Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Donato Frisia
Accurata antologica dedicata all’artista meratese che ha saputo interpretare i paesaggi della Brianza con intensità e commozione
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Si apre il 9 maggio prossimo a Imbersago nella sede della Fondazione Granata –Braghieri, una piccola, ma accurata antologica dedicata al grande artista Donato Frisia, che nacque a Merate nel 1883. In mostra paesaggi, dolcissimi ritratti femminili, tra i quali una splendida Caterina del 1920, e un austero autoritratto del 1902.
La mostra è curata da Marina Pizziolo, autrice delle ultime grandi monografie dedicate all’artista, nonché artefice della sua riscoperta critica.
Se, per vari motivi, il clima culturale non è stato favorevole a una serena lettura dell’opera di Frisia, sull’artista perlomeno non è gravato quell’inspiegabile oscuramento della memoria che si abbatte su tanti artisti e intellettuali nelle forme dell’anatema “nemo propheta in patria”. La città natale di Donato Frisia, Merate, ha saputo infatti negli anni farsi promotrice di varie iniziative, tese a ricordare l’artista e a stimolare gli studi critici sulla sua opera, costituendo nel desolante panorama delle tante memorie perdute un raro esempio di sensibilità e capacità organizzativa.
Già nel 1983, a Merate, a Villa Confalonieri, si celebrava infatti il centenario della nascita dell’artista con una mostra commemorativa che riproponeva Frisia all’attenzione dei suoi concittadini, soprattutto quelli delle nuove generazioni. Presentando la piccola monografia, l’assessore alla cultura di allora, Luigi Galbusera scriveva: “Certo non tutti sono critici d’arte, non tutti possono azzardare giudizi sulla tecnica pittorica, sulla scala cromatica e sullo stile impressionista o non che traspare nei quadri di Frisia. Ma forse tutti, per lo meno noi meratesi, dovremmo soffermarci un po’ di più ad osservare, interpretare, ammirare le opere di questo artista, di questo nostro artista, di uno che come noi ha contemplato il tramonto del sole dietro la collina di Montevecchia, di uno che come noi ha tanto amato il verde della Brianza, della sua terra, della nostra terra”.
Neanche dieci anni dopo, nel 1991, la Banca Briantea, di Merate, pubblicava a cura di Marina Pizziolo, una grande monografia dedicata all’artista, riproponendolo all’attenzione della critica e del pubblico nazionale. Mentre l’anno seguente si apriva, nelle belle sale di Palazzo Albini, sempre a Merate, un’antologica che ordinava più di un centinaio di dipinti di Frisia: antologica che conobbe poi una seconda battuta negli spazi di Palazzo Bandera, a Busto Arsizio.
L’impegno dell’amministrazione comunale di Merate nella difesa delle sue memorie artistiche si espresse ancora, nel 1998, nella creazione del Premio Donato Frisia, nato come omaggio a questo grande paesista, con l’intento di costituire un ideale osservatorio culturale per un genere, quello della pittura di paesaggio, che le profonde modificazioni del linguaggio artistico hanno trasformato da accademica riproduzione del vero in libera interpretazione mentale dello spazio. E infine nel 2003, sempre a Villa Confalonieri, a Merate, un’altra mostra voluta dall’amministrazione comunale per celebrare il cinquantesimo anniversario della morte di Frisia.
Oggi questa mostra, ordinata negli spazi della Fondazione Granata-Braghieri, vuole riproporre un grande artista che ha saputo interpretare i paesaggi della nostra Brianza con intensità e commozione. Un grande artista al quale Modigliani dedicò ben cinque ritratti, durante uno dei suoi tanti soggiorni a Parigi. Un artista che le giovani generazioni è giusto non dimentichino.
DONATO FRISIA
(Merate, 1883 -1953)
Nel secolo che è alle nostre spalle, che ha conosciuto la vertigine del bianco, lo squarcio della tela, l’arroganza del silenzio, l’invenzione del vuoto, è bello che ci sia stato posto anche per un artista come Donato Frisia.
