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Virgilio Patarini – Fiori di cemento
Con la nuova serie di opere dei “Fiori di cemento”, Virgilio Patarini presenta una tra le più suggestive declinazioni della sua ricerca artistica, esplorando ed aprendo un nuovo orizzonte sulle intuizioni che caratterizzavano i suoi precedenti lavori.
Comunicato stampa
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Virgilio Patarini
Un giardino di cemento
Torino, Galleria Ariele, 18 aprile – 7 maggio 2009
Di Davide Corsetti
Con la nuova serie di opere dei “Fiori di cemento”, Virgilio Patarini presenta una tra le più suggestive declinazioni della sua ricerca artistica, esplorando ed aprendo un nuovo orizzonte sulle intuizioni che caratterizzavano i suoi precedenti lavori. Dalla serie degli Ex-Libris a quelle dei Codici di Leonardo, Patarini affronta ed analizza il tema della comunicazione e del linguaggio nell’era contemporanea, tema che inevitabilmente lo avvicina ad artisti come Rauschenberg, Rotella ed Isgrò, ma dai quali si distacca più o meno decisamente sia per quanto riguarda i contenuti intellettuali e simbolici, sia per quanto concerne le scelte espressive, nelle quali ritroviamo sì, un’affinità ai Combine-paintings ed alle installazioni di Rauschenberg, ma anche una consapevole adesione e contaminazione con l’Action painting di Vedova e l’Informale di Fautrier. Nei lavori di Patarini l’operazione “Pop” è affascinante ed inusuale: il recupero infatti non è di immagini ed oggetti quotidiani, ma di frammenti di cultura antica e di simboli arcaici, tra i quali l’Uomo Vitruviano ed i disegni anatomici di Leonardo da Vinci, le pagine di romanzi di Dostoevskij, dell’Amleto di Shakespeare, delle tragedie greche, delle opere dell’iconografia cristiana; tutti frammenti di una cultura sulla quale si fonda e si articola il pensiero occidentale e che ancora influenzano, a tutti i livelli, la nostra società. Sfumatura raccolta e raccontata da Patarini che la rende conclamata, seppur conscio di doversi scontrare con la memoria e l’inconsapevolezza della cultura contemporanea, pigra e massificata da un lato e troppo evoluta dall’altro che, di quelle sue origini, non può che cogliere dei frammenti. Per questo nelle opere di Patarini vi è spesso una dialettica tra “oggetto citato” e “materia pittorica” (specie nella sua espressione più informale), che si legge nell’affiorare dei frammenti da un mare di materia informe, espressiva e gestuale - ottenuta plasmando cemento, carta, pittura e sperimentando materiali extrapittorici - elemento che aggiunge tensione e che racconta il tentativo dell’artista di conciliare questi due elementi opposti che pur tuttavia alternano i loro ruoli in un “gioco delle parti” in cui arcaico e contemporaneo si mescolano e si confondono in un suggestivo crogiuolo di passione e ragione, ordine e caos, rumore e silenzio, di Eros e Thanatos.
Ed è a questa poetica che appartengono, seppur con nuova formula d’indagine, le opere della serie dei “fiori di cemento” sulle quali la mostra pone l’attenzione, opere in cui la materia informale dialoga con un “oggetto-fiore” racchiuso in un’epidermide di cemento: un involucro abbastanza sottile da lasciarne leggibile la forma ed allo stesso tempo sufficiente ad ammutolirne l’essenza rinchiudendola nella propria materia. Un atto preservativo dunque, ma che proprio per questo motivo, non può fare a meno di renderne silenziosa la parte vitale. Ci si trova dunque di fronte ad uno stallo, un’impasse, eco forse di questi nostri tempi, che fanno sì che l’uomo faccia di tutto per celare la propria “essenza” per poterla preservare, per difenderla dall’azione, dall’atto che potrebbe corromperla o addirittura distruggerla. Si, perché a mio giudizio, più che parlare di una natura soffocata dal cemento, Patarini ci parla dell’uomo e della sua condizione nel mondo contemporaneo. Il fiore utilizzato infatti è la rosa, il cui significato simbolico è strettamente connesso sia alla passione umana, che alla simbologia cristiana del sangue del Dio incarnato: il fiore come simbolo dell’anima dell’uomo rinchiusa nel cemento. Tuttavia il paradosso che si avverte, passando in questo giardino di fiori silenziosi, è che li si può sentire. Forse perché, sotto il loro involucro e la loro forma, questi fiori esistono, pulsano e vivono. E forse è questo che Patarini con il suo giardino di simboli silenziosi vuole comunicarci: proprio come quei fiori, la cui essenza è ostaggio del cemento, l’essenza di ogni uomo vive ed esiste al di là della sua forma, un’essenza prigioniera del timore di mostrarsi e di mettersi in gioco, di rivelare il proprio autentico sentire e di agire di conseguenza.
