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Raffaele Bova – Io ero presente
La mostra articolata in fasi tematiche, illustra un rapido excursus sulla ricerca di Raffaele Bova. Ai visitatori viene chiesto di apportare un contributo alla realizzazione dell’opera, attraverso i propri codici, numeri, simboli, in una sorta di “autoritratto senza specchio”.
Comunicato stampa
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Sin dagli inizi della sua attività,Raffaele Bova ha continuato a “fare il suo mestiere” che è quello di dipingere in maniera provocatoria.
In un primo tempo, il tema più caro è stato quello dei rifiuti che utilizzò come soggetto in molte mostre e per lungo tempo ancora, fino alla paradossalità di inserirli in un’opera di grande dimensione composta per una “chietta” di Battenti per la Madonna dell’Arco, vale a dire in un’opera di soggetto sacro.
La scelta dell’ “operare estetico nel sociale”e l’adesione al Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro accentuarono il gusto della satira violenta attraverso la pittura e la scultura.
Lo sguardo si spostò però verso un’altra forma di “produzione di rifiuti”che era quello della plutocrazia: prendendo a soggetto la lira (in sostanza, il più bistrattato ma anche il più sconosciuto degli strumenti di consumo e produzione di rifiuti) realizzò moltissimi interventi e ipotizzò moltissime costruzioni, prime fra tutte un enorme monumento caduco, da costruire in legno ed, eventualmente, da distruggere o bruciare.
L’attualità dei nostri tempi suggerisce facilmente la lungimiranza delle scelte e l’opportunità delle denunce ma obbliga anche a prendere atto che non si è fatto niente (e forse niente era possibile fare) per evitare le conseguenze che il consumismo e l’incuria del problema dei rifiuti hanno prodotto, specialmente in area campana: in sostanza, solo dopo trent’anni, gli eventi degli ultimi mesi hanno dimostrato che la scelta era stata giusta e che l’indicazione era opportuna, ma ancora il problema resta lì, nascosto sotto il tappeto e tutto da risolvere.
Successivamente, ha spostato l’attenzione sull’annullamento dell’individualità nei “codici di identificazione”: il senso delle personalità perdute, dell’omologazione che annienta, della perdita totale di qualunque elemento di identificabilità è fin troppo chiaro nella serie dedicata ai “codici a barre”; ma finisce per travolgere tutti quei sistemi che omologano gli individui e li riducono a numeri e sigle, negli uffici come nella vita privata, nelle anticamere d’ospedale o semplicemente nelle code alla posta.
Anche in questo caso si ha la sensazione di una “vox clamantis in deserto” per dire agli altri quello che gli altri fanno finta di non sentire.
Comunque tenace fino alla testardaggine, trent’anni dopo, con lo stesso spirito (che in fondo non aveva mai abbandonato), Raffaele Bova è ritornato all’attività di animazione, sollecitato anche da un gruppo di giovani operatori di Aversa e dalla facoltà di Architettura che intanto in questa città è sorta.
Assumendo stavolta una posizione separata, quasi da suggeritore, ha preparato dieci tele di medio formato sulle quali aveva trascritto la scritta “.it” che dava l’abbrivio alla manifestazione.
Sulle tele sono stati invitati a segnare la propria matricola, il codice fiscale o l’indirizzo internet tutti gli studenti e i docenti della facoltà, a cominciare dal direttore; fedele a certe tradizioni, Bova ha fatto diffondere un volantino illustrativo della manifestazione:
Nel corso degli anni Settanta,uno dei modi attraverso i quali gli artisti entravano in contatto con la realtà era certamente quello dell “operare estetico nel sociale” che proponeva una funzione decisamente politica dell’arte ed una capacità dell’artista (anzi, dell’ “operare estetico”) di proporsi come testimone non marginale né passivo degli eventi rispetto ai quali proponeva modelli, forme e strategie di intervento.
Nel corso degli anni, queste competenze sono via via passate a strutture meno specifiche o creative, come possono essere quelle dell’arte; e sono invece diventate patrimonio più diffuso della società e delle sue strutture, a cominciare da quelle scolastiche.
Difatti, gli happenings, le performances, le invenzioni estemporanee e creative sono diventate appannaggio (sempre più spesso) dei gruppi politici che le hanno largamente utilizzate nei cortei, nelle manifestazioni di protesta, insomma nelle attività pubbliche.
Addirittura, negli stadi la creatività si è espressa attraverso tutti i linguaggi possibili e praticabili, da quelli vocali a quelli scritti, dal disegno alla riproduzione fotografica.
Nelle scuole, poi, la sollecitazione didattica della creatività ha dato luogo a manifestazioni fondamentali che una volta apparivano “follie da artista”.
Il compito degli artisti –almeno di quelli che dalle esperienze dell’operare estetico nel sociale hanno preso le radici e i modi di esprimersi- è diventato allora quello di desumere dalla realtà le sollecitazioni e trasformarle in gesto estetico, con un percorso all’apparenza opposto a quello precedente ma in realtà con esiti altrettanto significativi.