Pur vivendo a contatto con i protagonisti della scena culturale del suo tempo, da Modigliani a De Chirico, da Picasso a Braque, Frisia ha compiuto in solitaria la sua traversata nei territori dell’arte, compiendo una scelta di campo netta. Alla traduzione delle forme della realtà in anagramma culturale, ha preferito l’antico, eterno confronto diretto con il vero, con la natura. Non solo. Ha scelto di percorrere quella strada pericolosa che attraversa i campi minati della bellezza, senza temere le insidie del pittoresco. E ha saputo perseguire questo suo obiettivo poetico, pur con grande virtuosismo, senza tradire le possibilità della pittura, anzi, sfruttando appieno le valenze di un linguaggio che ha nell’approssimazione del segno, nell’indeterminabile valore evocativo del colore, la forza della sua persuasione, la sua capacità di muovere il cuore. Come accade quando la pittura è sincero, fragile reperto della commozione di un uomo.
Frisia è stato un cantore del bello. “Il bello nel vero”: questo era il suo credo. La bellezza è l’argine elevato dalla natura contro il tempo, contro l’inarrestabile decomposizione del reale, contro quella forma di caos che ha il suo esito in quel ritorno all’indistinto che è la morte, intesa come farsi cosa della vita. La bellezza rappresenta l’unica antitesi all’algida perfezione delle macchine, così come l’azzardo del vero e il rigore del vero rappresentano una valida antitesi culturale alla gag estetica. La ricerca di Frisia è la ricerca di un confronto tra la propria esperienza emozionale del mondo e le leggi severe che regolano l’apparire della natura: forma, colore, luce, rapido e incessante divenire.
I paesaggi di Frisia riescono ancora oggi a essere attuali: perché esprimono la nostra voglia di poesia contro il tentacolare avanzare del costruito. Esprimono il nostro sogno di una natura intatta contro le irreversibili alterazioni del nostro ecosistema. Così come le sue nature morte esprimono la nostra aspirazione a una quieta bellezza, a un fermo immagine contro il fiume video che ci attraversa. Esprimono la nostra voglia di silenzio, inteso come dimenticata dimensione dell’ascolto, contro il frastuono multimediale in agguato.
La ricerca sulla forma della natura, intesa come forma del visibile, è soprattutto una ricerca sulla luce, sulla qualità della luce che appoggiandosi alle cose dà loro la vita del tempo. Ma è chiaro che, nel caso di Frisia, siamo lontani concettualmente dallo spirito che ha animato la ricerca impressionista, volta a una trascrizione dell’esperienza ottica che non presupponeva solo la riduzione della realtà alla sua percezione sensibile, ma mirava essenzialmente a riprodurre l’esperienza di tale percezione. Il linguaggio pittorico di Frisia, infatti, esibisce il suo approdo a una meditata plasticità, dove il profilo delle cose non è divorato dalla luce, in un’appassionata dichiarazione di fede nella realtà del visibile.
Le nature morte rappresentano il controcanto di questa indagine sulle cose. Se il paesaggio è il luogo dove il tempo trascorre, dove il colore vira sotto il vento dei minuti che passano, la natura morta è il luogo dove il tempo è raggelato nella compagine di una luminosità artificiale, che nella sua fissità strappa anche il turgore di un fiore dal flagello delle ore. Se nel paesaggio lo spazio sovrasta l’uomo, nella natura morta è l’uomo a crearne i confini. “Senza la suggestione delle lontananze”, di cui parlava Mario De Micheli, il soggetto è ribaltato in primo piano, si offre a una minuta analisi sul valore della sua presenza, sul suo significato formale. Ma nel caso di Frisia, pur nella persistenza dei soggetti, la ricerca non ha il valore di un esercizio formale: l’assaporata sensualità dei frutti, la forma indagata degli oggetti sono i termini di un’operazione estetica che vale come arresto del tempo, come protestata dimensione del silenzio.
