-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Alla Galleria Gracis, le inattese visioni di Paolo Mussat Sartor
Mostre
Un mondo denso e inteso, connesso a un mondo vero, ma pieno di un’ispirazione poetica che sembra sollevare l’aspetto latente del reale, rendendo visibile l’invisibile. Immagini dall’intimità, si potrebbe dire parafrasando Jorge Luis Borges: «La vecchia mano / ancora traccia versi, / versi dall’oblio». Immagini che si caratterizzano per una qualità di articolazione lirica delle componenti, dove tutto – i soggetti, la luce, l’armonia della composizione – concorre a creare un paesaggio dalla sconfinata polisemia.
La prima personale milanese nei propri spazi che la Galleria Gracis, in collaborazione con la galleria Photo & Contemporary di Torino, dedica fino all’1 giugno al noto autore Paolo Mussat Sartor (Torino, 1947), è un viaggio nella zona di confine inafferrabile tra fotografia e pittura, in uno spazio che si rivela interstiziale rispetto a categorie pre-esistenti.
Testimone ed interprete dei momenti salienti dell’evoluzione artistica dell’Arte Povera e della scena internazionale dell’arte moderna e contemporanea, ma anche raffinato e colto protagonista nell’ambito della fotografia di ricerca, l’artista espone in questa occasione 26 stampe fotografiche di grande e medio formato ai sali d’argento con interventi pittorici con pigmenti a olio realizzate tra il 1992 e il 2005. Tutti esemplari unici tratti dalle serie delle Figure (2001-2005), delle Rose (1991-1992), delle Gambe (1992-1993), degli Asimmetrici (1999-2000) e dei Paesaggi (anni ’80 e ’90). Tutti frammenti autosufficienti di un’unica esperienza che non conosce soluzione di continuità tra arte e vita.
La fotografia di Mussat Sartor risulta seducente e incantatoria. Che si tratti di corpi femminili, rose, vedute o scorci di città misteriose, il risultato è l’irruzione sulla scena di un linguaggio che non si nega all’intreccio e all’osmosi ma anzi, ne cerca la tensione e il confronto. E proprio grazie a quel dialogo, in quella mescolanza, diventa fautore di onirismo e magia.
Se la padronanza nell’impiego dei corpi, visibile nella serie delle Figure, li colloca in un rassicurante territorio del bello di reminiscenza vagamente classica, la dissoluzione dei contorni delle gambe, raccolte nell’omonima serie, rivela il carattere insondabile, finanche impalpabile, dell’oggetto del desiderio. E se i fiori appartenenti alla serie delle Rose sembrano dare risalto a una realtà tutta scoperta e disponibile, per contro le storture degli Asimmetrici paiono intenzionalmente opporsi alla dittatura delle immagini.
È in questa dialettica, nella perpetua alternanza di caos e cosmo, che l’artista compie la sua indagine, cercando il lato nascosto che si annida nelle pieghe dell’esistenza umana. È da questa prospettiva che cristallizza i piccoli paesaggi mediterranei o i soggetti architettonici che completano la mostra e che, ricchi di interventi a pennello, costringono le spettatore a guardare e riguardare, invitandolo a mettere in discussione il proprio modo di vedere.
«Con Mussat Sartor la fotografia insomma abbandona la propria caratteristica identitaria, derivata da una tecnica precedente e ipostatica per porsi invece come un inedito spazio creativo attraverso il quale evocare nuovi umori e identità potenziali dell’immagine», ha scritto il critico Andrea Bellini nel 2006 nel catalogo della sua antologica alla GAM di Torino.