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Spazio Giallo Interiors di Roma compie un anno: intervista a Carolina Levi
Progetti e iniziative
“Quel che viene per restare” è la mostra, il percorso emozionale e interdisciplinare tra arte, design, musica e danza che anima Spazio Giallo per tre giorni a partire da giovedì, 4 maggio, aprendosi a nuove storie e a nuovi protagonisti nel segno della traccia e dell’impronta, parole chiave che segnano il fil rouge di opere e performance del palinsesto pensato come un’indagine collettiva su un ipotetico nuovo Giardino dell’Eden dentro un caos meraviglioso. Abbiamo colto l’occasione per intervistare Carolina Levi, fondatrice e anima del progetto.
Come definiresti Spazio Giallo Interiors?
«Da subito ho pensato a Spazio Giallo come un luogo, una dimensione vitale, piena di allegria e di colore, dove la ricerca di oggetti, creazioni ed eventi tra arte, design e performance fosse accurata e meticolosa. Ogni oggetto, ogni creazione doveva raccontare una storia. Allo stesso tempo, volevo uno spazio dal respiro collettivo, corale, audace e multidisciplinare. Un laboratorio dove ci si mette all’ascolto degli altri e, chi arriva, torna a casa con un bagaglio di intuizioni ed emozioni».
Qual è il tuo profilo professionale e come nasce l’idea di Spazio Giallo?
«Mi definisco un’agente del bello, amo mettere insieme profili e professionisti che vanno dall’arte al design passando per le performance. Credo nella cultura che diventa estro creativo. Il fatto che io arrivi dal cinema e dal teatro, e che abbia poi iniziato a coltivare la passione per l’arte e l’interior, rende il mondo di Spazio Giallo poliedrico ed eterogeneo. La mia idea di casa può partire da una poltrona di antiquariato o da una consolle contemporanea, che poi diventano gli ingredienti da sciogliere in uno spazio originale e interiore, espressione della propria memoria e della propria personalità. Credo che a Roma sia difficile trovare uno spazio di questo tipo, che coltiva la libertà e la trasversalità. Uno spazio che si nutre e nutre il mondo di bellezza. In questa sua unicità, Spazio Giallo ha spiccato il volo credendo nei talenti che ospita e in cui crede, dando loro una ribalta».
Come mai la scelta di Roma e, in particolare, di Trastevere?
«Innanzitutto Roma è la mia città. È qui che da bambina mi sono emozionata vedendo proiettato “Umberto D.” di Vittorio De Sica al Pantheon, negli stessi luoghi dove era stato girato. Quella suggestione mi è rimasta dentro e mi ha portato a voler realizzare nel cuore della città quella cosa che è Spazio Giallo. La mia Trastevere, però, non è quella dei percorsi turistici classici, ma un luogo magico fatto di stratificazioni e di realtà antiche. Siamo a pochi passi da Regina Coeli, dalla Casa delle Donne e da realtà giovanissime come Zalib, il centro culturale pieno di fermenti nato dalla chiusura di una storica libreria indipendente».
Qual è il bilancio a un anno dall’apertura?
«Esistere, resistere, essere accolta con così tanto amore che ancora non ci credo. E cercare, piano piano, come sta accadendo, di spostare il punto di vista, anche di poco, di quelli che passano da Spazio Giallo».
Veniamo al progetto odierno, “Quel che viene per restare?” Come lo definiresti e come lo hai pensato?
«La mostra esprime tutta la voglia e il bisogno di capire come permanere in questo caos meraviglioso, in un pianeta che va ripensato, tra guerre e problematiche ambientali e questioni identitarie: chi siamo, come vogliamo ripensarci? Con quali valori e idee? Il concept nasce dall’incontro con Litografia Bulla e Ala D’Amico, dall’idea di un lavoro fatto a mano pensato e fatto per lasciare una traccia. Da lì la voglia di riscrivere, con gioia e allegria, un pezzetto del nuovo mondo che tutti dovremmo provare a immaginare…».
“Quel che viene per restare” riunisce come in una polifonia di voci una selezione di artisti e designer per offrire una visione stratificata del contemporaneo attraverso punti di vista su temi quanto mai necessari. Chi sono gli artisti e i designer invitati?
