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Tim White – Sobieski The Memory Prism
Glenda Cinquegrana Art Consulting è lieta di presentare The Memory Prism, la prima personale italiana che la galleria dedica all’artista visivo, filmmaker, designer e architetto americano Tim White-Sobieski. L’esposizione, a cura di Glenda Cinquegrana, costituisce una combinazione unica di fotografi
Comunicato stampa
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La mostra invita i visitatori ad esplorare la connessione profonda che esiste fra la mente umana, la storia, la responsabilità delle nostre azioni presenti sulle future generazioni. Al cuore dell’esposizione si trova la storia di una teenager, che ha appena cominciato a prendere coscienza del suo ruolo nel mondo. Attraverso i suoi occhi, comprendiamo il potere delle storie e il loro impatto sulla nostra percezione della Storia, a livello personale e collettivo. Le opere in mostra, che invitano i visitatori a riflettere sulle loro esperienze personali e le loro connessioni con il passato, rispecchiano il complesso delle relazioni fra l’individuo e la storia. Le sculture in acciaio inossidabile verniciate a specchio ricoprono un ruolo importante all’interno dell’esposizione, riflettendo e rifrangendo la luce in modo da sottolineare il tema centrale della mostra: esse mostrano, infatti che la nostra riflessione sul passato, le nostre azioni e le nostre scelte hanno un impatto sul nostro presente e sul futuro delle future generazioni. Le sculture specchianti sono strategicamente collocate all’interno della mostra per riflettere la luce, sottolineando come la fotografia sia il medium privilegiato della luce, ma anche della riflessione e dell’analisi.
Le installazioni luminose, invece, sono progettate all’interno dello spazio espositivo per creare un ambiente immersivo, che incoraggia il visitatore a interagire con i lavori secondo molteplici livelli. Le serie fotografiche servono come illustrazioni dei modi attraverso i quali la nostra percezione della storia è forgiata dalle storie che raccontiamo e le responsabilità che abbiamo nei confronti delle generazioni future. La luce dei lavori crea un ambiente dinamico e in continuo cambiamento, che invita i visitatori ad interagire con gli spazi espositivi in modi nuovi e stimolanti.
Alla base di questo scenario si trova il termine autoriflessione, che riassume da un lato il tema della mostra in termini filosofici, dall’altro le caratteristiche fisiche delle sculture in acciaio collocate in mostra. Da un lato l’autoriflessione all’interno di un contesto filosofico si riferisce all’atto di introspezione, o di presa in esame dei propri pensieri, emozioni e comportamenti. Questo atteggiamento è spesso associato con il pensiero critico e l’analisi, che avviene quando gli individui si impegnano nel processo di autovalutazione, in modo acquisire una maggiore consapevolezza di loro stessi e del loro ruolo nel mondo. Dall’altro, le sculture in acciaio inossidabile verniciate a specchio servono a produrre, nella mostra, una riflessione letterale nello spettatore. Quando si guarda a queste sculture, la propria immagine ne è riflessa. Questo, quando lo spettatore si confronta con la rappresentazione diretta di se stesso, serve come potente strumento di autoriflessione.
Nella mostra, l’uso del materiale specchiante aggiunge un altro livello lettura al termine autoriflessione, legato al fatto che l’acciaio inossidabile è verniciato a specchio fino ad ottenere un alto livello di brillantezza. Poiché le sculture si fanno metafora del processo di pulire e rifinire se stessi attraverso il processo di introspezione e autovalutazione, il materiale prescelto enfatizza l’idea della autoriflessione ulteriormente.
In sintesi, il gioco di parole fra il termine filosofico di autoriflessione e l’effetto specchiante delle sculture in acciaio verniciato a specchio crea nella mostra una connessione potente e stimolante fra le idee contenute nei lavori e i modi in cui i visitatori percepiscono le opere nel contesto espositivo: usando le superfici specchianti per creare una rappresentazione fisica del concetto di autoriflessione, l’esposizione invita il pubblico ad impegnarsi ad un livello più profondo nel processo di auto esplorazione e di introspezione.
