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Pedro Cano – Identità in transito
Cano presenta un ciclo di grandi immagini di uomini e di donne tutti di spalle, per lo piu’ in cammino
Comunicato stampa
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La mostra a Firenze è organizzata dall'Associazione Kromata e dalla Galleria Falteri in collaborazione con il Comune di Firenze e si avvale in catalogo di una introduzione di Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi. Parlando dell'opera di Pedro Cano il primo argomento che viene spontaneo affrontare è quello del Bello. Un concetto del quale in ogni tempo si sono date motivazioni e definizioni diverse relativamente alle differenti condizioni storiche e culturali, sempre, pero', nel segno dell'idea del bello come armonia dei contrari, la stessa idea che Paulhan, nel suo - Mensonge de l'Art-, ha cosi' bene espresso con le parole - unite' dans la diversite'-.
Pedro Cano e' un artista essenzialmente latino, forse sotto questo aspetto piu' italiano che spagnolo, che, come tale, possiede la capacità di fondere e armonizzare gli opposti, mettendo in atto una sottile strategia formale fino, talvolta, a un non celato estetismo che ha profonde motivazioni nelle sue propensioni e passioni letterarie. Ne è prova l'affinità elettiva da lui spesso evocata con Italo Calvino, un autore che ha prediletto fino a dedicargli un ampio ciclo di opere ispirate al celebre libro-Le città invisibili-.
Per Cano come per Calvino il pensiero ha bisogno di una forma, dunque della bellezza, dunque dell'avverarsi dell'armonia dei diversi. La produzione di Cano si accentra su tre temi: la natura, il paesaggio, la figura.
Nel primo si esaltano l'ebbrezza della percezione, la sensualità del segno, il sottile piacere indagatore della minima scena domestica, un particolare di giardino, una foglia, un lucore tra i rami, sempre guardati con lo stupore grato e devoto dell'ospite.
Nel secondo, i suoi occhi di nomade curioso del mondo guardano lontano spaziando dall'Europa all'Oriente, dallo Yemen al Giappone, da New York al monte Athos, dove l'andare si fa nuovo vedere. Nel terzo, la figura, tema insistito dei suoi studi all'Accademia di Belle Arti di Madrid e poi rivisitati in Italia con lo studio dei classici, Cano trova il banco di prova al quale affida la sua maturità di acuto osservatore delle forme e delle espressioni dell'uomo nel suo vivere e stare nel mondo.
Temi diversi ai quali Cano si avvicina con gesti e segni diversi, tutti tenuti insieme dall'unico e costante imperativo di dar forma e bellezza alle -meraviglie del mondo-, questo dice il suo lavoro, che il suo appassionato sguardo e la sua straordinaria tecnica ci permettono di scoprire.
A Firenze Cano presenta un ciclo di grandi immagini di uomini e di donne tutti di spalle, per lo piu' in cammino. Come scrive Lorenza Trucchi nella bella introduzione al catalogo --.un raccontare che si e' fatto volutamente disadorno-. Un dire concentrato ma non arido che esprime molto, pur abolendo la comunicazione del primo piano, dello sguardo, del sorriso, ovvero del volto-Ci basta del giovane ardito e frettoloso il vigoroso pedalare o della fanciulla il muoversi lieve della veste bianca nell'aria di primavera -uomini e donne che ci chiedono di seguirli senza pero' mai sorpassarli, in silenzio, ipnotizzati non tanto dal racconto che suggeriscono quanto dalla loro assertiva presenza, dall'essere soprattutto mirabili brani di pittura, portatori per sempre di un pensiero che si e' fatto forma- .
Parlando dell’opera di Pedro Cano il primo argomento che viene spontaneo affrontare è quello del Bello.
Un concetto del quale in ogni tempo si sono date motivazioni e definizioni diverse relativamente alle differenti condizioni storiche e culturali, sempre, però, nel segno dell’idea del bello come armonia dei contrari, la stessa idea che Paulhan, nel suo “Mensonge de l’Art”, ha così bene espresso con le parole “unité dans la diversité”.
