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Andisheh Avini
La Galleria Alberto Peola presenta la prima personale in Italia di Andisheh Avini, artista americano di origini iraniane
Comunicato stampa
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La Galleria Alberto Peola presenta la prima personale in Italia di Andisheh Avini, artista americano di origini iraniane.
Nato e cresciuto a New York, Avini è rimasto molto legato all’eredità persiana. Parla, legge e scrive in farsi ed è stato in Iran molte volte da bambino e da ragazzo. Molto del suo lavoro ha a che fare con l’identità e l’assenza di identità, nel mezzo tra due culture come Persia e America che tirano in più direzioni divergenti.
Sebbene non praticante, Avini trova nell’Islam temi molto interessanti che sono per lui spunto per idee da esplorare attraverso l’arte. Una è l’idea di anonimato. I musulmani credono che il viso o la descrizione di una persona non siano importanti, e questo è il motivo per cui non si vedono mai immagini del profeta Maometto.
Sul tema dell’anonimato, l’artista comincia a lavorare a una serie di silhouettes, anonimi autoritratti, cui fanno seguito i dipinti calligrafici. Il divieto di dipingere le persone e le loro facce ha reso la calligrafia la forma più importante di arte nel mondo islamico. Misurandosi con questa tradizione, usando il format della scrittura farsi, Avini crea lavori molto espressivi e catartici. Più interessato al mezzo e all’atto dello scrivere che al messaggio, i suoi dipinti si snodano come flussi di coscienza, sono come monologhi interiori. «Quando ne comincio uno, non posso smettere finché non è finito».
I dipinti calligrafici esposti - scrittura rossa su tela bianca - sono realizzati con sangue di pecora mischiato a pigmenti. Il sangue di pecora rappresenta il sacrificio e, d’altra parte, la calligrafia è un grande sacrificio in sé, un’arte che è uscita da una forma di censura.
Una serie di miniature amplia la riflessione sull’anonimato. Partendo da inkjet prints, attraverso una progressiva sottrazione, Avini copre col colore tutti i dettagli delle figure umane e tutti i testi che le descrivono. Restano così soltanto paesaggi e misteriose figure di cui si deve immaginare cosa stanno facendo e cosa stanno dicendo.
Anche le sculture dei teschi sono riconducibili allo stesso tema. Non si può dire chi erano quelle persone o cosa facevano. Sono ormai solo un resto di ciò che erano una volta. Ognuno sembra uguale nella morte. E alla propria morte Avini fa ripetutamente diretto riferimento nella serie dei ritratti del suicidio: l’arte gli permette di contemplarla e di controllare l’ossessione che gli crea.
Il teschio è un’immagine molto potente, che lascia spazio all’immaginazione. I teschi di Avini sono preziosamente rivestiti, con motivi tratti dalle decorazioni iraniane. Egli infatti attinge a quel mondo ricco di disegni e di colori, tagliandoli, mettendoli insieme e rivestendo con essi le idee della sua arte.
Nato e cresciuto a New York, Avini è rimasto molto legato all’eredità persiana. Parla, legge e scrive in farsi ed è stato in Iran molte volte da bambino e da ragazzo. Molto del suo lavoro ha a che fare con l’identità e l’assenza di identità, nel mezzo tra due culture come Persia e America che tirano in più direzioni divergenti.
Sebbene non praticante, Avini trova nell’Islam temi molto interessanti che sono per lui spunto per idee da esplorare attraverso l’arte. Una è l’idea di anonimato. I musulmani credono che il viso o la descrizione di una persona non siano importanti, e questo è il motivo per cui non si vedono mai immagini del profeta Maometto.
Sul tema dell’anonimato, l’artista comincia a lavorare a una serie di silhouettes, anonimi autoritratti, cui fanno seguito i dipinti calligrafici. Il divieto di dipingere le persone e le loro facce ha reso la calligrafia la forma più importante di arte nel mondo islamico. Misurandosi con questa tradizione, usando il format della scrittura farsi, Avini crea lavori molto espressivi e catartici. Più interessato al mezzo e all’atto dello scrivere che al messaggio, i suoi dipinti si snodano come flussi di coscienza, sono come monologhi interiori. «Quando ne comincio uno, non posso smettere finché non è finito».
I dipinti calligrafici esposti - scrittura rossa su tela bianca - sono realizzati con sangue di pecora mischiato a pigmenti. Il sangue di pecora rappresenta il sacrificio e, d’altra parte, la calligrafia è un grande sacrificio in sé, un’arte che è uscita da una forma di censura.
Una serie di miniature amplia la riflessione sull’anonimato. Partendo da inkjet prints, attraverso una progressiva sottrazione, Avini copre col colore tutti i dettagli delle figure umane e tutti i testi che le descrivono. Restano così soltanto paesaggi e misteriose figure di cui si deve immaginare cosa stanno facendo e cosa stanno dicendo.
Anche le sculture dei teschi sono riconducibili allo stesso tema. Non si può dire chi erano quelle persone o cosa facevano. Sono ormai solo un resto di ciò che erano una volta. Ognuno sembra uguale nella morte. E alla propria morte Avini fa ripetutamente diretto riferimento nella serie dei ritratti del suicidio: l’arte gli permette di contemplarla e di controllare l’ossessione che gli crea.
Il teschio è un’immagine molto potente, che lascia spazio all’immaginazione. I teschi di Avini sono preziosamente rivestiti, con motivi tratti dalle decorazioni iraniane. Egli infatti attinge a quel mondo ricco di disegni e di colori, tagliandoli, mettendoli insieme e rivestendo con essi le idee della sua arte.
23
maggio 2006
Andisheh Avini
Dal 23 maggio al 26 luglio 2006
arte contemporanea
Location
Simondi
Torino, Via Della Rocca, 29, (Torino)
Torino, Via Della Rocca, 29, (Torino)
Orario di apertura
da lunedì a sabato dalle 15.30 alle 19.30; mattino su appuntamento
Vernissage
23 Maggio 2006, ore 19
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