Tra gli artisti che, in Terra di Lavoro, si sono distinti in questo genere di attività, Raffaele Bova ha avuto un ruolo sicuramente di primissima importanza, considerata la connotazione di denuncia politica che i suoi interventi hanno posseduto in maniera esplicita sin dalle primissime iniziative: per tutte, basterebbe l’insistenza quasi ossessiva sui rifiuti come base della società e dell’attività artistica (fino a celebrarla in un’opera di ispirazione religiosa) e la quasi maniacale utilizzazione della lira (la moneta-fantasma di quegli anni) per denunciare una condizione di asservimento al mercato e alla plutocrazia.
La “scoperta” dei codici a barre come sistema di cancellazione della personalità, dell’individualità, dell’unicità degli individui è, in qualche modo, una conseguenza logica del percorso.
Nasce dalla realtà, anche stavolta; ed anche in questo caso vale come indicazione estetica nel sociale.
Ma stavolta fa leva e si avvale del lavoro didattico per dare forza al discorso, per cui non è più l’artista a proporre l’indicazione, ma sono soprattutto gli altri (la scuola, la società) a vivere con lui la denuncia che l’attività esprime.
E forse è il passo avanti più importante per un linguaggio che, dopo trent’anni, potrebbe apparire obsoleto o ripetitivo: ma che, a ben guardare, risulta sempre (tragicamente) vero ed attuale.
Perché i problemi esistono e premono sull’uomo.
Alla fine, ha provveduto a scoprire le scritte –che erano state coperte con nastro adesivo colorato col bianco del fondo- e le opere così costruite sono state raccolte per una mostra.
In sostanza, l’idea che dai “rifiuti quotidiani” si sia passati a una sorta di “rifiuti sociali” diventa intrigante e forse preoccupante –alla luce anche dei tagli che nei posti di lavoro e specialmente nella pubblica amministrazione si operano quotidianamente e impunemente- per la semplice considerazione che, in una “economia di mercato globale” l’uomo finisce per contare meno degli oggetti che produce e dei rifiuti che ne derivano.
E, sulla lunga distanza, l’ipotesi non suggerisce l’ottimismo che talora viene sbandierato ma considerazioni molto più amare.
I tempi sono sicuramente cambiati e l’impegno sociale (ma anche politico) degli artisti può apparire “fuori moda”; ma è proprio il concetto di “moda” che deve preoccupare chi guarda alla cultura come a un territorio di indagine e non un luogo di produzione per il consumo.
Enzo di Grazia
A cura di "Ottantuno"
In un primo tempo, il tema più caro è stato quello dei rifiuti che utilizzò come soggetto in molte mostre e per lungo tempo ancora, fino alla paradossalità di inserirli in un’opera di grande dimensione composta per una “chietta” di Battenti per la Madonna dell’Arco, vale a dire in un’opera di soggetto sacro.
La scelta dell’ “operare estetico nel sociale”e l’adesione al Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro accentuarono il gusto della satira violenta attraverso la pittura e la scultura.
Lo sguardo si spostò però verso un’altra forma di “produzione di rifiuti”che era quello della plutocrazia: prendendo a soggetto la lira (in sostanza, il più bistrattato ma anche il più sconosciuto degli strumenti di consumo e produzione di rifiuti) realizzò moltissimi interventi e ipotizzò moltissime costruzioni, prime fra tutte un enorme monumento caduco, da costruire in legno ed, eventualmente, da distruggere o bruciare.
L’attualità dei nostri tempi suggerisce facilmente la lungimiranza delle scelte e l’opportunità delle denunce ma obbliga anche a prendere atto che non si è fatto niente (e forse niente era possibile fare) per evitare le conseguenze che il consumismo e l’incuria del problema dei rifiuti hanno prodotto, specialmente in area campana: in sostanza, solo dopo trent’anni, gli eventi degli ultimi mesi hanno dimostrato che la scelta era stata giusta e che l’indicazione era opportuna, ma ancora il problema resta lì, nascosto sotto il tappeto e tutto da risolvere.
Successivamente, ha spostato l’attenzione sull’annullamento dell’individualità nei “codici di identificazione”: il senso delle personalità perdute, dell’omologazione che annienta, della perdita totale di qualunque elemento di identificabilità è fin troppo chiaro nella serie dedicata ai “codici a barre”; ma finisce per travolgere tutti quei sistemi che omologano gli individui e li riducono a numeri e sigle, negli uffici come nella vita privata, nelle anticamere d’ospedale o semplicemente nelle code alla posta.
Anche in questo caso si ha la sensazione di una “vox clamantis in deserto” per dire agli altri quello che gli altri fanno finta di non sentire.
Comunque tenace fino alla testardaggine, trent’anni dopo, con lo stesso spirito (che in fondo non aveva mai abbandonato), Raffaele Bova è ritornato all’attività di animazione, sollecitato anche da un gruppo di giovani operatori di Aversa e dalla facoltà di Architettura che intanto in questa città è sorta.