Pedro Cano è un artista essenzialmente latino, forse sotto questo aspetto più italiano che spagnolo, che, come tale, possiede la capacità di fondere e armonizzare gli opposti, mettendo in atto una sottile strategia formale fino, talvolta, a un non celato estetismo che ha profonde motivazioni nelle sue propensioni e passioni letterarie.
Ne è prova l’affinità elettiva da lui spesso evocata con Italo Calvino, un autore che ha prediletto fino a dedicargli un ampio ciclo di opere ispirate al celebre libro“Le città invisibili”.
Per Cano come per Calvino il pensiero ha bisogno di una forma, dunque della bellezza, dunque dell’avverarsi dell’armonia dei diversi.
La produzione di Cano si accentra su tre temi: la natura, il paesaggio, la figura.
Nel primo si esaltano l’ebbrezza della percezione, la sensualità del segno, il sottile piacere indagatore della minima scena domestica, un particolare di giardino, una foglia, un lucore tra i rami, sempre guardati con lo stupore grato e devoto dell’ospite.
Nel secondo, i suoi occhi di nomade curioso del mondo guardano lontano spaziando dall’Europa all’Oriente, dallo Yemen al Giappone, da New York al monte Athos, dove l’andare si fa nuovo vedere.
Nel terzo, la figura, tema insistito dei suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Madrid e poi rivisitati in Italia con lo studio dei classici, Cano trova il banco di prova al quale affida la sua maturità di acuto osservatore delle forme e delle espressioni dell’uomo nel suo vivere e stare nel mondo.
Temi diversi ai quali Cano si avvicina con gesti e segni diversi, tutti tenuti insieme dall’unico e costante imperativo di dar forma e bellezza alle “meraviglie del mondo”, questo dice il suo lavoro, che il suo appassionato sguardo e la sua straordinaria tecnica ci permettono di scoprire.
Nella mostra di Roma Pedro Cano presenta un ciclo di grandi immagini di uomini e di donne tutti di spalle, per lo più in cammino. Come scrive Lorenza Trucchi nella bella introduzione in catalogo “…un raccontare che si è fatto volutamente disadorno….un dire concentrato ma non arido che esprime molto, pur abolendo la comunicazione del primo piano, dello sguardo, del sorriso, ovvero del volto…Ci basta del giovane ardito e frettoloso il vigoroso pedalare o della fanciulla il muoversi lieve della veste bianca nell’aria di primavera …uomini e donne che ci chiedono di seguirli senza però mai sorpassarli, in silenzio, ipnotizzati non tanto dal racconto che suggeriscono quanto dalla loro assertiva presenza, dall’essere soprattutto mirabili brani di pittura, portatori per sempre di un pensiero che si è fatto forma” .
***
Nell’ultima decade del Ventesimo secolo, una mattina di agosto, un avvenimento fino ad allora insolito conquistò i titoli di copertina dei mezzi d’informazione di tutta l’Europa.
Un’enorme e fatiscente nave era approdata nel porto di Bari stracolma di centinaia di cittadini albanesi, che avevano rischiato la vita per giorni in balia dell’Adriatico: come dichiararono le autorità italiane, infatti, era un miracolo che quell’ammasso di ferraglia non fosse colato a picco in mezzo al mare.
Data la difficoltà di rimpatriare o soccorrere i numerosi e inattesi ospiti, quella dantesca folla di passeggeri fu fatta sbarcare e trasportata nello stadio cittadino, dove per molti giorni e notti si tentò di organizzare il futuro dei nuovi arrivati.
La calura estiva, però, era al massimo e molti di loro, senza la possibilità di un riparo all’ombra, si disidratavano sotto il sole cocente.
I telegiornale e la stampa ci bombardavano con le drammatiche immagini della vita del campo di raccolta barese e ci riferivano che di notte molti albanesi scappavano da quell’inferno dirigendosi verso il Nord, in cerca di una vita migliore di quella che avevano lasciato nel loro Paese.