Un giardino di cemento
Torino, Galleria Ariele, 18 aprile – 7 maggio 2009
Di Davide Corsetti
Con la nuova serie di opere dei “Fiori di cemento”, Virgilio Patarini presenta una tra le più suggestive declinazioni della sua ricerca artistica, esplorando ed aprendo un nuovo orizzonte sulle intuizioni che caratterizzavano i suoi precedenti lavori. Dalla serie degli Ex-Libris a quelle dei Codici di Leonardo, Patarini affronta ed analizza il tema della comunicazione e del linguaggio nell’era contemporanea, tema che inevitabilmente lo avvicina ad artisti come Rauschenberg, Rotella ed Isgrò, ma dai quali si distacca più o meno decisamente sia per quanto riguarda i contenuti intellettuali e simbolici, sia per quanto concerne le scelte espressive, nelle quali ritroviamo sì, un’affinità ai Combine-paintings ed alle installazioni di Rauschenberg, ma anche una consapevole adesione e contaminazione con l’Action painting di Vedova e l’Informale di Fautrier. Nei lavori di Patarini l’operazione “Pop” è affascinante ed inusuale: il recupero infatti non è di immagini ed oggetti quotidiani, ma di frammenti di cultura antica e di simboli arcaici, tra i quali l’Uomo Vitruviano ed i disegni anatomici di Leonardo da Vinci, le pagine di romanzi di Dostoevskij, dell’Amleto di Shakespeare, delle tragedie greche, delle opere dell’iconografia cristiana; tutti frammenti di una cultura sulla quale si fonda e si articola il pensiero occidentale e che ancora influenzano, a tutti i livelli, la nostra società. Sfumatura raccolta e raccontata da Patarini che la rende conclamata, seppur conscio di doversi scontrare con la memoria e l’inconsapevolezza della cultura contemporanea, pigra e massificata da un lato e troppo evoluta dall’altro che, di quelle sue origini, non può che cogliere dei frammenti. Per questo nelle opere di Patarini vi è spesso una dialettica tra “oggetto citato” e “materia pittorica” (specie nella sua espressione più informale), che si legge nell’affiorare dei frammenti da un mare di materia informe, espressiva e gestuale - ottenuta plasmando cemento, carta, pittura e sperimentando materiali extrapittorici - elemento che aggiunge tensione e che racconta il tentativo dell’artista di conciliare questi due elementi opposti che pur tuttavia alternano i loro ruoli in un “gioco delle parti” in cui arcaico e contemporaneo si mescolano e si confondono in un suggestivo crogiuolo di passione e ragione, ordine e caos, rumore e silenzio, di Eros e Thanatos.
Ed è a questa poetica che appartengono, seppur con nuova formula d’indagine, le opere della serie dei “fiori di cemento” sulle quali la mostra pone l’attenzione, opere in cui la materia informale dialoga con un “oggetto-fiore” racchiuso in un’epidermide di cemento: un involucro abbastanza sottile da lasciarne leggibile la forma ed allo stesso tempo sufficiente ad ammutolirne l’essenza rinchiudendola nella propria materia. Un atto preservativo dunque, ma che proprio per questo motivo, non può fare a meno di renderne silenziosa la parte vitale. Ci si trova dunque di fronte ad uno stallo, un’impasse, eco forse di questi nostri tempi, che fanno sì che l’uomo faccia di tutto per celare la propria “essenza” per poterla preservare, per difenderla dall’azione, dall’atto che potrebbe corromperla o addirittura distruggerla. Si, perché a mio giudizio, più che parlare di una natura soffocata dal cemento, Patarini ci parla dell’uomo e della sua condizione nel mondo contemporaneo. Il fiore utilizzato infatti è la rosa, il cui significato simbolico è strettamente connesso sia alla passione umana, che alla simbologia cristiana del sangue del Dio incarnato: il fiore come simbolo dell’anima dell’uomo rinchiusa nel cemento. Tuttavia il paradosso che si avverte, passando in questo giardino di fiori silenziosi, è che li si può sentire. Forse perché, sotto il loro involucro e la loro forma, questi fiori esistono, pulsano e vivono. E forse è questo che Patarini con il suo giardino di simboli silenziosi vuole comunicarci: proprio come quei fiori, la cui essenza è ostaggio del cemento, l’essenza di ogni uomo vive ed esiste al di là della sua forma, un’essenza prigioniera del timore di mostrarsi e di mettersi in gioco, di rivelare il proprio autentico sentire e di agire di conseguenza.
18
aprile 2009
Virgilio Patarini – Fiori di cemento
Dal 18 aprile al 07 maggio 2009
arte contemporanea
presentazione
presentazione
Location
GALLERIA ARIELE
Torino, Via Lauro Rossi, 9 c, (Torino)
Torino, Via Lauro Rossi, 9 c, (Torino)
Orario di apertura
dal martedì al sabato, ore 16-19,30
Vernissage
18 Aprile 2009, venerdì 17 aprile, ore 18
Presenta la mostra Paolo Levi
Autore
Curatore