«La mostra riunisce profili di artisti, designer e performer dalla ricerca distintiva, creativi che nel loro mondo di riferimento parlano con una voce chiara e netta. Non amo citare qualcuno a discapito degli altri e preferisco rinviare al palinsesto. Voglio però sottolineare l’importanza del fattore umano: come dice Claudia Campone, designer in mostra, “Ciò che viene per restare nelle nostre avventure umane sono spesso persone, oggetti e luoghi in divenire, la cui evoluzione non è in nostro controllo ma nascosta nel momento presente per rivelarsi in un futuro immediato”».
La rassegna prevede tre giorni di talk e performance. Qual è il calendario e cosa prevede?
«Per l’opening, il 4 maggio, abbiamo pensato al terzo appuntamento di Spazio Giallo Editions, la rassegna di talk pensata insieme a Paolo Casicci, giornalista, content curator e nostro collaboratore. Diamo la parola a Luca Boffi Alberonero, un artista ipercontemporaneo che negli anni è passato da un “linguaggio Pantone” che diventa urban art a una ricerca legata alla riforestazione e alle questioni climatiche. A presentarlo sarà una curatrice come Emilia Giorgi che da tempo ha fatto di questi temi un oggetto d’indagine. Avremo un programma ricco di performance che riunisce in tre giorni eccellenze come Matilde Sambo, Miniera, Noemi Piva, Eleonora Tempesta, Sara Chinetti, Francesca Heart, China Wow, Manuela Spartà, Alessandro Marzi e Claudio Giovannesi».
Il dibattito su cosa differenzia l’arte dal design è complesso e va avanti da molti anni. Quale è esattamente la differenza tra arte e design?
«Credo che da quando i confini tra questi due mondi sono diventati molto più fluidi, artisti e designer si sentano più liberi di considerarsi ora l’una ora l’altra cosa. Grande rispetto va alle gallerie che li mettono in contatto e fanno dialogare. Come è successo a noi, spazio libero, di avere artisti sempre on consignement dai galleristi che hanno per noi creato collezioni di Interior».
Alcuni designer si considerano degli artisti, ma pochi artisti si considerano dei designer. Sei d’accordo? Come mai secondo te?
«Personalmente, mi piace dare libertà alle persone che incontro, sia essi artisti o designer».
Per quale motivo, a tuo avviso, soprattutto in Italia c’è l’idea piuttosto moralistica che ci sia un’arte con la “a” maiuscola e un tipo di espressione culturale che dal progetto ha come obiettivo solo la produzione industriale su larga scala?
«Rispondo con una notizia: le prossime due mostre curate da Spazio Giallo saranno di Sara Ricciardi e Ilaria Bianchi. Parliamo di due bravissime creative che mettono insieme performance, letteratura, e-concept. Una dialoga spesso (e non soltanto) con le azienda, l’altra ha scelto la via dell’autoproduzione e dei collettivi. Sono due facce di un’unica medaglia che racconta l’eccellenza del design italiano contemporaneo».
Cosa ha dato l’arte al design e il design all’arte?
«E la letteratura invece che cosa ha portato a questi due mondi? Io, per esempio, amo partire da quella, per esempio Quel che viene per restare nasce anche dalla lettura di Keats. Di sicuro l’arte ha portato al design intuizioni e suggestioni visionarie, che poi i progettisti realizzano secondo le proprie esigenze e sensibilità. Detto ciò, una risposta interessante arriverà senz’altro dal talk con Alberonero che è tutte queste cose insieme».
Quali ritieni che siano gli autori italiani e internazionali più interessanti che rappresentano oggi l’intersezione (possiamo definirla così?) tra arte e design?
«Amo la scena intorno alla galleria Maniera di Bruxelles, mi colpisce la ricerca di Sabine Marcelis che prende ora la via dell’industria ora strade più libere e visionarie. Sono dei punti di riferimento Nero Editions e il progetto Civitonia. E mi piacerebbe lavorare con Giambattista Valli e Alessandro Michele. Insomma, idee e obiettivi non ci mancano».