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Il giuoco delle parti
Tre figure assai tipizzate: una tela con un redivivo umanoide-profeta, il volto di un uomo rivisitato più volte da matite colorate che ne svelano caratteristiche inedite e una giovane donna fotografata nuda e ripiegata su se stessa
Comunicato stampa
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Tre involucri, tre mascherate, tre concetti astratti.
É in scena la dialettica della finzione, ove tutto quello che si vede è forma vana ed esteriore. I personaggi de Il giuoco delle parti altri non sono che l’emblema del contenitore, del travestimento, del famoso guscio d’uovo.
Cosa e chi si cela dietro queste figure da triangolo pirandelliano?
La sostanza è indagata per tentativi in un trittico di autoritratti inediti di Francesco Lauretta realizzati all’incirca una decina di anni fa forse con l’incoscienza di chi non temeva di esporsi all’occhio più critico. Beffardo, quasi mefistofelico, il volto si smaterializza gradualmente come per irridere la nostra presunzione, quella di chi tutto sa e di chi accetta ossequiosamente stereotipi e modi comportamentali precostituiti come unica lex vitae.
Ma la realtà non si svela, o meglio, non in un’unica forma, è cangiante, mutevole, sfuggente, anche se l’uomo vorrebbe ingannarsi e ingannare gli altri, accettando il giuoco e assumendone le maschere.
I tre volti, vaporizzazioni di un’unica essenza, anelano, nella loro instabilità, il contrasto tra ciò che è dinanzi e ciò che si mostra. Lontano dal pittore Lauretta delle tele iper-concettualrealiste che conosciamo, con le note processioni, i funerali e le feste religiose, il disegnatore Lauretta è più tormentato e decadente, dal linearismo nervoso che impressiona la carta con entità altamente emotive, “schieliane”.
Giulia Caira, in continua ricerca del sé, si fotografa negandosi allo stesso tempo alla vista. Consapevole della dualità dell'esistenza, cerca un modello a cui tendere, una forma esemplificativa del suo essere, ma il risultato è sotto i nostri occhi: la perdita dell’identità è inevitabile in questa ricerca nel mascheramento, nell’illusione.
Vittima e complice di questo meccanismo perversamente fallimentare, esprime nella grande fotografia in bianco e nero, dal fascino ineguagliabile, tutta l’inquietudine, il disagio e l’angoscia che deriva da costanti contrapposte come il celare ed il mostrare, la realtà e la finzione, l’amore e il dolore…
L’atto del coprire le proprie nudità è un elemento chiave, simbolo di precarieta`, di insicurezza e di protezione allo stesso tempo a causa dell’incapacità di affrontare quei pregiudizi che la vita e la società impone, quei limiti che ormai sedimentati facevano parlare Arnold Gehlen di “società cristallizzata”, ove “le possibilità in essa insite hanno sviluppato tutte le loro risorse fondamentali. Sono state scoperte ed accettate anche tutte le contropossibilità e tutte le antitesi, di modo che ormai diviene sempre più improbabile operare modificazioni nelle premesse”.
La grande tela di Paolo Consorti, datata 2001, ha titolo sibillino, Idolo. A dispetto degli ultimi lavori, non abbiamo paesaggi dai colori acidi e fluorescenti abitati da branchi di umanoidi, ma ricorre un unico personaggio misterioso inguainato dentro una tuta candida, che evoca le atmosfere fantascientifiche di Tarkovskij. L’ambiente ovattato e indefinibile ci parla di una geografia altra, di difficile interpretazione.
Che si tratti di un mito antico o di una mistica presenza dei giorni nostri, è l’unico soggetto inconfutabilmente mascherato della mostra.
Gli artisti impegnati sono sicuramente eterogenei da un punto di vista stilistico, ma allo stesso tempo legati da quel disagio nei confronti dell’odierna comunità culturale, sempre più impegnata in progetti suggestivi e sempre meno attenta alle urgenze artistiche che gravitano attorno all’eterodosso sentir umano.
