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Tamara Ferioli – Spine
Tamara Ferioli nasce a Legnano (MI). Nel 2004-2005 frequenta l’Ecole des Beaux Arts de Lyon. Nel 2006 si diploma presso il dipartimento di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Vive e lavora a Milano.
Comunicato stampa
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Tamara Ferioli ha un lessico del tutto suo .
Eppure il suo lessico è particolare. In via di definizione continua, molto più aggressivo e saprogeno del necessario, enormemente più evoluto e malleato, costante nella sua modificazione e crescita. Posso parlare del suo blocco di cera porosa. Ma per quanto? Questo è veloce nell’accogliere le forze che lo modificano. E così, in questo periodo di viscosa, assoluta e pervicace fluidità della cera di Ferioli, assistiamo alla ribalta di alcune istanze basilari.
L’albero (di Tamara Ferioli) è divenuto il luogo del secretum. Del secreto. Che non è solo un oggetto, indefinito ad ora, celato ed inarrivato. Ma anche una secrezione, un liquido interiore ed embrionale, che viene sprigionato con vigore e per necessità. La resina appiccicosa e violenta, talvolta. Oppure un giardino, non necessariamente inaccessibile, che non ha segno evidente sulle mappe di questa terra. Che viene mantenuto nell’oblio della conoscenza perché ancora inesplorabile.
Il valore della segretezza è duplice: dell’oggetto mantenuto segreto e dell’oggetto, cavillo, espediente, utilizzato per mantenerlo tale.
Una maschera è tesa a rappresentare una realtà non veritiera. Eppure assolutamente concreta e tastabile. Perché ci mascheriamo da Blumari? Nella flessuosità dell’albero della memoria si trova il motivo del mascheramento. Ed anche la spiegazione della sua natura. In quella cera deforme trovano allocazione i capelli e le tracce di vino. Le sommesse maschere di ogni suo nascondimento.
Ma il valore della segretezza non è solo duplice è triplice: infatti spesso è inconoscibile il luogo entro il quale si spedisce, senza mezzi termini, l’oggetto segreto. Dove porta il vortice nero della maschera? In quale misterica dimensione si trovano i volti coperti da tracce pilifere? Dove sopravvive, se lo fa, la parola cancellata? Dove svanisce il volto mascherato? Sei dunque sincero ed onesto, convinto infine, di quale parte dimensionale abbia la meglio nel nascondimento?
E così, lungo la traccia semantica del celare, che non è privazione quanto nascondimento e negazione agli occhi, si orienta il suo lessico. Un percorso modulato che arriva, in questa fase, al dolore, anche direttamente fisico prima che spirituale. Un sentimento pungente e costante. Quelle spine che si conficcano nella pelle, che la tagliuzzano e la lacerano, la infastidiscono ma non la uccidono. Il fiotto di sangue si apre tra le labbra del taglio, scende lungo i declivi della derma e dove trova pendenze accelera gravitazionalmente sino al terreno, dove trova depressioni si ferma, come nei palmi o nei lombi.
Quel nugolo di spine che sono affisse ai rami delle forbici, ma, inspiegabilmente e d’improvviso, pungono anche di loro volontà. Non solo spine e forbici. Ma anche forchette che trafiggono il terreno ed ingabbiano. Il lungo pentagramma compilato del micro-dolore di Ferioli è tutta una puntura. Un dolore sopportabile ma persistente. Un fiotto di sangue che macchia, per sempre, quella cera delebile.
Nella memoria si situa l’afflizione spirituale. Quel malessere che a lungo è stato rappresentato attraverso le maggiori calamità mentali dell’uomo. Noia. Perdizione. Smembramento. Apolidismo. Depressione. Inettitudine. Emarginazione. Reclusione e trattenimento. Le forchette, quelle gabbie imperfette ma resistenti, imprigionano senza scampo. Emanano dai loro punteruoli un’aura invalicabile. È il dolore dello spirito. È l’impossibilità frustrante del non potere.
