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Qual è stato il tuo percorso artistico?
Mi sono dedicata all’arte da autodidatta dopo essermi laureata in Ingegneria, quindi diciamo che fatico ancora a non sentire la sindrome dell’impostore quando parlo di percorso artistico o di me come artista.
Posso dire però che l’arte visiva è sempre stata la mia forma preferita di linguaggio fin da bambina e che solo dopo anni di silenzio ho iniziato a capire quanto fosse importante darle voce.
Ho avuto poi la fortuna di incrociare nel mio percorso varie figure che mi hanno incoraggiata a continuare e trasmesso quanto sia importante l’arte come atto di resistenza e da allora non ho mai smesso.
Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?
Quando creo non ho quasi mai chiaro a priori dove il mio lavoro porterà, quindi mi trovo spesso in balìa dell’inconscio, ma tutti i frammenti che metto insieme sono sempre legati a una storia personale, al rapporto col corpo, alla relazione con l’altro.
Mi piace evocare suggestioni, spesso anche conflittuali tra loro, utilizzando il simbolo e la sua pluralità di significato, servendomi spesso di oggetti inutili, fragili o scarti, ai quali in qualche modo restituisco una qualche forma di “dignità” malgrado le apparenze.
In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?
In un’epoca in cui si è fatto dell’utile il proprio fine e dell’efficienza a tutti i costi una filosofia di vita, penso che l’unico modo che ha l’arte di essere un reale strumento di riflessione, sia staccarsi completamente da questo paradigma che la vede come strumento utile a qualcosa, alla politica, alla società, al singolo individuo.
L’arte deve mantenere la sua inutilità, perché la sua inutilità è il baluardo della sua libertà, e la sua libertà difende la sua autenticità. Solo un discorso autentico può aprire la via alla riflessione o quantomeno ad un suo germoglio, perché permette di arrivare dove slogan, sermoni o logiche non arrivano.
Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
Questa domanda, apparentemente semplice, in realtà risuona come un grande interrogativo esistenziale…
Ironia a parte, il mese prossimo sarò nel nord dell’Islanda per una residenza artistica, in un ambiente molto diverso dal mio che spero mi aiuti ad avere nuovi stimoli e sbloccare nuove intuizioni.
Poi spero che in futuro si ripresentino altre opportunità del genere, che sono il modo più naturale ed efficace per costruire una propria rete di contatti, fare nuove amicizie e crescere sia artisticamente che dal punto di vista umano.
In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?
Mi è capitato poco e solo a livello locale di interagire direttamente con le istituzioni, ma credo che a parte mediante i supporti finanziari, spesso non forniti per mancanza di liquidità, un modo comunque valido e altrettanto concreto a dare un supporto agli artisti potrebbe essere quello di concedere in comodato d’uso gli immobili in disuso presenti un po’ in tutto il territorio, una mossa che oltre ad agevolare la creazione di studi d’arte, laboratori, luoghi espositivi, permetterebbe anche di restituire decoro a zone urbane abbandonate.
Iniziative del genere esistono già un po’ ovunque, si tratterebbe di studiare quelle più virtuose esistenti e riadattarle al caso specifico.