Io misi da parte diverse fotografie pubblicate da quotidiani e periodici, e quei ritagli mi servirono per elaborare sette disegni in bianco e nero che testimoniavano delle tremende difficoltà in cui si trovarono a vivere quei disperati venuti dal mare.
Questi lavori si trovavano nel mio atelier di Roma e li mostrai a un mio amico giornalista appena tornato dai Balcani, il quale si offrì di procurarmi un permesso speciale per andare in Bosnia, dove avrei potuto continuare il diario di dolore cominciato a Bari.
Decisi di non farlo. Misi i disegni in un cassetto e mi dedicai ad un altro lavoro . Ma il pensiero tornava di continuo a quell’episodio, e così un giorno, in un grande quaderno ancora intatto che avevo comprato molti anni prima a New York, iniziai a disegnare delle teste viste da dietro e a poco a poco passai a tracciare figure intere di uomini e donne sempre di spalle. E quando camminavo in una grande città, mi sentivo spettatore e allo stesso tempo parte di tutte quelle persone che uscivano dalle stazioni o percorrevano le strade trascinandosi dietro sacchi, biciclette, strumenti musicali o talvolta la loro solitudine come unico bagaglio.
Cominciai a pensare che in quella moltitudine avrebbero potuto esservi anche alcuni dei passeggeri della nave approdata a Bari, ma che anch’io sarei potuto sembrare uno di loro agli occhi di quella gente.
E mi misi a dipingere. Preparai tele alte due metri, dove potessero entrare figure intere che a poco a poco andarono formando una sorta di esercito di uomini e donne senza identità, tutti visti di schiena, ma che ci raccontavano attraverso i loro corpi e gesti l’esperienza della loro vita.
Usai colori grigi, bruni, a volte alternandoli con altri luminosi, sebbene l’intera serie abbia in generale un’atmosfera e una consistenza terrose.
In ogni modo, benché la spinta emotiva di questo progetto fosse molto forte, ho cercato di contenere il mio lavoro in una dimensione totalmente pittorica. E così di far coincidere un avvenimento umano con la sola cosa che ho tentato di fare ogni giorno da molti anni: dipingere.
Pedro Cano
Pedro Cano e' un artista essenzialmente latino, forse sotto questo aspetto piu' italiano che spagnolo, che, come tale, possiede la capacità di fondere e armonizzare gli opposti, mettendo in atto una sottile strategia formale fino, talvolta, a un non celato estetismo che ha profonde motivazioni nelle sue propensioni e passioni letterarie. Ne è prova l'affinità elettiva da lui spesso evocata con Italo Calvino, un autore che ha prediletto fino a dedicargli un ampio ciclo di opere ispirate al celebre libro-Le città invisibili-.
Per Cano come per Calvino il pensiero ha bisogno di una forma, dunque della bellezza, dunque dell'avverarsi dell'armonia dei diversi. La produzione di Cano si accentra su tre temi: la natura, il paesaggio, la figura.
Nel primo si esaltano l'ebbrezza della percezione, la sensualità del segno, il sottile piacere indagatore della minima scena domestica, un particolare di giardino, una foglia, un lucore tra i rami, sempre guardati con lo stupore grato e devoto dell'ospite.
Nel secondo, i suoi occhi di nomade curioso del mondo guardano lontano spaziando dall'Europa all'Oriente, dallo Yemen al Giappone, da New York al monte Athos, dove l'andare si fa nuovo vedere. Nel terzo, la figura, tema insistito dei suoi studi all'Accademia di Belle Arti di Madrid e poi rivisitati in Italia con lo studio dei classici, Cano trova il banco di prova al quale affida la sua maturità di acuto osservatore delle forme e delle espressioni dell'uomo nel suo vivere e stare nel mondo.