Frisia è stato un grande artista, nonostante tutto, ancora sottovalutato. È stato un grande interprete della misteriosa presenza degli altri. Le sue figure, il racconto apparentemente pacato di volti e di corpi, strappa quegli uomini, quelle donne, quei bambini dalla voragine del tempo. I suoi autoritratti sono perentori assolo: il coraggioso tentativo di scivolare dietro lo specchio su cui si svolge l’apparenza del reale. I suoi paesaggi, che ignorano l’artificio, la graziosa messa in scena, ma indagano con sguardo implacabile ciò che è, sono in grado di restituirci una poesia severa, autentica. Le sue nature morte solo lontane dai poderosi solfeggi formali di Morandi, come dalle parate aristocratiche di begli oggetti. Sono il resoconto virile di un dettaglio del quotidiano, destinato altrimenti a dissolversi con l’appassire dei fiori, il marcire dei frutti o la rottura di quell’ordine casuale che ha assegnato momentaneamente agli oggetti più dimessi il ruolo di guardiani schierati lungo il filo di quell’orizzonte dietro il quale indoviniamo il buio.
Marina Pizziolo
Note biografiche
Donato Frisia nasce a Merate, il 30 agosto 1883. Fin da ragazzo, dà segni di quell’irrequietezza che sarà il tratto saliente del suo temperamento. In seguito ai continui contrasti col padre, che ostacola la sua decisione di iscriversi all’Accademia di Belle Arti, a sedici anni fugge di casa. Nel 1904 torna a Merate e finalmente l’anno successivo si iscrive a Brera, che frequenterà sotto la guida di Cesare Tallone, Camillo Boito ed Enrico Butti.
Nel 1910 espone per la prima volta alla Permanente, a Milano. È un vero successo per il giovane artista elogiato da Gaetano Previati, Angelo Morbelli e Vittore Grubicy.
Nel 1913 espone alla Quadriennale di Monaco di Baviera, mentre nel 1914 partecipa alla Biennale di Venezia, dove esporrà pressoché ininterrottamente fino al 1950.
Nel 1919 Frisia compie il suo primo viaggio a Parigi, dove nasce l’amicizia con Modigliani, testimoniata dai cinque ritratti che Modì eseguirà dell’amico. Durante questo primo soggiorno nella capitale francese Frisia frequenta anche Picasso e Braque.
A partire dal 1920 l’attività espositiva è molto intensa, sia in gallerie private, sia in musei: in Italia e in Europa.
Lunghi e frequenti negli anni trenta i soggiorni a Parigi, Londra, Vienna, e i viaggi in Africa e in Asia. Orio Vergani scrive: “Nei romanzi di Conrad c’è qualche tipo che assomiglia a Frisia”.
Nel 1940 alla seconda edizione del Premio Bergamo, ottiene il secondo premio, davanti a Renato Guttuso. Nel 1941 la Permanente organizza una grande antologica di Frisia. Nel 1942 una vera e propria investitura: una sala personale alla Biennale di Venezia.
Muore a Merate il 13 dicembre1953. Sul letto di morte ha ancora la forza di tracciare un ultimo autoritratto. Un ultimo disperato quesito sulle soglie del nulla.
Nel 1954 alla Galleria d’Arte Moderna di Milano si aprirà una grande mostra commemorativa. E due anni dopo a Roma, la Quadriennale gli dedicherà un’ampia retrospettiva. Il clima culturale del dopoguerra, con le sue contrapposizioni ideologiche, e poi i decenni di intensa sperimentazione non sono favorevoli allo studio dell’opera di Frisia. La sua riscoperta critica avverrà all’inizio degli anni novanta, quando la Banca Briantea di Merate patrocina una monografia che ricostruisce analiticamente l’intero percorso dell’artista. Le due grandi antologiche che verranno ordinate a Palazzo Albini, a Merate, e a Palazzo Bandera, a Busto Arsizio, tra il 1991 e il 1992, proporranno una rilettura dell’opera dell’artista. Da allora Frisia sarà puntualmente inserito nelle più importanti rassegne dedicate all’arte del novecento, accanto ai protagonisti di un secolo in cui trovano finalmente adeguata collocazione critica sia gli artisti che hanno sperimentato le infinite declinazioni formali, sia gli artisti che hanno continuato a sostenere una lettura realistica delle cose.
“Se Donato Frisia fosse nato a Parigi, oggi, l’Europa avrebbe un altro suo Utrillo”, scriveva Senesi. “Sventuratamente l’Italia, questo vivaio inesausto di artisti, è così fatta: che appena oggi, all’estero, si comincia a sapere che il nostro Ottocento ebbe alcuni grandi maestri della pittura”.