Monica Trigona
É in scena la dialettica della finzione, ove tutto quello che si vede è forma vana ed esteriore. I personaggi de Il giuoco delle parti altri non sono che l’emblema del contenitore, del travestimento, del famoso guscio d’uovo.
Cosa e chi si cela dietro queste figure da triangolo pirandelliano?
La sostanza è indagata per tentativi in un trittico di autoritratti inediti di Francesco Lauretta realizzati all’incirca una decina di anni fa forse con l’incoscienza di chi non temeva di esporsi all’occhio più critico. Beffardo, quasi mefistofelico, il volto si smaterializza gradualmente come per irridere la nostra presunzione, quella di chi tutto sa e di chi accetta ossequiosamente stereotipi e modi comportamentali precostituiti come unica lex vitae.
Ma la realtà non si svela, o meglio, non in un’unica forma, è cangiante, mutevole, sfuggente, anche se l’uomo vorrebbe ingannarsi e ingannare gli altri, accettando il giuoco e assumendone le maschere.
I tre volti, vaporizzazioni di un’unica essenza, anelano, nella loro instabilità, il contrasto tra ciò che è dinanzi e ciò che si mostra. Lontano dal pittore Lauretta delle tele iper-concettualrealiste che conosciamo, con le note processioni, i funerali e le feste religiose, il disegnatore Lauretta è più tormentato e decadente, dal linearismo nervoso che impressiona la carta con entità altamente emotive, “schieliane”.
Giulia Caira, in continua ricerca del sé, si fotografa negandosi allo stesso tempo alla vista. Consapevole della dualità dell'esistenza, cerca un modello a cui tendere, una forma esemplificativa del suo essere, ma il risultato è sotto i nostri occhi: la perdita dell’identità è inevitabile in questa ricerca nel mascheramento, nell’illusione.
Vittima e complice di questo meccanismo perversamente fallimentare, esprime nella grande fotografia in bianco e nero, dal fascino ineguagliabile, tutta l’inquietudine, il disagio e l’angoscia che deriva da costanti contrapposte come il celare ed il mostrare, la realtà e la finzione, l’amore e il dolore…
L’atto del coprire le proprie nudità è un elemento chiave, simbolo di precarieta`, di insicurezza e di protezione allo stesso tempo a causa dell’incapacità di affrontare quei pregiudizi che la vita e la società impone, quei limiti che ormai sedimentati facevano parlare Arnold Gehlen di “società cristallizzata”, ove “le possibilità in essa insite hanno sviluppato tutte le loro risorse fondamentali. Sono state scoperte ed accettate anche tutte le contropossibilità e tutte le antitesi, di modo che ormai diviene sempre più improbabile operare modificazioni nelle premesse”.
La grande tela di Paolo Consorti, datata 2001, ha titolo sibillino, Idolo. A dispetto degli ultimi lavori, non abbiamo paesaggi dai colori acidi e fluorescenti abitati da branchi di umanoidi, ma ricorre un unico personaggio misterioso inguainato dentro una tuta candida, che evoca le atmosfere fantascientifiche di Tarkovskij. L’ambiente ovattato e indefinibile ci parla di una geografia altra, di difficile interpretazione.
Che si tratti di un mito antico o di una mistica presenza dei giorni nostri, è l’unico soggetto inconfutabilmente mascherato della mostra.
Gli artisti impegnati sono sicuramente eterogenei da un punto di vista stilistico, ma allo stesso tempo legati da quel disagio nei confronti dell’odierna comunità culturale, sempre più impegnata in progetti suggestivi e sempre meno attenta alle urgenze artistiche che gravitano attorno all’eterodosso sentir umano.
Monica Trigona
25
maggio 2006
Il giuoco delle parti
Dal 25 maggio al 10 luglio 2006
arte contemporanea
Location
GALLERIA DIEFFE
Torino, Via Porta Palatina, 9, (Torino)
Torino, Via Porta Palatina, 9, (Torino)
Orario di apertura
martedì e giovedì 11,30-15 mercoledì, venerdì e sabato 16-19,30
Vernissage
25 Maggio 2006, ore 18,30
Autore
Curatore