Temi diversi ai quali Cano si avvicina con gesti e segni diversi, tutti tenuti insieme dall'unico e costante imperativo di dar forma e bellezza alle -meraviglie del mondo-, questo dice il suo lavoro, che il suo appassionato sguardo e la sua straordinaria tecnica ci permettono di scoprire.
A Firenze Cano presenta un ciclo di grandi immagini di uomini e di donne tutti di spalle, per lo piu' in cammino. Come scrive Lorenza Trucchi nella bella introduzione al catalogo --.un raccontare che si e' fatto volutamente disadorno-. Un dire concentrato ma non arido che esprime molto, pur abolendo la comunicazione del primo piano, dello sguardo, del sorriso, ovvero del volto-Ci basta del giovane ardito e frettoloso il vigoroso pedalare o della fanciulla il muoversi lieve della veste bianca nell'aria di primavera -uomini e donne che ci chiedono di seguirli senza pero' mai sorpassarli, in silenzio, ipnotizzati non tanto dal racconto che suggeriscono quanto dalla loro assertiva presenza, dall'essere soprattutto mirabili brani di pittura, portatori per sempre di un pensiero che si e' fatto forma- .
Parlando dell’opera di Pedro Cano il primo argomento che viene spontaneo affrontare è quello del Bello.
Un concetto del quale in ogni tempo si sono date motivazioni e definizioni diverse relativamente alle differenti condizioni storiche e culturali, sempre, però, nel segno dell’idea del bello come armonia dei contrari, la stessa idea che Paulhan, nel suo “Mensonge de l’Art”, ha così bene espresso con le parole “unité dans la diversité”.
Pedro Cano è un artista essenzialmente latino, forse sotto questo aspetto più italiano che spagnolo, che, come tale, possiede la capacità di fondere e armonizzare gli opposti, mettendo in atto una sottile strategia formale fino, talvolta, a un non celato estetismo che ha profonde motivazioni nelle sue propensioni e passioni letterarie.
Ne è prova l’affinità elettiva da lui spesso evocata con Italo Calvino, un autore che ha prediletto fino a dedicargli un ampio ciclo di opere ispirate al celebre libro“Le città invisibili”.
Per Cano come per Calvino il pensiero ha bisogno di una forma, dunque della bellezza, dunque dell’avverarsi dell’armonia dei diversi.
La produzione di Cano si accentra su tre temi: la natura, il paesaggio, la figura.
Nel primo si esaltano l’ebbrezza della percezione, la sensualità del segno, il sottile piacere indagatore della minima scena domestica, un particolare di giardino, una foglia, un lucore tra i rami, sempre guardati con lo stupore grato e devoto dell’ospite.
Nel secondo, i suoi occhi di nomade curioso del mondo guardano lontano spaziando dall’Europa all’Oriente, dallo Yemen al Giappone, da New York al monte Athos, dove l’andare si fa nuovo vedere.
Nel terzo, la figura, tema insistito dei suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Madrid e poi rivisitati in Italia con lo studio dei classici, Cano trova il banco di prova al quale affida la sua maturità di acuto osservatore delle forme e delle espressioni dell’uomo nel suo vivere e stare nel mondo.
Temi diversi ai quali Cano si avvicina con gesti e segni diversi, tutti tenuti insieme dall’unico e costante imperativo di dar forma e bellezza alle “meraviglie del mondo”, questo dice il suo lavoro, che il suo appassionato sguardo e la sua straordinaria tecnica ci permettono di scoprire.
Nella mostra di Roma Pedro Cano presenta un ciclo di grandi immagini di uomini e di donne tutti di spalle, per lo più in cammino. Come scrive Lorenza Trucchi nella bella introduzione in catalogo “…un raccontare che si è fatto volutamente disadorno….un dire concentrato ma non arido che esprime molto, pur abolendo la comunicazione del primo piano, dello sguardo, del sorriso, ovvero del volto…Ci basta del giovane ardito e frettoloso il vigoroso pedalare o della fanciulla il muoversi lieve della veste bianca nell’aria di primavera …uomini e donne che ci chiedono di seguirli senza però mai sorpassarli, in silenzio, ipnotizzati non tanto dal racconto che suggeriscono quanto dalla loro assertiva presenza, dall’essere soprattutto mirabili brani di pittura, portatori per sempre di un pensiero che si è fatto forma” .