Assumendo stavolta una posizione separata, quasi da suggeritore, ha preparato dieci tele di medio formato sulle quali aveva trascritto la scritta “.it” che dava l’abbrivio alla manifestazione.
Sulle tele sono stati invitati a segnare la propria matricola, il codice fiscale o l’indirizzo internet tutti gli studenti e i docenti della facoltà, a cominciare dal direttore; fedele a certe tradizioni, Bova ha fatto diffondere un volantino illustrativo della manifestazione:
Nel corso degli anni Settanta,uno dei modi attraverso i quali gli artisti entravano in contatto con la realtà era certamente quello dell “operare estetico nel sociale” che proponeva una funzione decisamente politica dell’arte ed una capacità dell’artista (anzi, dell’ “operare estetico”) di proporsi come testimone non marginale né passivo degli eventi rispetto ai quali proponeva modelli, forme e strategie di intervento.
Nel corso degli anni, queste competenze sono via via passate a strutture meno specifiche o creative, come possono essere quelle dell’arte; e sono invece diventate patrimonio più diffuso della società e delle sue strutture, a cominciare da quelle scolastiche.
Difatti, gli happenings, le performances, le invenzioni estemporanee e creative sono diventate appannaggio (sempre più spesso) dei gruppi politici che le hanno largamente utilizzate nei cortei, nelle manifestazioni di protesta, insomma nelle attività pubbliche.
Addirittura, negli stadi la creatività si è espressa attraverso tutti i linguaggi possibili e praticabili, da quelli vocali a quelli scritti, dal disegno alla riproduzione fotografica.
Nelle scuole, poi, la sollecitazione didattica della creatività ha dato luogo a manifestazioni fondamentali che una volta apparivano “follie da artista”.
Il compito degli artisti –almeno di quelli che dalle esperienze dell’operare estetico nel sociale hanno preso le radici e i modi di esprimersi- è diventato allora quello di desumere dalla realtà le sollecitazioni e trasformarle in gesto estetico, con un percorso all’apparenza opposto a quello precedente ma in realtà con esiti altrettanto significativi.
Tra gli artisti che, in Terra di Lavoro, si sono distinti in questo genere di attività, Raffaele Bova ha avuto un ruolo sicuramente di primissima importanza, considerata la connotazione di denuncia politica che i suoi interventi hanno posseduto in maniera esplicita sin dalle primissime iniziative: per tutte, basterebbe l’insistenza quasi ossessiva sui rifiuti come base della società e dell’attività artistica (fino a celebrarla in un’opera di ispirazione religiosa) e la quasi maniacale utilizzazione della lira (la moneta-fantasma di quegli anni) per denunciare una condizione di asservimento al mercato e alla plutocrazia.
La “scoperta” dei codici a barre come sistema di cancellazione della personalità, dell’individualità, dell’unicità degli individui è, in qualche modo, una conseguenza logica del percorso.
Nasce dalla realtà, anche stavolta; ed anche in questo caso vale come indicazione estetica nel sociale.
Ma stavolta fa leva e si avvale del lavoro didattico per dare forza al discorso, per cui non è più l’artista a proporre l’indicazione, ma sono soprattutto gli altri (la scuola, la società) a vivere con lui la denuncia che l’attività esprime.
E forse è il passo avanti più importante per un linguaggio che, dopo trent’anni, potrebbe apparire obsoleto o ripetitivo: ma che, a ben guardare, risulta sempre (tragicamente) vero ed attuale.
Perché i problemi esistono e premono sull’uomo.
Alla fine, ha provveduto a scoprire le scritte –che erano state coperte con nastro adesivo colorato col bianco del fondo- e le opere così costruite sono state raccolte per una mostra.
In sostanza, l’idea che dai “rifiuti quotidiani” si sia passati a una sorta di “rifiuti sociali” diventa intrigante e forse preoccupante –alla luce anche dei tagli che nei posti di lavoro e specialmente nella pubblica amministrazione si operano quotidianamente e impunemente- per la semplice considerazione che, in una “economia di mercato globale” l’uomo finisce per contare meno degli oggetti che produce e dei rifiuti che ne derivano.
E, sulla lunga distanza, l’ipotesi non suggerisce l’ottimismo che talora viene sbandierato ma considerazioni molto più amare.
I tempi sono sicuramente cambiati e l’impegno sociale (ma anche politico) degli artisti può apparire “fuori moda”; ma è proprio il concetto di “moda” che deve preoccupare chi guarda alla cultura come a un territorio di indagine e non un luogo di produzione per il consumo.
Enzo di Grazia
A cura di "Ottantuno"
08
ottobre 2010
Raffaele Bova – Io ero presente
Dall'otto al 28 ottobre 2010
arte contemporanea
Location
STUDIO UNO
Caserta, Viale Carlo III Km 22.300, (Caserta)
Caserta, Viale Carlo III Km 22.300, (Caserta)
Orario di apertura
da lunedì a domenica ore 09-00
Vernissage
8 Ottobre 2010, ore 21.00
Autore
Curatore