È interessante osservare che il concetto che è alla base della serie fotografica Confession dedicata al tema della pubertà e dell’adolescenza sia ripreso dagli studi di Jean Baudrillard, filosofo francese e sociologo, noto per i suoi libri sulla natura della realtà dei media e la cultura dei consumi. Nel contesto della mostra fotografica la prima citazione di Baudrillard fa riferimento un’idea di fotografia, che pure quando è presentata come realista o documentaria è sempre una costruzione basata sulla realtà, piuttosto che come un puro atto di rappresentazione. Baudrillard, infatti, osserva che la fotografia non cattura l’essenza della realtà, ma al contrario di focalizza su quello che non dovrebbe essere, come la realtà della sofferenza. Questo accade perché la fotografia come tutti i media sono prodotti della cultura e della società che li produce. Quindi, riflette costantemente i valori le credenze, le minacce dei suoi creatori e del pubblico.
In questo caso all’interno della mostra, le fotografie, realizzate secondo la modalità costruita (staged), presentano circostanze non-reali della vita, anche se sono presentate come fossero documentarie. Questo stempera la linea di confine fra la realtà e la finzione, e sottolinea la natura costruita (staged) della rappresentazione fotografica.
La seconda frase citata da Baudrillard si focalizza, invece sull’idea che la fotografia sia emersa come medium tecnologico dell’era industriale, quando la realtà ha cominciato a scomparire: se la realtà è diventata mediata e mercificata, allora la fotografia è emersa per catturare e riprodurre quella realtà in una nuova forma, ovvero l’immagine.
Ad ogni modo, Baudrillard suggerisce che il processo di catturare la realtà in immagini non sia semplicemente una risposta alla sparizione della realtà, ma un fattore scatenante di questo processo. L’atto trasformativo della realtà in immagine, suggerisce il filosofo, ha permesso di mutarla e trasformarla in qualcosa di nuovo. In una forma di analogia visuale, così come nei lavori Confessions Awakening and Closer to fall e altri lavori di queste serie fotografiche, secondo i principi enunciati da Baudrillard suggeriscono che le fotografie costruite (staged) non siano solo una rappresentazione della realtà ma una sua mutazione. Le immagini non solo catturano l’essenza della realtà ma nel momento in cui piuttosto creano qualcosa di nuovo a partire dai materiali grezzi della realtà. In questo modo, la mostra sfida le nostre nozioni precostituite sulla fotografia e la sua relazione con la realtà. Tim White-Sobieski rivela la sua cultura filosofica, che si riflette nella natura dei lavori. White-Sobieski sostiene che la mente giovane nell’età dell’adolescenza sia nella posizione di percepire il mondo con occhi nuovi, libera dai pregiudizi e dai preconcetti dell’esperienza. La mostra costituisce una celebrazione di questo punto di vista, e del potere dell’arte di impegnarci una riflessione filosofica soddisfacente.
Le installazioni luminose, invece, sono progettate all’interno dello spazio espositivo per creare un ambiente immersivo, che incoraggia il visitatore a interagire con i lavori secondo molteplici livelli. Le serie fotografiche servono come illustrazioni dei modi attraverso i quali la nostra percezione della storia è forgiata dalle storie che raccontiamo e le responsabilità che abbiamo nei confronti delle generazioni future. La luce dei lavori crea un ambiente dinamico e in continuo cambiamento, che invita i visitatori ad interagire con gli spazi espositivi in modi nuovi e stimolanti.
Alla base di questo scenario si trova il termine autoriflessione, che riassume da un lato il tema della mostra in termini filosofici, dall’altro le caratteristiche fisiche delle sculture in acciaio collocate in mostra. Da un lato l’autoriflessione all’interno di un contesto filosofico si riferisce all’atto di introspezione, o di presa in esame dei propri pensieri, emozioni e comportamenti. Questo atteggiamento è spesso associato con il pensiero critico e l’analisi, che avviene quando gli individui si impegnano nel processo di autovalutazione, in modo acquisire una maggiore consapevolezza di loro stessi e del loro ruolo nel mondo. Dall’altro, le sculture in acciaio inossidabile verniciate a specchio servono a produrre, nella mostra, una riflessione letterale nello spettatore. Quando si guarda a queste sculture, la propria immagine ne è riflessa. Questo, quando lo spettatore si confronta con la rappresentazione diretta di se stesso, serve come potente strumento di autoriflessione.
