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Roma, la Madonna del Parto restaurata grazie ai microorganismi
Beni culturali
di redazione
Se l’arte è sempre contemporanea e sperimenta incessantemente l’utilizzo di nuove tecnologie, anche il restauro non è da meno, anzi. Settore in continua evoluzione e altamente specializzante, il restauro mette le tecniche più avanzate alla difficile prova del tempo, trattando materiali di ogni tipo, molto spesso desueti, e in ogni condizione. A Roma è stato recentemente presentato un intervento all’insegna della sostenibilità all’avanguardia, che ha permesso di restituire la leggibilità a una delle opere più amate della Capitale: la Madonna con il Bambino di Jacopo Sansovino, conosciuta anche come la Madonna del Parto, custodita nella Basilica di Sant’Agostino, in Campo Marzio. I lavori sono stati promossi dalla Soprintendenza Speciale di Roma, in collaborazione con Intesa Sanpaolo nell’ambito di Restituzioni, il programma della Banca per la salvaguardia e la valorizzazione dei beni culturali del nostro Paese.
«La Soprintendenza è da sempre in prima linea nei restauri dei capolavori delle chiese romane, eseguiti con grande competenza e allo stesso tempo con i metodi più innovativi, per restituire e valorizzare dipinti e monumenti», ha spiegato Daniela Porro, Soprintendente Speciale di Roma. «In questa occasione si sono messe insieme grandi professionalità, anche grazie alla comunione di intenti e di vedute con Intesa Sanpaolo, per la prima volta impegnata a Roma in un restauro monumentale». Commissionato nel 1516, il gruppo scultoreo fu ultimato da Sansovino nel 1521. Nell’opera coesistono influenze classiche e contemporanee e non mancano fascinazioni e influenze di Michelangelo e di Raffaello.
Condotto dalla restauratrice Anna Borzomati, l’intervento è durato sei mesi e ha visto l’impiego congiunto di metodologie e indagini non tradizionali, in considerazione dello stato dell’opera e della peculiarità del suo contesto, tanto ambientale quanto storico. Al momento del restauro, l’intero monumento, scolpito in un unico blocco di marmo di Carrara bianco cristallino, mostrava un pesante imbrunimento, esteso a macchia sulla superficie, dovuto alla consuetudine dei fedeli di toccare la superficie con l’olio sacro presente nei lumini posti lì accanto. Una pratica devozionale resa lecita dalla bolla papale di Pio VII che, nel 1822, accordò l’indulgenza a chi avesse baciato le due sacre immagini. Una consuetudine che, nel tempo, ha causato l’usura e la perdita di parte del marmo del piede della Madonna, reintegrato nella prima metà del ‘900 con una lamina d’argento, tutt’ora presente.
Le abrasioni e i numerosissimi graffi presenti sulla superficie marmorea sono stati causati, invece, da un’altra, diffusa, pratica devozionale che, come documentato dalle foto storiche, si svolgeva in occasione di particolari eventi liturgici e consisteva nel “vestire” le due figure con corone, collane, bracciali e pendenti, alcuni fissati a ganci metallici sul retro delle statue.
I risultati delle indagini hanno permesso di elaborare un piano di intervento che ha visto l’impiego combinato di metodologie tradizionali, come miscele di solventi organici, e tecniche innovative, quali l’utilizzo di agenti biologici pulenti. In via di sperimentazione da circa 20 anni, la biopulitura (e in generale il biorestauro) si pone come una valida alternativa alle metodologie tradizionali, per l’assoluto rispetto della materia su cui agisce, dell’ambiente e della salute dell’uomo, requisito fondamentale, tenendo conto della natura dell’opera, situata in uno spazio chiuso e fulcro della pratica religiosa.
La biopulitura prevede l’utilizzo di microrganismi che, attraverso l’azione metabolica rimuovono, mangiandole, le sostanze incoerenti sull’opera d’arte non intaccando la materia di cui è composta. Per l’intervento sul monumento di Sansovino sono stati selezionati, all’interno di alcune centinaia di specie, quattro tipi di microrganismi: ceppi batterici che, una volta inglobati in un gel polisaccaride, sono stati applicati alternati tra loro e per più volte sulla superficie da trattare. Al Laboratorio OEM dell’Enea si deve sia la selezione che la ripetuta coltura dei batteri, necessaria per la vita estremamente breve di questi microrganismi.
La terza ed ultima fase del restauro ha visto l’impiego della strumentazione laser per la rimozione delle incrostazioni sulle dorature, restituendo alla partitura architettonica e decorativa che circonda il gruppo scultoreo il raffinato gioco di rifrazioni, tra luce e ombra, ricercato nella sistemazione ottocentesca del monumento.
Fondamentale anche la documentazione delle varie fasi e l’archiviazione dei dati utili per la gestione, la manutenzione e i restauri futuri. In questo caso, tutte le informazioni sono state inserite in un modello tridimensionale, con mappature, specifici punti d’interesse, documenti di archivio, indagini e particolari fotografici. Tutti i dati saranno messi a disposizione su internet e sarà possibile accedervi dal portale della Soprintendenza Speciale di Roma.
«Per la prima volta sosteniamo a Roma il restauro di un importante bene monumentale che si aggiunge alle opere, custodite in musei e chiese della capitale, che sono state recuperate negli anni grazie a Restituzioni, a difesa di un patrimonio ricco di testimonianze identitarie per l’intero Paese», ha commentato Michele Coppola, Executive Director Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo. «Siamo lieti di collaborare con la Soprintendenza Speciale di Roma, affiancandola nell’impegnativo compito di conservare e valorizzare le bellezze artistiche della città, in coerenza con l’attenzione della Banca alla sostenibilità e alla cultura, due pilastri del nostro lavoro a servizio delle comunità».