La mostra è curata da Marina Pizziolo, autrice delle ultime grandi monografie dedicate all’artista, nonché artefice della sua riscoperta critica.
Se, per vari motivi, il clima culturale non è stato favorevole a una serena lettura dell’opera di Frisia, sull’artista perlomeno non è gravato quell’inspiegabile oscuramento della memoria che si abbatte su tanti artisti e intellettuali nelle forme dell’anatema “nemo propheta in patria”. La città natale di Donato Frisia, Merate, ha saputo infatti negli anni farsi promotrice di varie iniziative, tese a ricordare l’artista e a stimolare gli studi critici sulla sua opera, costituendo nel desolante panorama delle tante memorie perdute un raro esempio di sensibilità e capacità organizzativa.
Già nel 1983, a Merate, a Villa Confalonieri, si celebrava infatti il centenario della nascita dell’artista con una mostra commemorativa che riproponeva Frisia all’attenzione dei suoi concittadini, soprattutto quelli delle nuove generazioni. Presentando la piccola monografia, l’assessore alla cultura di allora, Luigi Galbusera scriveva: “Certo non tutti sono critici d’arte, non tutti possono azzardare giudizi sulla tecnica pittorica, sulla scala cromatica e sullo stile impressionista o non che traspare nei quadri di Frisia. Ma forse tutti, per lo meno noi meratesi, dovremmo soffermarci un po’ di più ad osservare, interpretare, ammirare le opere di questo artista, di questo nostro artista, di uno che come noi ha contemplato il tramonto del sole dietro la collina di Montevecchia, di uno che come noi ha tanto amato il verde della Brianza, della sua terra, della nostra terra”.
Neanche dieci anni dopo, nel 1991, la Banca Briantea, di Merate, pubblicava a cura di Marina Pizziolo, una grande monografia dedicata all’artista, riproponendolo all’attenzione della critica e del pubblico nazionale. Mentre l’anno seguente si apriva, nelle belle sale di Palazzo Albini, sempre a Merate, un’antologica che ordinava più di un centinaio di dipinti di Frisia: antologica che conobbe poi una seconda battuta negli spazi di Palazzo Bandera, a Busto Arsizio.
L’impegno dell’amministrazione comunale di Merate nella difesa delle sue memorie artistiche si espresse ancora, nel 1998, nella creazione del Premio Donato Frisia, nato come omaggio a questo grande paesista, con l’intento di costituire un ideale osservatorio culturale per un genere, quello della pittura di paesaggio, che le profonde modificazioni del linguaggio artistico hanno trasformato da accademica riproduzione del vero in libera interpretazione mentale dello spazio. E infine nel 2003, sempre a Villa Confalonieri, a Merate, un’altra mostra voluta dall’amministrazione comunale per celebrare il cinquantesimo anniversario della morte di Frisia.
Oggi questa mostra, ordinata negli spazi della Fondazione Granata-Braghieri, vuole riproporre un grande artista che ha saputo interpretare i paesaggi della nostra Brianza con intensità e commozione. Un grande artista al quale Modigliani dedicò ben cinque ritratti, durante uno dei suoi tanti soggiorni a Parigi. Un artista che le giovani generazioni è giusto non dimentichino.
DONATO FRISIA
(Merate, 1883 -1953)
Nel secolo che è alle nostre spalle, che ha conosciuto la vertigine del bianco, lo squarcio della tela, l’arroganza del silenzio, l’invenzione del vuoto, è bello che ci sia stato posto anche per un artista come Donato Frisia.
Pur vivendo a contatto con i protagonisti della scena culturale del suo tempo, da Modigliani a De Chirico, da Picasso a Braque, Frisia ha compiuto in solitaria la sua traversata nei territori dell’arte, compiendo una scelta di campo netta. Alla traduzione delle forme della realtà in anagramma culturale, ha preferito l’antico, eterno confronto diretto con il vero, con la natura. Non solo. Ha scelto di percorrere quella strada pericolosa che attraversa i campi minati della bellezza, senza temere le insidie del pittoresco. E ha saputo perseguire questo suo obiettivo poetico, pur con grande virtuosismo, senza tradire le possibilità della pittura, anzi, sfruttando appieno le valenze di un linguaggio che ha nell’approssimazione del segno, nell’indeterminabile valore evocativo del colore, la forza della sua persuasione, la sua capacità di muovere il cuore. Come accade quando la pittura è sincero, fragile reperto della commozione di un uomo.