Nella mostra, l’uso del materiale specchiante aggiunge un altro livello lettura al termine autoriflessione, legato al fatto che l’acciaio inossidabile è verniciato a specchio fino ad ottenere un alto livello di brillantezza. Poiché le sculture si fanno metafora del processo di pulire e rifinire se stessi attraverso il processo di introspezione e autovalutazione, il materiale prescelto enfatizza l’idea della autoriflessione ulteriormente.
In sintesi, il gioco di parole fra il termine filosofico di autoriflessione e l’effetto specchiante delle sculture in acciaio verniciato a specchio crea nella mostra una connessione potente e stimolante fra le idee contenute nei lavori e i modi in cui i visitatori percepiscono le opere nel contesto espositivo: usando le superfici specchianti per creare una rappresentazione fisica del concetto di autoriflessione, l’esposizione invita il pubblico ad impegnarsi ad un livello più profondo nel processo di auto esplorazione e di introspezione.
È interessante osservare che il concetto che è alla base della serie fotografica Confession dedicata al tema della pubertà e dell’adolescenza sia ripreso dagli studi di Jean Baudrillard, filosofo francese e sociologo, noto per i suoi libri sulla natura della realtà dei media e la cultura dei consumi. Nel contesto della mostra fotografica la prima citazione di Baudrillard fa riferimento un’idea di fotografia, che pure quando è presentata come realista o documentaria è sempre una costruzione basata sulla realtà, piuttosto che come un puro atto di rappresentazione. Baudrillard, infatti, osserva che la fotografia non cattura l’essenza della realtà, ma al contrario di focalizza su quello che non dovrebbe essere, come la realtà della sofferenza. Questo accade perché la fotografia come tutti i media sono prodotti della cultura e della società che li produce. Quindi, riflette costantemente i valori le credenze, le minacce dei suoi creatori e del pubblico.
In questo caso all’interno della mostra, le fotografie, realizzate secondo la modalità costruita (staged), presentano circostanze non-reali della vita, anche se sono presentate come fossero documentarie. Questo stempera la linea di confine fra la realtà e la finzione, e sottolinea la natura costruita (staged) della rappresentazione fotografica.
La seconda frase citata da Baudrillard si focalizza, invece sull’idea che la fotografia sia emersa come medium tecnologico dell’era industriale, quando la realtà ha cominciato a scomparire: se la realtà è diventata mediata e mercificata, allora la fotografia è emersa per catturare e riprodurre quella realtà in una nuova forma, ovvero l’immagine.
Ad ogni modo, Baudrillard suggerisce che il processo di catturare la realtà in immagini non sia semplicemente una risposta alla sparizione della realtà, ma un fattore scatenante di questo processo. L’atto trasformativo della realtà in immagine, suggerisce il filosofo, ha permesso di mutarla e trasformarla in qualcosa di nuovo. In una forma di analogia visuale, così come nei lavori Confessions Awakening and Closer to fall e altri lavori di queste serie fotografiche, secondo i principi enunciati da Baudrillard suggeriscono che le fotografie costruite (staged) non siano solo una rappresentazione della realtà ma una sua mutazione. Le immagini non solo catturano l’essenza della realtà ma nel momento in cui piuttosto creano qualcosa di nuovo a partire dai materiali grezzi della realtà. In questo modo, la mostra sfida le nostre nozioni precostituite sulla fotografia e la sua relazione con la realtà. Tim White-Sobieski rivela la sua cultura filosofica, che si riflette nella natura dei lavori. White-Sobieski sostiene che la mente giovane nell’età dell’adolescenza sia nella posizione di percepire il mondo con occhi nuovi, libera dai pregiudizi e dai preconcetti dell’esperienza. La mostra costituisce una celebrazione di questo punto di vista, e del potere dell’arte di impegnarci una riflessione filosofica soddisfacente.
07
aprile 2023
Tim White – Sobieski The Memory Prism
Dal 07 aprile al 03 giugno 2023
arte contemporanea
Location
GLENDA CINQUEGRANA ART CONSULTING
Milano, via Luigi Settembrini, 17, (Milano)
Milano, via Luigi Settembrini, 17, (Milano)
Orario di apertura
dal martedì al sabato, dalle 15.00-19.00
Vernissage
6 Aprile 2023, ore 18.30
Sito web
Autore
Curatore