Eppure il suo lessico è particolare. In via di definizione continua, molto più aggressivo e saprogeno del necessario, enormemente più evoluto e malleato, costante nella sua modificazione e crescita. Posso parlare del suo blocco di cera porosa. Ma per quanto? Questo è veloce nell’accogliere le forze che lo modificano. E così, in questo periodo di viscosa, assoluta e pervicace fluidità della cera di Ferioli, assistiamo alla ribalta di alcune istanze basilari.
L’albero (di Tamara Ferioli) è divenuto il luogo del secretum. Del secreto. Che non è solo un oggetto, indefinito ad ora, celato ed inarrivato. Ma anche una secrezione, un liquido interiore ed embrionale, che viene sprigionato con vigore e per necessità. La resina appiccicosa e violenta, talvolta. Oppure un giardino, non necessariamente inaccessibile, che non ha segno evidente sulle mappe di questa terra. Che viene mantenuto nell’oblio della conoscenza perché ancora inesplorabile.
Il valore della segretezza è duplice: dell’oggetto mantenuto segreto e dell’oggetto, cavillo, espediente, utilizzato per mantenerlo tale.
Una maschera è tesa a rappresentare una realtà non veritiera. Eppure assolutamente concreta e tastabile. Perché ci mascheriamo da Blumari? Nella flessuosità dell’albero della memoria si trova il motivo del mascheramento. Ed anche la spiegazione della sua natura. In quella cera deforme trovano allocazione i capelli e le tracce di vino. Le sommesse maschere di ogni suo nascondimento.
Ma il valore della segretezza non è solo duplice è triplice: infatti spesso è inconoscibile il luogo entro il quale si spedisce, senza mezzi termini, l’oggetto segreto. Dove porta il vortice nero della maschera? In quale misterica dimensione si trovano i volti coperti da tracce pilifere? Dove sopravvive, se lo fa, la parola cancellata? Dove svanisce il volto mascherato? Sei dunque sincero ed onesto, convinto infine, di quale parte dimensionale abbia la meglio nel nascondimento?
E così, lungo la traccia semantica del celare, che non è privazione quanto nascondimento e negazione agli occhi, si orienta il suo lessico. Un percorso modulato che arriva, in questa fase, al dolore, anche direttamente fisico prima che spirituale. Un sentimento pungente e costante. Quelle spine che si conficcano nella pelle, che la tagliuzzano e la lacerano, la infastidiscono ma non la uccidono. Il fiotto di sangue si apre tra le labbra del taglio, scende lungo i declivi della derma e dove trova pendenze accelera gravitazionalmente sino al terreno, dove trova depressioni si ferma, come nei palmi o nei lombi.
Quel nugolo di spine che sono affisse ai rami delle forbici, ma, inspiegabilmente e d’improvviso, pungono anche di loro volontà. Non solo spine e forbici. Ma anche forchette che trafiggono il terreno ed ingabbiano. Il lungo pentagramma compilato del micro-dolore di Ferioli è tutta una puntura. Un dolore sopportabile ma persistente. Un fiotto di sangue che macchia, per sempre, quella cera delebile.
Nella memoria si situa l’afflizione spirituale. Quel malessere che a lungo è stato rappresentato attraverso le maggiori calamità mentali dell’uomo. Noia. Perdizione. Smembramento. Apolidismo. Depressione. Inettitudine. Emarginazione. Reclusione e trattenimento. Le forchette, quelle gabbie imperfette ma resistenti, imprigionano senza scampo. Emanano dai loro punteruoli un’aura invalicabile. È il dolore dello spirito. È l’impossibilità frustrante del non potere.
22
maggio 2009
Tamara Ferioli – Spine
Dal 22 maggio al 03 luglio 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA GOETHE2
Bolzano, Via Dei Cappuccini, 26A, (Bolzano)
Bolzano, Via Dei Cappuccini, 26A, (Bolzano)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì ore 15.30 - 19.30
sabato ore 10.00 - 12.30
Vernissage
22 Maggio 2009, ore 19.00
Autore