera stessa diventa il suo proprio sito oltre che il luogo del movimento e della deambulazione. Le proposte più recenti si presentano come dispositivi architettonici sempre più complessi, che intrattengono costantemente un dialogo con l’architettura esistente. Tali proposte si manifestano in una vera e propria alterazione dello spazio, una moltiplicazione di giochi sui materiali (legno, vinile, materie plastiche, reticolati) e in una esplosione del colore. Dopo l’inizio degli anni ’90 il colore non è più solamente applicato ai muri, ma letteralmente “installato nello spazio” sotto forma di filtri, lastre di vetro o plexiglas colorati. L’impressione di esplosione dell’opera, accentuato dall’utilizzo di specchi, incita lo spettatore ad uno spostamento non più solamente dello sguardo ma del corpo intero.
L’intervento dell’artista andrà a modificare in modo sostanziale la natura originaria della complessa struttura caratterizzata da corridoi, cunicoli, stanzine, soffitti bassi e scalini che collegano i diversi livelli delle sale principali. Il nuovo percorso, realizzato attraverso la collocazione di superfici specchianti, che moltiplicano l’outil visuel dell’artista , sfrutterà la geometria dello spazio avvolgendo completamente il visitatore e regalandogli effetti di spaesamento e sorpresa.
Daniel Buren (Boulogne-Billancourt 1938) dopo la formazione all’ “Ecole des Métiers d’Art”, dal 1957 al 1960, e un rapido passaggio attraverso l’ “Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts”, all’inizio del suo percorso conduce numerose sperimentazioni, al limite tra pittura, scultura e cinema. Dai primi lavori pittorici, datati 1960, si incammina rapidamente verso un’economia di mezzi con la quale mette già in evidenza la neutralizzazione del contenuto illusionistico della pittura e l’indifferenza per il soggetto narrativo: temi centrali del suo processo artistico. Dal settembre 1965 comincia ad utilizzare una stoffa da tende rigata, le cui componenti diventano la base del suo vocabolario artistico: strisce verticali alternate bianche e colorate, larghe 8,7 cm. Questo motivo fabbricato industrialmente risponde perfettamente al suo desiderio di oggettività e gli permette di accentuare il carattere impersonale del suo lavoro, anche se in un primo tempo è utilizzato solo come supporto della pittura. Dopo l’esperienza, vissuta tra il 1966 e il 1967 con Olivier Mosset, Michel Parmentier e Niele Toroni, fondata sulla ripetizione sistematica dello stesso motivo e sulla volontà di realizzare ciascuno a suo modo “l’ultimo dipinto”, Buren comincia ad esplorare le potenzialità del motivo a strisce alternate come segno, passando così dall’oggetto-pittura a ciò che egli chiama “utensile visuale”, e dal novembre 1967 fa stampare la carta a strisce. Il cartellone e la carta dipinta gli permettono così di ricoprire le superfici più varie con una modalità d’intervento pressoché infinita; a questa data la strada è ancora uno degli spazi d’intervento privilegiati. Inventa la nozione di “in situ” nel campo delle arti plastiche, per caratterizzare una pratica intrinsecamente legata alle specificità topologiche e culturali dei luoghi dove le opere sono presentate. Nel 1968 la mostra personale alla galleria Apollinaire di Milano e la partecipazione a manifestazioni internazionali “Prospect” sempre nel 1968 e nel 1969 a Düsseldorf, segnano il vero inizio della sua celebrità. Negli anni ’70 comincia ad esporre nei musei, spesso fuori dalla Francia, e all’interno di esposizioni che lo assimilano all’arte concettuale. Da questi stessi anni le sue opere investono i più svariati supporti: muri, porte, pannelli d’affisione, indicatori stradali, la carta e la tela sotto vetro, sulle scale, sui treni, sulle navi, sotto forma di bandiere sui tetti di Parigi, di gilets per i custodi dei musei, ecc. Buren fa parlare di sé e scatena polemiche nel 1971 alla V Esposizione Internazionale del Solomon Guggenheim Museum a New York e nel 1972 alla celebre Documenta V organizzata da Harald Szeemann. Negli anni ’80, i cambiamenti politici gli permettono di occupare gli spazi pubblici in modo meno fuggevole e comincia a realizzare delle opere
permanenti, delle quali la prima e forse la più celebre è Les Deux Plateaux (1985-1986) al Palais-Royale. Nel 1986 si aggiudica il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia per il miglior padiglione. Molto presto l’interesse di Buren si focalizza sull’ascendente dell’architettura (particolarmente quella museale) sull’arte. Egli comincia a sviluppare un lavoro più tridimensionale e una concezione dell’opera che non è più oggetto ma modulazione dello spazio. Del 1975 è la prima Cabane Eclatée che costituisce una vera svolta, accentuando l’interdipendenza tra l’opera e il luogo che la accoglie attraverso giochi sapienti di costruzione e decostruzione: l’opera stessa diventa il suo proprio sito oltre che il luogo del movimento e della deambulazione. Le proposte più recenti si presentano come dispositivi architettonici sempre più complessi, che intrattengono costantemente un dialogo con l’architettura esistente. Tali proposte si manifestano in una vera e propria alterazione dello spazio, una moltiplicazione di giochi sui materiali (legno, vinile, materie plastiche, reticolati) e in una esplosione del colore. Dopo l’inizio degli anni ’90 il colore non è più solamente applicato ai muri, ma letteralmente “installato nello spazio” sotto forma di filtri, lastre di vetro o plexiglas colorati. L’impressione di esplosione dell’opera, accentuato dall’utilizzo di specchi, incita lo spettatore ad uno spostamento non più solamente dello sguardo ma del corpo intero.
20
maggio 2006
Daniel Buren – Proprio lì negli angoli più inaccessibili
Dal 20 maggio 2006 al primo aprile 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA CONTINUA
San Gimignano, Via Del Castello, 11, (Siena)
San Gimignano, Via Del Castello, 11, (Siena)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 14-19
Vernissage
20 Maggio 2006, ore 18-24
Ufficio stampa
SILVIA PICHINI
Autore