Frisia è stato un cantore del bello. “Il bello nel vero”: questo era il suo credo. La bellezza è l’argine elevato dalla natura contro il tempo, contro l’inarrestabile decomposizione del reale, contro quella forma di caos che ha il suo esito in quel ritorno all’indistinto che è la morte, intesa come farsi cosa della vita. La bellezza rappresenta l’unica antitesi all’algida perfezione delle macchine, così come l’azzardo del vero e il rigore del vero rappresentano una valida antitesi culturale alla gag estetica. La ricerca di Frisia è la ricerca di un confronto tra la propria esperienza emozionale del mondo e le leggi severe che regolano l’apparire della natura: forma, colore, luce, rapido e incessante divenire.
I paesaggi di Frisia riescono ancora oggi a essere attuali: perché esprimono la nostra voglia di poesia contro il tentacolare avanzare del costruito. Esprimono il nostro sogno di una natura intatta contro le irreversibili alterazioni del nostro ecosistema. Così come le sue nature morte esprimono la nostra aspirazione a una quieta bellezza, a un fermo immagine contro il fiume video che ci attraversa. Esprimono la nostra voglia di silenzio, inteso come dimenticata dimensione dell’ascolto, contro il frastuono multimediale in agguato.
La ricerca sulla forma della natura, intesa come forma del visibile, è soprattutto una ricerca sulla luce, sulla qualità della luce che appoggiandosi alle cose dà loro la vita del tempo. Ma è chiaro che, nel caso di Frisia, siamo lontani concettualmente dallo spirito che ha animato la ricerca impressionista, volta a una trascrizione dell’esperienza ottica che non presupponeva solo la riduzione della realtà alla sua percezione sensibile, ma mirava essenzialmente a riprodurre l’esperienza di tale percezione. Il linguaggio pittorico di Frisia, infatti, esibisce il suo approdo a una meditata plasticità, dove il profilo delle cose non è divorato dalla luce, in un’appassionata dichiarazione di fede nella realtà del visibile.
Le nature morte rappresentano il controcanto di questa indagine sulle cose. Se il paesaggio è il luogo dove il tempo trascorre, dove il colore vira sotto il vento dei minuti che passano, la natura morta è il luogo dove il tempo è raggelato nella compagine di una luminosità artificiale, che nella sua fissità strappa anche il turgore di un fiore dal flagello delle ore. Se nel paesaggio lo spazio sovrasta l’uomo, nella natura morta è l’uomo a crearne i confini. “Senza la suggestione delle lontananze”, di cui parlava Mario De Micheli, il soggetto è ribaltato in primo piano, si offre a una minuta analisi sul valore della sua presenza, sul suo significato formale. Ma nel caso di Frisia, pur nella persistenza dei soggetti, la ricerca non ha il valore di un esercizio formale: l’assaporata sensualità dei frutti, la forma indagata degli oggetti sono i termini di un’operazione estetica che vale come arresto del tempo, come protestata dimensione del silenzio.
Frisia è stato un grande artista, nonostante tutto, ancora sottovalutato. È stato un grande interprete della misteriosa presenza degli altri. Le sue figure, il racconto apparentemente pacato di volti e di corpi, strappa quegli uomini, quelle donne, quei bambini dalla voragine del tempo. I suoi autoritratti sono perentori assolo: il coraggioso tentativo di scivolare dietro lo specchio su cui si svolge l’apparenza del reale. I suoi paesaggi, che ignorano l’artificio, la graziosa messa in scena, ma indagano con sguardo implacabile ciò che è, sono in grado di restituirci una poesia severa, autentica. Le sue nature morte solo lontane dai poderosi solfeggi formali di Morandi, come dalle parate aristocratiche di begli oggetti. Sono il resoconto virile di un dettaglio del quotidiano, destinato altrimenti a dissolversi con l’appassire dei fiori, il marcire dei frutti o la rottura di quell’ordine casuale che ha assegnato momentaneamente agli oggetti più dimessi il ruolo di guardiani schierati lungo il filo di quell’orizzonte dietro il quale indoviniamo il buio.
