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Se ti pianto, tu germogli? L’installazione del collettivo damp a Napoli
Progetti e iniziative
Il 3 marzo 2023 è stata inaugurata, nella Sala Circolare de L’Arsenale di Napoli, a Palazzo Fondi, l’installazione Niyo-dan ibe falewan? del collettivo damp. L’opera interpreta in modo inedito la richiesta, fatta a tutti gli artisti invitati ad esporre in questa sala, di esprimersi attraverso un dialogo trai due monitor nello spazio architettonico che li contiene.
Il collettivo damp nasce come progetto non intenzionale nel 2017 dall’incontro di Alessandro Armento, Luisa de Donato, Viviana Marchiò, Adriano Ponte, che hanno individuato lo spazio – reale e virtuale – come territorio neutro in cui far dialogare le diverse singolarità. L’interesse per la natura temporanea delle cose fa sì che la ricerca del collettivo si intersechi spesso con i mondi della fisica, della biologia e dell’informatica, nel tentativo di concatenare la dimensione concettuale a quella estetica. Il gruppo non si ritiene di matrice ideologica/politica, anzi, esso tenta di sottrarsi a ogni affermazione nella propria produzione. Questo principio di irresolutezza si è negli anni manifestato insieme a uno spiccato interesse per il dialogo con la specificità dei luoghi.
Il titolo Niyo-dan ibe falewan? è una frase in lingua Bambara (uno degli idiomi più diffusi dell’Africa Occidentale, in particolare in Mali) che, letteralmente, si traduce in italiano con “se ti pianto, tu germogli?”. Si tratta di una espressione tradizionale che viene utilizzata in Bambara ancora oggi per chiedere un favore. La semplice domanda fatta da un individuo ad un altro scaturisce da una stretta relazione e determina una conseguenza molto complessa. La frase viene generalmente usata per chiedere un impegno che non può essere negato: essa presuppone un contenuto molto importante per il richiedente, che innesca quindi la curiosità dell’interlocutore; questi, in virtù della propria curiosità, accetta l’impegno al quale non potrà più sottrarsi pur non conoscendo ancora l’effettiva richiesta.
Si tratta di una reminiscenza simbolica di una cultura prodotta da una civiltà, l’impero Bambara, esistito in Africa occidentale quasi negli stessi anni (1712-1861) del regno borbonico di Napoli. Il contesto evocato dalla frase scaturisce dall’economia prevalentemente agricola dei Bambara e dal fatto che l’autorità traesse origine dalla terra.
Nell’opera del collettivo damp, la domanda si ripete e concretizza nel dialogo continuo tra i due monitor posti l’uno di fronte all’altro. Questo scambio cromatico permanente genera nel centro, sulla superfice bianca, un prodotto nuovo, frutto di questa relazione apparentemente bloccata in un impasse. Questo piccolo rettangolo sospeso rappresenta il risultato di uno scambio circolare, è la configurazione di qualcosa che è germogliato e che apre, verso lo spettatore che osserva, un infinito mondo di possibilità. Dall’incertezza della domanda, rimbalzata tra i protagonisti della scena, scaturisce un tangibile simbolo di speranza, un esempio reale di inclusività tra culture apparentemente così distanti, come quella partenopea e quella maliana, a testimonianza della storica attitudine ad accogliere e a rispettare la diversità.