***
Nell’ultima decade del Ventesimo secolo, una mattina di agosto, un avvenimento fino ad allora insolito conquistò i titoli di copertina dei mezzi d’informazione di tutta l’Europa.
Un’enorme e fatiscente nave era approdata nel porto di Bari stracolma di centinaia di cittadini albanesi, che avevano rischiato la vita per giorni in balia dell’Adriatico: come dichiararono le autorità italiane, infatti, era un miracolo che quell’ammasso di ferraglia non fosse colato a picco in mezzo al mare.
Data la difficoltà di rimpatriare o soccorrere i numerosi e inattesi ospiti, quella dantesca folla di passeggeri fu fatta sbarcare e trasportata nello stadio cittadino, dove per molti giorni e notti si tentò di organizzare il futuro dei nuovi arrivati.
La calura estiva, però, era al massimo e molti di loro, senza la possibilità di un riparo all’ombra, si disidratavano sotto il sole cocente.
I telegiornale e la stampa ci bombardavano con le drammatiche immagini della vita del campo di raccolta barese e ci riferivano che di notte molti albanesi scappavano da quell’inferno dirigendosi verso il Nord, in cerca di una vita migliore di quella che avevano lasciato nel loro Paese.
Io misi da parte diverse fotografie pubblicate da quotidiani e periodici, e quei ritagli mi servirono per elaborare sette disegni in bianco e nero che testimoniavano delle tremende difficoltà in cui si trovarono a vivere quei disperati venuti dal mare.
Questi lavori si trovavano nel mio atelier di Roma e li mostrai a un mio amico giornalista appena tornato dai Balcani, il quale si offrì di procurarmi un permesso speciale per andare in Bosnia, dove avrei potuto continuare il diario di dolore cominciato a Bari.
Decisi di non farlo. Misi i disegni in un cassetto e mi dedicai ad un altro lavoro . Ma il pensiero tornava di continuo a quell’episodio, e così un giorno, in un grande quaderno ancora intatto che avevo comprato molti anni prima a New York, iniziai a disegnare delle teste viste da dietro e a poco a poco passai a tracciare figure intere di uomini e donne sempre di spalle. E quando camminavo in una grande città, mi sentivo spettatore e allo stesso tempo parte di tutte quelle persone che uscivano dalle stazioni o percorrevano le strade trascinandosi dietro sacchi, biciclette, strumenti musicali o talvolta la loro solitudine come unico bagaglio.
Cominciai a pensare che in quella moltitudine avrebbero potuto esservi anche alcuni dei passeggeri della nave approdata a Bari, ma che anch’io sarei potuto sembrare uno di loro agli occhi di quella gente.
E mi misi a dipingere. Preparai tele alte due metri, dove potessero entrare figure intere che a poco a poco andarono formando una sorta di esercito di uomini e donne senza identità, tutti visti di schiena, ma che ci raccontavano attraverso i loro corpi e gesti l’esperienza della loro vita.
Usai colori grigi, bruni, a volte alternandoli con altri luminosi, sebbene l’intera serie abbia in generale un’atmosfera e una consistenza terrose.
In ogni modo, benché la spinta emotiva di questo progetto fosse molto forte, ho cercato di contenere il mio lavoro in una dimensione totalmente pittorica. E così di far coincidere un avvenimento umano con la sola cosa che ho tentato di fare ogni giorno da molti anni: dipingere.
Pedro Cano
19
giugno 2008
Pedro Cano – Identità in transito
Dal 19 giugno al 02 agosto 2008
arte contemporanea
Location
PALAZZO VECCHIO
Firenze, Piazza Della Signoria, (Firenze)
Firenze, Piazza Della Signoria, (Firenze)
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 9.00 alle 19. Chiuso il lunedì
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