Marina Pizziolo
Note biografiche
Donato Frisia nasce a Merate, il 30 agosto 1883. Fin da ragazzo, dà segni di quell’irrequietezza che sarà il tratto saliente del suo temperamento. In seguito ai continui contrasti col padre, che ostacola la sua decisione di iscriversi all’Accademia di Belle Arti, a sedici anni fugge di casa. Nel 1904 torna a Merate e finalmente l’anno successivo si iscrive a Brera, che frequenterà sotto la guida di Cesare Tallone, Camillo Boito ed Enrico Butti.
Nel 1910 espone per la prima volta alla Permanente, a Milano. È un vero successo per il giovane artista elogiato da Gaetano Previati, Angelo Morbelli e Vittore Grubicy.
Nel 1913 espone alla Quadriennale di Monaco di Baviera, mentre nel 1914 partecipa alla Biennale di Venezia, dove esporrà pressoché ininterrottamente fino al 1950.
Nel 1919 Frisia compie il suo primo viaggio a Parigi, dove nasce l’amicizia con Modigliani, testimoniata dai cinque ritratti che Modì eseguirà dell’amico. Durante questo primo soggiorno nella capitale francese Frisia frequenta anche Picasso e Braque.
A partire dal 1920 l’attività espositiva è molto intensa, sia in gallerie private, sia in musei: in Italia e in Europa.
Lunghi e frequenti negli anni trenta i soggiorni a Parigi, Londra, Vienna, e i viaggi in Africa e in Asia. Orio Vergani scrive: “Nei romanzi di Conrad c’è qualche tipo che assomiglia a Frisia”.
Nel 1940 alla seconda edizione del Premio Bergamo, ottiene il secondo premio, davanti a Renato Guttuso. Nel 1941 la Permanente organizza una grande antologica di Frisia. Nel 1942 una vera e propria investitura: una sala personale alla Biennale di Venezia.
Muore a Merate il 13 dicembre1953. Sul letto di morte ha ancora la forza di tracciare un ultimo autoritratto. Un ultimo disperato quesito sulle soglie del nulla.
Nel 1954 alla Galleria d’Arte Moderna di Milano si aprirà una grande mostra commemorativa. E due anni dopo a Roma, la Quadriennale gli dedicherà un’ampia retrospettiva. Il clima culturale del dopoguerra, con le sue contrapposizioni ideologiche, e poi i decenni di intensa sperimentazione non sono favorevoli allo studio dell’opera di Frisia. La sua riscoperta critica avverrà all’inizio degli anni novanta, quando la Banca Briantea di Merate patrocina una monografia che ricostruisce analiticamente l’intero percorso dell’artista. Le due grandi antologiche che verranno ordinate a Palazzo Albini, a Merate, e a Palazzo Bandera, a Busto Arsizio, tra il 1991 e il 1992, proporranno una rilettura dell’opera dell’artista. Da allora Frisia sarà puntualmente inserito nelle più importanti rassegne dedicate all’arte del novecento, accanto ai protagonisti di un secolo in cui trovano finalmente adeguata collocazione critica sia gli artisti che hanno sperimentato le infinite declinazioni formali, sia gli artisti che hanno continuato a sostenere una lettura realistica delle cose.
“Se Donato Frisia fosse nato a Parigi, oggi, l’Europa avrebbe un altro suo Utrillo”, scriveva Senesi. “Sventuratamente l’Italia, questo vivaio inesausto di artisti, è così fatta: che appena oggi, all’estero, si comincia a sapere che il nostro Ottocento ebbe alcuni grandi maestri della pittura”.
09
maggio 2009
Donato Frisia
Dal 09 al 24 maggio 2009
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE GRANATA – BRAGHIERI
Imbersago, Vicolo Chiuso , 6, (Lecco)
Imbersago, Vicolo Chiuso , 6, (Lecco)
Orario di apertura
giovedì e venerdì 16.30-18.30, sabato e domenica 10-12 e 15-19
Vernissage
9 Maggio 2009, ore 18.30
Autore
Curatore